Il non riconoscimento del matrimonio nelle unioni LGBT, è molto più di un diritto negato. Ha a che fare con la percezione del proprio benessere, la propria salute, e perfino con l’aspettativa di vita. In una parola, ha a che fare con la dignità della persona. E con la sua felicità profonda. Lo spiega lo psichiatra Vittorio Lingiardi, nell’avvincente prefazione al suo bellissimo libro, Citizen Gay.
Testo pubblicato per gentile concessione de Il Saggiatore e tratto dal volume “Citizen gay. Affetti e diritti“, di Vittorio Lingiardi.
“Se si vedono due omosessuali, o meglio due
ragazzi che se ne vanno insieme a dormire nello
stesso letto, in fondo li si tollera, ma se la
mattina dopo si risvegliano col sorriso sulle
labbra, si tengono per mano, si abbracciano
teneramente, e affermano così la loro felicità,
questo non glielo si perdona. Non e` la prima
mossa verso il piacere ad essere insopportabile,
ma il risveglio felice”.
Michel Foucault, 1978
Citizen gay. Il titolo di questo libro accosta cittadinanza e omosessualità.
Abbinamento teoricamente paradossale: dovrebbe importare qualcosa,
allo Stato, dell’orientamento sessuale dei suoi cittadini? No. I cittadini
dovrebbero essere tutti uguali e, in questa uguaglianza, sostanzialmente
anonimi. In pratica, invece, c’è un cittadino che è meno uguale degli altri
perché, se vuole, non può sposarsi. Come gli altri, il cittadino gay contribuisce alla cosa pubblica, per esempio paga le tasse, ma è discriminato in una dimensione essenziale della sua vita: quella affettiva. Nonostante la richiesta sempre più ferma di molti, omosessuali e non, il Parlamento italiano non riesce a varare una legge che permetta a persone dello stesso sesso di godere dei vantaggi giuridici, sociali e psicologici del matrimonio.
Citizen gay è uno slogan per ricordare al cittadino che può alzarsi in
piedi e dire: sono gay, sono lesbica, voglio diritti e rispetto. Così facendo,
quel cittadino pone un problema ineludibile per la democrazia: la legge
deve riflettere i valori di alcuni o garantire, nel rispetto reciproco, la pluralità dei valori di tutti? Può reggere, sul piano del diritto, la distinzione
etero/omo?
Non sono d’accordo con chi sostiene che in fondo si tratta solo di “sregolamentare una situazione”. E tantomeno con chi liquida l’argomento
come “un capriccio”. Al contrario: si tratta di aprirsi a una trasformazione
antropologica, di sciogliere un nodo simbolico. Serve a poco un dibattito
costretto tra la ripetizione di anatemi contro la prospettiva di una “famiglia
omosessuale” e l’ammissione imbarazzata di dover fare una “concessione
alla diversità” in un mondo che cambia. Troppa ideologia, troppa
emotività, e un rischioso oscuramento del dato scientifico.
La persona omosessuale non costituisce uno “specifico” sociale o psicologico: essere gay o lesbiche non è un merito, né un demerito. E` una cosa che capita. Il gusto personale non dovrebbe fare aggregazione politica,
ma la storia ci insegna che i gruppi discriminati tendono a costruire identità collettive e forme associative. Questo implica la necessità della formula citizen gay, ma anche la sua auspicabile transitorietà.
Quello del “matrimonio gay” è un tema cruciale perché definisce il
rapporto tra società e cittadino, democrazia e individuo, pubblico e privato.
C’è chi obietta che nessuno vieta a due persone omosessuali di volersi
bene e mettere su casa, ma quella che auspico e argomento in questo
libro è la soluzione di una questione pubblica, non di una faccenda privata.
L’obiezione, più volte ascoltata, che “l’importante è che siano riconosciuti
i diritti di due singoli, e non i diritti di una coppia”, è mortificante
e non regge. Non convince neppure la distinzione tra matrimonio, riservato
agli eterosessuali (indipendentemente, come è giusto, dal loro status
sociale e dalla loro fedina penale) e altre forme di unione civile per le coppie gay o lesbiche. Sottolinea infatti una differenza basata sul genere degli sposi e, implicitamente, ribadisce un’interdizione e dispari opportunità
Vi sono affetti migliori di altri? Come dire: non sono razzista, ma è meglio
che ci siano autobus bianchi per i bianchi e autobus neri per i neri.
