“Se avesse potuto, avrebbe scelto l’eutanasia”. Con queste parole il figlio del regista Carlo Lizzani ha commentato il suicidio del padre, avvenuto lo scorso 5 ottobre a Roma. Parole, che hanno riportato il tema dell’eutanasia al centro del dibattito: è giusto negare a una persona il diritto di scegliere il momento in cui abbandonare la propria vita? Ne parla Massimo Clara, avvocato e militante per i diritti civili.
A 91 anni, Carlo Lizzani si è dovuto buttare dalla finestra. Prima di lui Mario Monicelli. Lucio Magri andò in Svizzera. Piergiorgio Welby dovette addirittura trovare chi gli prestasse le mani per staccare la spina.
C’è un’attenzione morbosa di fronte alla morte e si spargono le lacrime regolamentari, ma la questione vera non viene affrontata. La questione è l’assenza di una legge che consenta la dolce morte, o eutanasia che dir si voglia.
I sondaggi non consentono dubbi, la legge è voluta dall’opinione pubblica, anche le raccolte di firme sulle proposte di iniziativa popolare hanno successo.
Ma l’ideologismo identitario blocca la politica e impedisce la discussione. Sappiamo tutti come sia pieno diritto di ogni cittadino decidere della propria salute e del se e del come delle proprie cure, e come sia un diritto – doloroso, ma ciascuno è libero – lo scegliere il momento in cui abbandonare la vita.
Senza una legge, o si va in Svizzera come Lucio Magri, o si deve morire come Lizzani e Monicelli, e non è né giusto né civile subire questa costrizione.
Tutti i nostri onorevoli devono sentire questa richiesta, devono prendere posizione, devono impegnarsi perché questo vuoto smetta di esistere. Come cittadini abbiamo la forza di essere elettori: usiamola.