Un primo aspetto dal quale occorre muovere per descrivere e comprendere lo stato dei diritti riconosciuti e garantiti alle minoranze omosessuali e transessuali è rappresentato da una breve ricognizione del quadro normativo attualmente vigente all’interno dell’ordinamento giuridico italiano in materia.
Da questo punto di vista, il tema della tutela dei diritti delle minoranze omosessuali e transessuali può essere affrontato considerandone tanto la dimensione relazionale e familiare quanto quella più strettamente individuale.
Con riguardo al primo profilo, in Italia si registra ormai da tempo l’assenza di un intervento legislativo finalizzato ad introdurre una disciplina specifica delle unioni tra persone dello stesso sesso.
Più in particolare, tale vuoto normativo non è stato colmato né attraverso un’estensione del diritto al matrimonio, riconosciuto ai sensi dell’art. 29 Cost., anche a quello concluso tra due persone dello stesso sesso, né dotandosi di soluzioni normative che, per il tramite di istituti analoghi alle unioni registrate estere (civil partnership), avrebbero svolto un ruolo centrale nel riconoscimento dello status di coppia anche alle unioni omosessuali.
Sintetizzando al massimo è, dunque, corretto affermare che la situazione attualmente vigente nell’ordinamento giuridico italiano si caratterizza per una ormai prolungata inerzia legislativa, che pone l’Italia in una posizione di isolamento rispetto alle soluzioni normative, viceversa, accolte dagli altri Stati membri dell’Unione Europea e non solo.
Con riferimento alla dimensione individuale, del tutto analogo è l’approccio del legislatore italiano. Manca, infatti, una normativa ad hoc a tutela delle minoranze omosessuali e transessuali, per il contrasto di condotte omofobiche e transfobiche.
I tentativi che, in tempi diversi e con varie modalità, sono stati promossi al fine di approvare una disciplina legislativa specifica in materia non sono mai stati approvati dal Parlamento.
Più in particolare, alcune di queste proposte di legge, miravano ad introdurre una circostanza aggravante, comune o speciale, volta alla repressione di reati commessi in ragione della omosessualità o della transessualità della persona offesa.
Si trattava, dunque, di proposte di legge, che miravano ad offrire una tutela penale rafforzata, in considerazione della condizione di particolare vulnerabilità delle minoranze omosessuali e transessuali.
Da questo punto di vista, un intervento legislativo in tal senso avrebbe consentito, da un lato, di dare attuazione concreta al principio di non discriminazione ricavabile dall’art. 3, comma 1, della Costituzione e, dall’altro, di porre l’ordinamento giuridico italiano coerentemente in linea con le soluzioni legislative accolte dagli stati membri dell’Unione Europea, in tema di contrasto alle condotte omofobiche e transfobiche.
A questo proposito, infatti, gli studi comparatistici mostrano come il ricorso allo strumento penale, in particolare attraverso l’istituto della circostanza aggravante, costituisca la soluzione maggioritaria, nonché la sola che, nel nostro ordinamento, non porrebbe problemi di legittimità costituzionale rispetto al principio della libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.).
Il ruolo dei giudici
La prolungata inerzia legislativa, in tema di riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso, ha prodotto, quale sua diretta conseguenza, che fossero i giudici a svolgere un ruolo prevalente, chiamati a pronunciarsi sulle richieste di coppie che domandavano venisse loro riconosciuto il proprio status di coppia.
La sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2010
Un primo importante intervento in materia si è avuto a seguito di numerosi ricorsi presentati da coppie omosessuali, che si erano vista negata la possibilità di ottenere le pubblicazioni dall’ufficiale di stato civile.
Ci si riferisce, dunque, alla vicenda che ha portato il Giudice costituzionale a pronunciarsi con la nota sentenza n. 138 del 2012, in cui, per la prima volta, è stata affrontata la questione del riconoscimento del diritto al matrimonio alle persone dello stesso sesso.
Nella sua decisione, la Corte costituzionale ha ritenuto che la scelta di porre una disciplina generale, astrattamente realizzabile non soltanto attraverso un’estensione del diritto al matrimonio, ma anche in modi diversi, rientri nella sfera di discrezionalità che spetta al Parlamento, cui, il Giudice costituzionale rivolge un monito.
Più in particolare, la Corte costituzionale ha stabilito che spetta al Parlamento “nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni [potendo] accadere, infatti, che, in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza”.
Un altro punto molto importante della sentenza si rinviene nell’affermazione con cui la Corte costituzionale ha incluso le unioni omosessuali nel novero delle formazioni sociali protette a norma dell’articolo 2 della Costituzione.
La Corte costituzionale ha, infatti, riconosciuto che all’unione omosessuale, quale formazione sociale rilevante ai sensi dell’art. 2 Cost., debba essere riconosciuto il diritto fondamentale a vivere liberamente la propria condizione di coppia.
A questo proposito, cosi si è espressa la Corte costituzionale: “per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”.
La sentenza della Corte di Cassazione, n. 4184 del 15 marzo 2012
Un’altra importante decisione, a cui può farsi riferimento in questa sede, è rappresentata dalla sentenza resa dalla Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato da una coppia di cittadini italiani dello stesso sesso che intendevano ottenere la trascrizione in Italia del loro matrimonio celebrato in Olanda.
Nella sua decisione, la Corte di Cassazione, richiamando ampiamente le sentenze dalla Corte costituzionale (sent. 138/2010) e della Corte europea dei diritti dell’uomo sul caso Schalk & Kopf c. Austria, ha affermato che i componenti della coppia omosessuale, nonostante non possano far valere il diritto a contrarre matrimonio in Italia e quello alla trascrizione del matrimonio concluso all’estero, sono titolari del diritto alla vita familiare e del diritto inviolabile di vivere liberamente la loro condizione di coppia.
Inoltre, la Corte di Cassazione ha riconosciuto alle unioni omosessuali stabilmente conviventi il diritto a beneficiare di un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata, attraverso una tutela giurisdizionale per specifiche situazioni. Si tratta, quindi, di un’affermazione molto importante per quanto attiene alla tutela del principio di non discriminazione fra coppie eterosessuali ed omosessuali.
La sentenza del Tribunale di Reggio Emilia (13 febbraio 2012)
Infine, è importante richiamare la decisione del Tribunale di Reggio Emilia con cui è stato accolto il ricorso di un cittadino extracomunitario, sposato in Spagna con un cittadino italiano, a cui era stato negato il rilascio del permesso di soggiorno.
Il Tribunale di Reggio Emilia ha riconosciuto l’applicabilità della direttiva europea 2004/38 CE anche alle coppie sposate dello stesso sesso e ha affermato che, “una volta che sia stata accertata che si sia formata un’unione matrimoniale in un Paese dell’Unione, la libera circolazione del cittadino e del suo familiare deve essere garantita a prescindere dalla legge nazionale dei coniugi”.
Marilisa D’Amico