Anche se le corse avessero la stessa frequenza, e i biglietti lo stesso prezzo,
chi potrebbe accettare una soluzione simile?
Un altro tipo di obiezione viene, ma direi sempre meno, da persone
gay e lesbiche che preferiscono continuare a vedere nella “condizione
omosessuale” un’alternativa ai legami “tradizionali”. Secondo loro, gli
omosessuali che desiderano sposarsi scimmiotterebbero la norma eterosessuale e di fatto avallerebbero il patriarcato, fondatore dell’istituto matrimoniale, consegnandosi a una condizione coniugale che addomestica e normalizza. Rispondo che non si tratta di essere a favore o contro il matrimonio, bensì di riconoscere, alle persone gay e lesbiche che vogliono
contemplare questa possibilità nella loro vita, il diritto di formare una famiglia. In altre parole, per condurre un’esistenza degna, la condizione
minima è disporre di libertà di scelta. La legalizzazione del matrimonio
omosessuale non imporrebbe qualcosa, ma semplicemente riconoscerebbe
a cittadini maggiorenni la libertà di scegliere di essere una coppia non
solo davanti a se stessi, ma anche davanti alla società e allo Stato (con tutto cio` che ne consegue in termini simbolici e pratici). La domanda che
qui ci interessa è dunque “puoi sposarmi?” e non “vuoi sposarmi?”. Dovrebbe ammetterlo pure chi ha in antipatia il matrimonio. Come scrive
Piergiorgio Paterlini (2004):
Io sono contrario al matrimonio. Omosessuale o eterosessuale. Civile o religioso. Ma proprio per questo non vedo l’ora che gli omosessuali possano sposarsi. Perché solo allora sarò libero di condurre la mia battaglia culturale e ideale. Oggi il loro non diritto mi toglie il diritto di parola. Non posso combattere, nemmeno sul piano delle idee, una cosa che a qualcuno è ingiustamente negata.
Insomma non si tratta di perorare la causa del matrimonio (ognuno organizzi e custodisca i propri affetti come meglio crede), bensì quella dell’eguaglianza di tutti i cittadini davanti allo Stato.
Le “ragioni” contro il matrimonio omosessuale, insomma, non mi
sembrano particolarmente cogenti. L’argomento a favore del matrimonio
omosessuale è invece molto semplice. Scrive una grande filosofa del
diritto, Martha Nussbaum (2010): “Se due persone vogliono stringere un
legame di tipo coniugale, dovrebbero essere autorizzate a farlo, ed escludere una classe di cittadini dai benefici e dalla dignità associati a quel legame significa umiliarli e offendere la loro dignità”.
Mi ha colpito la semplicità con cui, nel 2007, Jerry Sanders, sindaco
repubblicano di San Diego, nel corso di una conferenza stampa, ha affermato questo principio: “Due anni fa credevo che le unioni civili fossero una giusta alternativa. Ho cambiato idea. Il concetto di un’istituzione “diversa ma uguale” è qualcosa che io non posso sostenere”. E passerà alla storia la dichiarazione rilasciata ad ABC News dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama il 9 maggio 2012:
Oggi mi è stata fatta una domanda diretta e io ho dato una risposta diretta: ritengo che le coppie dello stesso sesso debbano potersi sposare. […] Ero restio a usare il termine matrimonio perché evoca tradizioni molto forti e radicate. E pensavo che le leggi sulle unioni civili per conferire i diritti alle coppie gay e lesbiche potevano essere una soluzione. Ma nel corso degli anni ne ho parlato con amici e familiari. Ho pensato ai membri del mio staff che hanno relazioni di lunga durata con persone dello stesso sesso e che stanno crescendo dei bambini insieme. […] Mi sono reso conto che, a causa dell’ineguaglianza nel diritto al matrimonio, le coppie dello stesso sesso che si amano non sono considerate, ai loro occhi e a quelli dei loro figli, cittadini a tutti gli effetti. […] Rispetto le convinzioni degli altri e il diritto delle istituzioni religiose di agire in conformità alle loro dottrine. Ma credo che, davanti alla legge, tutti gli americani dovrebbero essere trattati allo stesso modo.
