4,8 milioni. Sono gli italiani che oggi, secondo l’ultimo rapporto Istat, vivono in condizioni di povertà assoluta. Il doppio, rispetto al 2005. Dati allarmanti, che portano a riflettere sulla necessità, da parte delle istituzioni, di mettere a punto nuovi strumenti adeguati per assicurare il diritto a un livello di vita adeguato per tutti i cittadini. Qualcosa sembra però muoversi: nelle ultime settimane infatti sono state presentate tre nuove proposte di intervento: eccole, in dettaglio.
Sembra finalmente che qualcosa si muova nel panorama italiano in favore delle persone che vivono in gravi condizioni di povertà.
Nelle ultime settimane sono state presentate diverse ipotesi di intervento per combattere la povertà nel nostro Paese.
Secondo i dati più recenti pubblicati dall’ISTAT le persone che vivono in povertà assoluta sono quasi raddoppiate in meno di dieci anni (da 4,1 nel 2005 a 8% nel 2012): parliamo di 4,8 milioni di italiani. A costoro, non è stato ancora riconosciuto il diritto ad una vita dignitosa, nonostante le norme costituzionali, le convenzioni internazionali sui diritti umani e i precisi indirizzi comunitari sull’importanza dell’inclusione sociale di tutti i cittadini. Val la pena ricordare che l’Unione europea ha ripetutamente affrontato il tema della povertà, sottolineando la necessità di mettere a punto strumenti adeguati per assicurare il rispetto della dignità umana ed il diritto ad una livello di vita adeguato, per promuovere la giustizia e la protezione sociale e lottare contro l’esclusione e la discriminazione anche attraverso il conseguimento della piena occupazione.
La prima Raccomandazione del Consiglio in tal senso è del giugno 1992 (n. 92/441/CEE) e riconosce che per il rafforzamento della coesione sociale nella Comunità occorre favorire la solidarietà nei confronti delle persone più svantaggiate e vulnerabili e che le persone escluse dal mercato del lavoro ”e che sono prive di mezzi di sostentamento, devono poter beneficiare di prestazioni e di risorse sufficienti, adeguate alla loro situazione personale”. Gli Stati sono pertanto invitati a riconoscere e tutelare “il diritto fondamentale della persona a risorse e a prestazioni sufficienti per vivere conformemente alla dignità umana” provvedendo ad adeguare i sistemi di protezione sociale nazionali a questo principio e ad attuarlo attraverso la definizione di criteri generali (definizione del campo di applicazione, possibilità di fruire del diritto per tutti coloro che non dispongono essi stessi, o nell’ambito del nucleo familiare in cui vivono, di risorse sufficienti; accesso al diritto senza limiti di durata, purché il titolare resti in possesso dei requisiti prescritti, ecc.)
A distanza di oltre dieci anni, nel 2008, la Commissione europea rilancia il tema della lotta alla povertà nella consapevolezza che, davanti al persistere di condizioni di marginalità ed esclusione sociale, di disoccupazione e di crescente complessità degli svantaggi che le persone e le famiglie vivono, occorre mettere a punto strategie globali e integrate di inclusione attiva, combinando adeguate misure di sostegno al reddito con percorsi di accompagnamento al mercato del lavoro e con l’accesso a servizi di qualità. Da qui l’emanazione della Raccomandazione del 3 ottobre 2008 relativa all’inclusione attiva delle persone escluse dal mercato del lavoro (2008/867/CE) che invita gli Stati a sviluppare politiche di inclusione attiva atte a facilitare l’integrazione delle persone in grado di lavorare in posti di lavoro sostenibili e di qualità e di assicurare a coloro che non ne sono in grado, risorse sufficienti per vivere dignitosamente, sostenendone la partecipazione sociale. Queste raccomandazioni si collocano nella più complessiva strategia di sviluppo economico e sociale delineata dall’Unione Europea, la cosiddetta “Agenda 2020” che indica l’obiettivo di ridurre di 20 milioni il numero di poveri nel continente entro il 2020.
Ebbene, nonostante lo stimolo forte dall’Europa l’Italia è rimasta l’unico Paese insieme alla Grecia a non essersi dotato di misure generali di intervento contro la povertà, come, ad esempio un reddito minimo di inserimento o altri dispositivi simili. Negli anni recenti l’unica misura varata a sostegno della povertà è stata la Social Card, che però si è rivelata uno strumento estremamente debole e insoddisfacente, sia per la portata limitata dell’importo, che per l’ individuazione dei beneficiari, fino al suo eccessivo carattere sperimentale.
Le proposte presentate nelle ultime settimane arrivano dal fronte governativo, da quello politico e dalla società civile. Il SIA, Sostegno per l’inclusione attiva, messo a punto dal Ministero del Lavoro e politiche sociali, il REIS, Reddito di inserimento sociale, messo a punto da ACLI e Caritas, il Reddito di Cittadinanza presentato dal Movimento 5 Stelle.
I primi due hanno diversi punti in comune: entrambi sono indirizzati alle persone in povertà assoluta; sia le soglie di accesso che gli importi sarebbero variabili secondo il differente costo della vita in Italia. Entrambi prevedono un sistema integrato tra erogazione di denaro e percorsi di accompagnamento assicurati dai servizi, per favorire l’inserimento lavorativo, a fronte di un impegno di tutti i componenti della famiglia beneficiaria tra i 18 e il 59 anni ad attivarsi e rendersi disponibili all’occupazione e/o alla formazione professionale. Entrambi prevedono un coinvolgimento attivo di Comuni e soggetti del Terzo Settore.
Il Reddito di cittadinanza invece presenta profili differenti. Innanzitutto il nome: che è improprio perché il “reddito di cittadinanza” è un contributo erogato a tutti i cittadini a prescindere dalla condizione economica (ne beneficiano in tutto il mondo solo i cittadini dell’Alaska). Sarebbe in realtà una sorta di reddito minimo indirizzato alle persone in condizione di povertà relativa: quindi il 12,7% delle famiglie italiane, pari a circa 9,5 milioni di persone. Il contributo è fisso ed è di 600€: non varia a seconda del costo della vita nelle diverse aree del Paese, non sembra prevedere il coinvolgimento di Comuni o Terzo Settore, anche se ancora non sono stati definiti i meccanismi per il suo funzionamento.
Recentemente, inoltre, è nata l’Alleanza contro la povertà in Italia (che raccoglie oltre ad ACLI e Caritas sindacati, Forum Terzo Settore, Action Aid, Save the Children, rappresentanze delle Regioni e dei Comuni), che ha l’obiettivo di svolgere una funzione di sensibilizzazione, pressione politica e proposta sulla lotta alla povertà nel nostro Paese.
A questo punto non rimane che augurarsi che dalla fase propositiva si passi celermente all’azione con l’approvazione di norme di legge che disciplinino finalmente anche nel nostro Paese un regime di sostegno al reddito per le persone in povertà assoluta.
Vox ne ha parlato anche qui