L’istituzione del matrimonio tocca molti aspetti della vita umana: amore, sessualità, reciproco sostegno (affettivo, morale, economico), responsabilità, cura, amicizia, procreazione, crescita e educazione dei figli. Alcuni matrimoni possono prescindere da uno o più di questi elementi, e infatti Chiesa e Stato consentono il matrimonio anche a persone sterili o troppo anziane per avere figli, oppure irresponsabili o addirittura incapaci di amore e di amicizia. Per beneficiare dei privilegi concessi dal matrimonio, scrive ancora Nussbaum,
non occorre dimostrare di essere persone per bene. Criminali, genitori divorziati che non pagano gli assegni di mantenimento per i figli, persone con una storia di violenza domestica o abuso psicologico, evasori fiscali, drogati, stupratori, assassini, razzisti, antisemiti e bigotti vari possono tutti sposarsi se vogliono, e anzi si ritiene che siano titolari di un diritto costituzionale fondamentale in tal senso… a patto che vogliano sposare una persona di sesso opposto […]. Né le persone devono in alcun modo condurre uno stile di vita sessuale gradito alla maggioranza per potersi sposare. […] Tutti possono essere uniti in matrimonio dallo Stato, a patto che sposino qualcuno del sesso opposto.
Alla luce di tutto questo, continua Nussbaum:
L’idea che nel celebrare matrimoni lo Stato accordi espressamente la propria approvazione o conferisca dignità appare improbabile. C’è in realtà qualcosa di strano nella miscela di noncuranza e solennità con cui lo Stato agisce in quanto officiante di matrimoni. E tuttavia, la maggior parte degli individui pensa che lo Stato, nel rilasciare un certificato di matrimonio esprima approvazione e, nel negarlo, disapprovazione.
Un’altra filosofa, Nicla Vassallo, afferma che
Abitiamo in un paese che concede a un qualunque delinquente di procreare e sposarsi, mentre il medesimo diritto viene negato alle persone omosessuali; ne segue che abitiamo in un paese che giudica gli omosessuali peggiori dei delinquenti. (<genova.mentelocale.it/48260-genova-matrimoni-gay-italia-nega-diritto-ai-cittadini>)
L’obiezione per cui non si può estendere il matrimonio a due persone
dello stesso sesso perché per matrimonio si intende l’unione tra un uomo
e una donna è tautologica. Nella sua sentenza sul “matrimonio gay”,
la Corte suprema del Connecticut ha illustrato la necessità di guardare
oltre la tradizione per “decidere se le ragioni che la sostengono sono
sufficienti”. La tradizione in quanto tale non può giustificare la discriminazione: si pensi a quante “tradizioni” hanno penalizzato la vita delle donne, dei neri, degli schiavi, e persino degli animali. Che poi la tradizione del matrimonio sia stata forgiata dalla dottrina religiosa non rinforza l’obiezione. Il punto di vista religioso su questo tema, infatti, non
è univoco. Alcune religioni sostengono che il matrimonio debba limitarsi
all’unione eterosessuale, altre lasciano gli individui liberi di sposare
anche una persona del proprio sesso. L’argomento “conservativo”,
infine, sembra ignorare quanto l’istituzione matrimoniale sia radicalmente
cambiata nel corso dei secoli. Come scrive polemicamente Andrew
Sullivan: “Se il matrimonio di oggi fosse lo stesso di duemila anni
fa, sarebbe possibile sposare una dodicenne che non hai mai incontrato
prima, possedere una moglie come proprietà disponendo di lei a tuo
piacimento, mettere in prigione chi ha sposato una persona di un’altra
razza. E naturalmente divorziare non sarebbe consentito” (The New Republic, 8 maggio 2000).
Come ho scritto con Nicla Vassallo nel saggio Classificazioni sospette (2011), “rimane da capire cos’è il matrimonio. Una legittimazione
statale, oppure religiosa?”. Nussbaum, per esempio, trova le due possibilità
non esclusive, ma vedrebbe di buon occhio una separazione tra
matrimoni civili e religiosi. Tuttavia, conclude, finché lo Stato celebrerà
matrimoni, questi dovranno essere garantiti a tutti, sulla base dei principi
liberali di eguaglianza, pari opportunità, rispetto. Il dibattito sul
matrimonio sarebbe probabilmente meno rovente se si arrivasse a una
distinzione più netta tra celebrazioni civili e religiose (vedi Eskridge e
Spedale, 2012; Laycock, Picarello e Fretwell Wilson, 2012). Su questo
punto, alcuni auspicano una soluzione per cui sia lo Stato a celebrare il
matrimonio civile, lasciando ai ministri del culto (di ogni culto) la celebrazione, su richiesta, di quello religioso. Altri propongono invece non
di estendere il matrimonio alle coppie omosessuali, ma di sostituirlo con
le unioni civili per tutti, omo- ed eterosessuali, lasciando alla religione il
matrimonio come sacramento. Entrambe le posizioni sono ragionevoli,
ma finché la situazione rimane quella attuale, come si può sostenere una
soluzione giuridica a due corsie, dove gli omosessuali vengono trattati
in modo diverso in quanto omosessuali? Riprendendo le parole di Obama,
davanti alla legge tutti dovrebbero essere trattati allo stesso modo.
Tra l’altro, l’obiezione per cui “matrimonio omosessuale” sarebbe una
contraddizione in termini è apertamente negata dal fatto che migliaia di
coppie omosessuali nel mondo sono ormai sposate. Il tempo giocherà a
favore del matrimonio gay.
Di nuovo con Vassallo, abbiamo provato, partendo dal significato etimologico di matrimonio (da mater = madre), a riflettere sulle ragioni di
chi si oppone al matrimonio omosessuale. Vediamole:
a) è immorale. Ma lo è per una morale fondata sul pregiudizio, oppure
per morali incoerenti che se da un lato finalizzano il matrimonio alla
procreazione “naturale”, dall’altro lo ammettono per coppie eterosessuali
sterili;
b) non è finalizzato alla procreazione e alla crescita della prole. A prescindere dal fatto che molti matrimoni omosessuali prevedono filiazioni
biologiche o adottive, il matrimonio è irriducibile a una mera unione
biologica, a meno di non banalizzare e ridicolizzare il suo valore;
c) è innaturale. Ma cosa c’è di naturale nel matrimonio? Poco, forse nulla,
il matrimonio è una costruzione sociale, influenzata dai contesti
storici e culturali;
d) se lo Stato ratifica i matrimoni omosessuali costringe chi li trova abominevoli a “riconoscerli”. Un’obiezione analoga veniva sollevata,
nell’America degli anni cinquanta, da chi si opponeva ai matrimoni
interrazziali. Ma può un’avversione soggettiva, rinforzata da una
credenza religiosa, tradursi in una limitazione giuridica del diritto di
un altro? Se una religione proibisce le trasfusioni, o il consumo di
carne di maiale, lo Stato dovrebbe legiferare in tal senso? Come nota
Adriano Sofri (la Repubblica, 16 luglio 2012), “La frase: “Io sono
personalmente contrario al matrimonio gay” è la più ragionevole, se
significa: “Io non intendo sposare una persona del mio sesso”. Non
lo è se significa: “Sono personalmente contrario a che lo facciano altri
miei simili”;
e) il matrimonio “tradizionale” e` un’istituzione/sacramento già in crisi
e verrebbe ulteriormente svilito dall’approvazione dei matrimoni
omosessuali. Se questi ultimi portassero invece un valore aggiunto?
Pensare che i matrimoni omosessuali svuotino di significato tale istituzione equivale a considerare i gay e le lesbiche persone inferiori e
indegne, addirittura “non persone”. Eccoci nel territorio del disgusto
evocato da Nussbaum: “Nulla, se non un’idea arcaica di stigma e
contaminazione, può spiegare il sentimento diffuso che il matrimonio
gay possa svalutare e contaminare quello eterosessuale, mentre
lo stesso non accadrebbe per il matrimonio tra eterosessuali immorali
e peccaminosi”.
Secondo Francesco Bilotta (2011) “la maggior parte dei pareri contrari si basa principalmente su un argomento: l’istituto matrimoniale non può essere esteso alle coppie dello stesso sesso, perché la famiglia è il luogo dell’esercizio delle prerogative genitoriali. Ed è impensabile per coloro che partano da siffatte premesse che due uomini o due donne possano essere considerati una coppia genitoriale. In altri termini, è per il bene dei/delle minori che bisogna impedire il riconoscimento giuridico delle famiglie formate da persone dello stesso sesso. Perché? Viene da chiedersi spontaneamente. In genere, la risposta è: perché da che mondo è
mondo ci vogliono un padre e una madre per far crescere serenamente
un/a bambino/a. Se a quanti esprimono un tale punto di vista si fa presente
che esistono numerosissime ricerche, per lo più effettuate all’estero,
che smentiscono tale opinione, essi ammettono candidamente di non
conoscerle e comunque rimangono convinti delle loro idee. In una sorta
di irrazionale difesa del loro punto di vista rimuovono radicalmente il
problema. Insomma, anche se è dal fatto che dovrebbe nascere il diritto
– come insegna un antico brocardo – nel caso che ci occupa si potrebbe
dire che il diritto è piuttosto figlio dell’ideologia, ossia della propria visione del mondo, che pretende di conformare la società in un’ottica eterosessista. Si da` voce, in altri termini, a un pregiudizio”.
Se una legislazione sulle unioni civili è prevista nella maggior parte
dell’Unione Europea (eccezion fatta per Italia, Grecia, Polonia, Romania
e altri paesi dell’ex blocco sovietico), il matrimonio tra persone dello
stesso sesso è già legale in Belgio, Danimarca, Islanda, Norvegia, Paesi
Bassi, Portogallo, Spagna e Svezia. Il presidente della Repubblica francese,
Francois Hollande, ha dichiarato che, per lesbiche e gay francesi,
matrimoni e adozioni saranno realtà entro il 2013. E così si è espresso
David Cameron, primo ministro del Regno Unito (dove le unioni civili
tra persone dello stesso sesso sono state legalizzate nel 2005): “Sono favorevole al matrimonio gay non sebbene io sia conservatore, ma proprio
perché sono conservatore”. E, per chi proprio non lo avesse capito, ribadisce: “La Chiesa d’Inghilterra si deve svegliare. Se il matrimonio va bene per me, il matrimonio deve andare bene per tutti; e noi faremo una
legge in proposito”.
“Ma per discutere in modo adeguato una questione così impegnativa”
scrive Stefano Rodotà (la Repubblica, 19 luglio 2012) “non basta ricordare
i Paesi che hanno riconosciuto il matrimonio tra persone dello
stesso sesso, marcando la distanza tra l’altrui e il nostro rispetto per i diritti
d’ogni persona. Bisogna partire da casa nostra, dove si sono manifestate
novità che dovrebbero essere considerate un comune punto d’avvio
per arrivare a una seria disciplina legislativa, che è indecente e illegittimo
continuare a rinviare”. Lo vedremo nei prossimi capitoli, ma vale la pena
qui di ricordare alcune tappe.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, meglio conosciuta come Carta di Nizza, vincolante per l’Italia dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, oltre a ribadire il divieto di discriminare
in base all’orientamento sessuale, esistente fin dal 1999 quando divenne
operativo il Trattato di Amsterdam, introduce nel nostro sistema giuridico
un’innovazione sostanziale, stabilendo nell’articolo 9 che “il diritto di
sposarsi e di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”. La distinzione tra “il diritto di sposarsi” e quello “di costituire una famiglia”, spiega ancora Rodotà, “è stata introdotta per legittimare il ricorso a modelli diversi per disciplinare i rapporti tra le persone che decidono di condividere la propria vita. E la novità della Carta diventa ancor più evidente se si fa un confronto con l’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950: “uomini e donne hanno diritto di sposarsi e di costituire una famiglia secondo le leggi nazionali che disciplinano l’esercizio di tale diritto”. E` da notare la scomparsa, nell’articolo 9 della Carta dei diritti dell’UE, del riferimento a “uomini e donne”. Anche l’introduzione di una distinzione tra “diritto di sposarsi”e di “costituire una famiglia” indica categorie diverse, ma con la stessa “rilevanza giuridica, e dunque medesima dignità”. Non è più sostenibile l’esistenza di un diritto “naturale” e “tradizionale” – il matrimonio tra eterosessuali – e di “un’eccezione (eventualmente) tollerata, quella delle unioni distinte dal matrimonio, riguardanti persone di sesso diverso o dello stesso sesso”. Ma il punto essenziale, conclude Rodotà “è la cancellazione del requisito della diversità di sesso sia per il matrimonio, sia per gli altri modelli di famiglia”.
Vanno ricordati qui tre articoli della nostra Costituzione. Partiamo dal
più controverso, l’articolo 29, a cui molti oppositori del matrimonio tra
persone dello stesso sesso si appellano:
La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi.
Si parla di “società naturale” (e sulla definizione di naturale, sfido chiunque a dimostrarmi che naturale = eterosessuale) e di coniugi (e non di
uomo e donna). “Anche i legami eterosessuali” scrive Francesco Remotti
(2008) “hanno conosciuto il passaggio alla regolamentazione sociale,
organizzato dai vincoli matrimoniali e dalla cosiddetta “fecondità”
legittima”. E, dalla familia dell’antica Roma ai giorni nostri, il “dispositivo
familiare” è stato oggetto di mutazioni e ridefinizioni continue.
Difficile capire a quale storia si rifaccia chi parla (invocandola) di “famiglia naturale”.
L’articolo 2, peraltro, dichiara recisamente che:
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
E l’articolo 3 stabilisce:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Ancora con Stefano Rodotà
Eguaglianza e dignità non possono essere separate, e quest’ultima si presenta immediatamente come dignità “sociale”, dunque come principio che regola i rapporti tra le persone, il nostro essere nel mondo, il modo in cui lo sguardo altrui si posa su ciascuno di noi. “Per vivere” ci ha ricordato Primo Levi “occorre un’identità, ossia una dignità”. La persona, dunque, non può essere mai separata dalla sua dignità. La rottura di questo nesso ci precipita nell’indegnità, nella costruzione di “non persone”, o almeno verso forme insidiose di segregazione (la Repubblica, 17 luglio 2011).
A queste parole affiancherei quelle di Martha Nussbaum (2010), quando
osserva che la politica dell’eguaglianza deve a sua volta nutrirsi della politica dell’umanità, cioè di un legame con il rispetto, la curiosità, la sintonizzazione immaginativa. In particolare:
Affinché si possa conseguire una politica del rispetto in materia di orientamento sessuale, gli individui devono riuscire a immaginare ciò che gay e lesbiche perseguono, e riconoscerlo come qualcosa di fondamentalmente simile alla loro personale ricerca di integrità ed espressione personale e sessuale. Possono anche non approvare ciò che quegli individui fanno: possono continuare a pensare che i gay e le lesbiche siano peccatori, o traviati, o che disobbediscano alla parola di Dio. Ma il primo cruciale passo verso il rispetto sarà stato compiuto.
(p. 108)
Con la sentenza n. 138 del 2010, la nostra Corte costituzionale ha riconosciuto la rilevanza giuridica delle unioni omosessuali, dal momento che siamo di fronte a una delle “formazioni sociali” di cui parla il suddetto articolo 2 della Costituzione. Anche se la Corte ha voluto riconoscere nell’articolo 29 il riferimento al solo matrimonio eterosessuale (l’unico, del resto, “pensabile” all’epoca della stesura della Carta), la sua sentenza – emessa a seguito di ben quattro ordinanze di remissione, del Tribunale di Venezia e di Ferrara e delle Corti d’appello di Trento e di Firenze, che giudicavano del diniego da parte dell’ufficiale dello stato civile di concedere le pubblicazioni matrimoniali alle coppie omosessuali ricorrenti – afferma che:
i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere cristallizzati con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore perché sono dotati della duttilità propria dei principi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi.
E conclude dicendo che alle persone dello stesso sesso unite da una
convivenza stabile “spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente
una condizione di coppia, ottenendo nei tempi, nei modi e nei limiti
stabiliti dalla legge il riconoscimento giuridico con i connessi diritti
e doveri”.
L’esortazione a recepire le istanze di cambiamento in atto nella nostra società mi sembra evidente, ma non tutti i politici l’hanno voluta
cogliere, preferendo approfittare della prosa a tratti oscura dei giudici.
A sciogliere i dubbi circa il significato da dare alla decisione della
Consulta, è intervenuta più di recente la Corte di Cassazione. Con la
sentenza n. 4184 del 2012 ha affermato che, alla luce dell’interpretazione
(vincolante per i giudici italiani) dell’art. 12 della Convenzione europea
dei diritti umani e dell’art. 9 della Carta di Nizza, prima ricordato,
da parte della Corte europea dei diritti umani (sentenza Schalk e Kopf
contro Austria del 2010), la diversità di sesso non è più un requisito necessario per la validità di un matrimonio. Spetta, però, al Parlamento modificare le norme attualmente vigenti per rendere possibile alle coppie
omosessuali contrarre matrimonio in Italia. La Suprema corte ha altresì
puntualizzato che anche le coppie formate da persone dello stesso sesso
godono del diritto (fondamentale) alla vita familiare e pertanto fin d’ora
possono rivolgersi ai giudici “per far valere, in presenza di “specifiche”
situazioni, il diritto a un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla
legge alla coppia coniugata”.
Nonostante le forme diverse che due persone eterosessuali sposate
possono dare al loro legame (in chiesa, in comune, con figli, senza figli,
con coabitazione, senza coabitazione ecc.), di esse si dice, appunto, che
sono “sposate”, mentre se a volere un riconoscimento giuridico della loro
unione sono due persone omosessuali, questa deve prendere nomi strani
e connotarsi con la burocrazia degli acronimi. Un domani, dovremo dire
che due amiche si sono pacsate, o dicate? Non potremo dire che si sono
normalmente sposate?
Ma forse proprio qui è il problema. Se, in passato, lo “scandalo” era
la devianza omosessuale, oggi ciò che preoccupa e spaventa è la rivendicazione di una normalità omosessuale e della sua organizzazione affettiva. Che cosa è successo negli ultimi trent’anni perché persone qualificate di volta in volta come invertiti, perversi o malati mentali arrivino a chiedere non solo di essere riconosciute come cittadini a tutti gli effetti, ma anche di poter adottare quell’ordine familiare che tanto ha contribuito alla loro sfortuna?
Il mio libro si basa su tre convinzioni fondamentali:
1. L’esperienza amorosa e la costruzione dei legami affettivi avvengono
nel contesto delle relazioni sociali e nel territorio della storia e della
cultura. Il concetto di famiglia, dunque, non è unico e immodificabile
(vedi Remotti, 2008, ma anche la sentenza della Corte costituzionale
del 2010). La politica deve prenderne atto.
2. Il mancato riconoscimento, pubblico e legale, di un legame affettivo
tra due persone libere che lo richiedono, e dunque il rifiuto di riconoscere
la loro esistenza come nucleo sociale, può danneggiarne il benessere
psicologico, la vita di relazione e la salute mentale.
3. Il mancato riconoscimento giuridico delle relazioni omosessuali produce
implicitamente una delegittimazione delle persone gay e lesbiche,
che finiscono per trovarsi confinate in una zona grigia, a un
livello di “cittadinanza minore”, che favorisce la svalutazione, il disprezzo
e la discriminazione da parte della società ma anche di se
stesse.
Come psichiatra e psicoterapeuta, sono sicuro che un effetto collaterale
positivo dell’approvazione di una legge che riconosce alle persone lesbiche e gay il diritto di sposarsi contribuirebbe a prosciugare la palude,
psicologica e sociale, in cui prolifera l’omofobia. Non è evidente come
l’omofobia e il bullismo omofobico si alimentino anche del mancato riconoscimento di un pieno diritto di cittadinanza alle persone omosessuali? Non vengono forse legittimati pensieri come: “Se la Chiesa considera queste persone indegne di formare una famiglia, e se lo Stato ne tollera la convivenza, purché senza celebrazioni e senza diritti e tutele, allora vorrà dire che in fondo, davanti a Dio e agli uomini, questi omosessuali non sono proprio cittadini come gli altri…”?
Bologna, 4 marzo 2012: tutti ricordiamo il funerale di Lucio Dalla.
Michele Serra lo racconta cosi`: “Con la compostezza, il dolore e la legittimità di un vedovo, il giovane Marco Alemanno ha reso pubblico omaggio al suo uomo e maestro Lucio Dalla in San Petronio, dopo l’eucaristia, se non rompendo almeno scheggiando il monolito di ipocrisia che grava, nell’ufficialità cattolica, sul “disordine etico” nelle sue varie forme, l’omosessualità sopra ogni altra” (la Repubblica, 5 marzo 2012).
Oltre a domandarci a quanti omosessuali cattolici, non famosi e non
protetti dal carisma dell’arte, sarebbe stato concesso il dono di un’orazione
funebre in chiesa pronunciata dal proprio compagno (anche se
sotto il segno del don’t ask, don’t tell), dovremmo notare come il funerale
del cantante mostri il vero “disordine” in cui si trova a vivere una
persona omosessuale oggi in Italia. Se il rifiuto della Chiesa di considerare
le persone gay e lesbiche alla stregua di ogni altro fedele riguarda
la cittadinanza che ciascuno sceglie per la propria anima, un disordine
giuridico ancora più grave non riconosce alcuna tutela al vedovo omosessuale, dal momento che non è mai stata riconosciuta legittimità giuridica alla coppia.
Tornando all’anima, anche qui qualcosa inizia a cambiare. Nel marzo
2012 il cardinale Martini, mettendo in discussione quei “principi non negoziabili” che in più di un’occasione hanno influenzato o condizionato
l’agire di molti nostri parlamentari, afferma che non ha senso demonizzare
le coppie omosessuali e impedire loro di stringere un patto:
La buona fede, le esperienze vissute, le abitudini contratte, l’inconscio e probabilmente anche una certa inclinazione nativa possono spingere a scegliere per sé un tipo di vita con un partner dello stesso sesso […]. Se due partner dello stesso sesso ambiscono a firmare un patto per dare una certa stabilità alla loro coppia, perché vogliamo assolutamente che non sia?
La letteratura scientifica dimostra che la qualità delle relazioni affettive e
intime ha implicazioni di grande rilievo sulla salute individuale, la percezione del proprio benessere, il buon funzionamento psicologico e persino la longevità. Le associazioni internazionali di psichiatri, psicologi, pediatri, assistenti sociali ecc., si sono infatti espresse pubblicamente “a sostegno del riconoscimento legale del matrimonio civile omosessuale con tutti i benefici, i diritti e i doveri che ne derivano”(American Psychiatric Association, vedi Appendice 3).
Come vedremo, ricerche condotte nei paesi in cui le relazioni omosessuali sono state riconosciute legalmente indicano una riduzione della discriminazione nei confronti delle persone gay e lesbiche, un aumento della stabilità delle loro relazioni, un miglioramento della loro salute fisica e mentale (vedi capitolo 3). Tecnicamente, una riduzione del minority stress, cioè del disagio psicologico derivato dal fatto di appartenere a una minoranza discriminata.
Citizen gay vuole dunque denunciare non solo la necessità e l’urgenza di un’interazione virtuosa tra istituzioni politiche e cittadini attualmente svantaggiati, ma anche la gravità di un vuoto legislativo causato da un pregiudizio che danneggia la salute mentale e ostacola la realizzazione individuale di milioni di persone.
Sessantacinque anni fa, in Italia, le donne non avevano diritto di voto.
Cinquant’anni fa, in alcuni stati degli Stati Uniti, i matrimoni interrazziali
erano illegali. Quarant’anni fa l’omosessualità era classificata tra le malattie mentali.
Celebrando alla Casa Bianca il mese dell’orgoglio gay, il 16 giugno
2012 Obama ha detto:
“Io non vi consiglierei mai di avere pazienza, non è giusto come non era giusto dire alle donne di essere pazienti un secolo fa o agli afroamericani cinquant’anni fa. Dopo decenni di inazione e indifferenza, ora avete tutte le ragioni e il diritto di chiedere, a voce alta e con forza, l’eguaglianza”.
Oggi, in Italia, le persone omosessuali non possono sposarsi e formare
una famiglia. Sono sicuro che le cose cambieranno e che presto verrà un
giorno in cui gli argomenti trattati in questo libro non saranno più oggetto
di non possumus politici e religiosi. Ai giovani delle nuove generazioni,
figli di famiglie eterosessuali, e talora omosessuali, andrà spiegato come
era il mondo quando i diritti non erano uguali per tutti.
E allora rendiamo omaggio al Candide di Voltaire e al suo ottimismo
attraverso le parole che chiudono l’opera omonima di Leonard Bernstein
e che prendo in prestito per iniziare il mio libro:
CANDIDE:
Siamo stati due pazzi, / Ma ora vieni e sposami, / E proviamo, prima di morire, / A dare un senso alla vita. / Non siamo puri, né saggi, né buoni. / Faremo del nostro meglio. / Costruiremo la nostra casa, / Taglieremo il nostro bosco, / E coltiveremo il nostro giardino.
CUNEGONDE:
Pensavo che il mondo fosse uno zuccherino / Come diceva il nostro maestro. / Ma ora dovrò insegnare alle mie mani a cuocere / Il nostro pane quotidiano. […]
CUNEGONDE, LAVECCHIA SIGNORA, PAQUETTE, CANDIDE, GOVERNATORE, MAXIMILIAN, PANGLOSS:
Che i sognatori sognino pure i mondi che preferiscono; / L’Eden non si può trovare. / I fiori più dolci, gli alberi più belli / Hanno radici nel terreno solido. / Non siamo puri, né saggi, né buoni. / Faremo del nostro meglio. /
Costruiremo la nostra casa, taglieremo il nostro bosco, / E coltiveremo il
nostro giardino.
PANGLOSS (mette fuori la mano come per benedire Candide e Cunegonde mentre cala il sipario):
Domande?