Una Onlus per combattere il tabù della malattia e raccontarla ai bambini, grazie a magiche avventure e al mondo del mare. Opera a Genova, e da poco anche a Mantova, “Il porto dei piccoli”, per aiutare genitori e medici ad affrontare il difficile percorso della malattia insieme ai pazienti più piccoli, senza cadere in atteggiamenti iperprotettivi o di pietismo. Uno staff che comprende pedagogisti, attori, educatori, psicologi e biologi marini, che organizza gite, progetti, attività per restituire ai piccoli pazienti la voglia di vivere e di superare i traumi subiti. VOX ha intervistato Gloria Camurati, ex insegnante e fondatrice de “Il porto dei piccoli”.
Perchè nasce il “Porto dei piccoli”?
Sono nata al mare e l’ho amato da sempre. I bambini li ho affiancati per anni nel mio percorso da insegnante, alcuni con problemi, tutti con bisogni; e poi sono una mamma e i miei figli sono sempre nei miei pensieri. Il desiderio di coniugare queste due entità, e di portare la vita del mare in mezzo ai bimbi che soffrono è stato il soffio che ha animato il “Porto dei piccoli”. La finalità principale è offrire momenti di gioco, evasione e apprendimento ai bambini e alle loro famiglie per portare un po’ di sollievo e serenità in una fase particolarmente difficile della loro vita, attraverso esperienze ricche di emozioni: dalle stanze d’ospedale alle banchine dei porti. Il tutto è sintetizzato dal nostro logo: una culla, che diventa una barchetta a vela, che navigando entra in un porto sicuro e accogliente.
In concreto, quali le vostre attività con i piccoli ricoverati?
In accordo con il personale medico e ospedaliero, i nostri operatori garantiscono una presenza quotidiana nelle corsie, festività comprese, proponendo una serie di attività diversificate e originali: laboratori ludico-didattici che hanno come filo conduttore il mare e la natura.
Ho iniziato da sola una volta la settimana nel reparto di Nefrologia dell’Istituto Gaslini di Genova e oggi siamo presenti ogni giorno con una quindicina di operatori che ruotano in tutti i reparti dell’Istituto e in tutte le pediatrie della Liguria. Da maggio siamo anche a Livorno e grazie alla nostra presenza al Festivaletteratura abbiamo iniziato una collaborazione con le pediatrie del mantovano.
La relazione con il paziente e la famiglia è al centro di tutte le nostre attività e per questo riserviamo grande attenzione alla selezione e alla formazione dei nostri operatori che, oltre ad avere competenze specifiche (biologi marini, psicologi, musicisti, teatranti, laureati in scienze ambientali, pedagogisti…), si preparano ad ascoltare i bisogni di ogni bambino incontrato. Ogni situazione è diversa e merita la massima attenzione. Inoltre, per i bimbi in cura e la loro famiglia, organizziamo attività in esterno (che noi chiamiamo “Esplorazioni”) alla scoperta del mondo fuori dall’ospedale. In particolare quello legato al mare e al porto, per vivere in prima persona quanto in precedenza potevano solo immaginare.
Quali sono i progetti più interessanti che avete promosso?
Credo che il più significativo sia “Il mare a casa tua“: dedicato ai bambini in terapia domiciliare o cure palliative. Vorrei citare anche il “Messaggio in bottiglia”, nato per creare un ponte tra l’ospedale e la scuola e per far conoscere la realtà ospedaliera anche ai bambini che non vivono l’ospedale e la malattia: la cultura del non pietismo ma solidarietà e amore.
Quanto conta l’ascolto e il racconto nella degenza dei pazienti più piccoli?
L’ascolto è tutto. Nel guidare i miei ragazzi dico sempre che a volte basta uno sguardo per capire quello di cui hanno bisogno in quel preciso momento i nostri bimbi. Noi non portiamo necessariamente un sorriso, ma una presenza professionale e preparata. Il raccontare, il “fare finta che” sono importantissimi, sia per fantasticare insieme e dimenticare la sofferenza, sia per conoscere e imparare. I bambini comprendono tutto ed è corretto, a loro misura, spiegare sempre ogni cosa. Ci caliamo insieme nell’avventura della malattia, ma senza parlarne. Facciamo laboratori con siringhe, mascherine, guanti in lattice… e li trasformiamo assecondando la fantasia di ogni bimbo, malato e non.
Qual è stata l’accoglienza da parte delle strutture e del personale ospedaliero?
Sempre buona. I miei operatori sanno che oltre ad entrare in un contesto particolarmente delicato sono “ospiti” in una struttura dove devono rapportarsi con medici, infermieri e terapie. Appena entrati in un reparto, fanno riferimento sempre alle caposala, che ci accolgono sempre con gentilezza e cordialità. Fin da subito l’intento è stato quello di essere una risorsa per le strutture e il personale ospedaliero, un aiuto, non un intralcio al loro lavoro. Affiancare le cure con “il prendersi cura”. Così è sempre stato e anche a Mantova, l’ultimo polo dove abbiamo portato un po’ di mare: lì abbiamo avuto un’ottima accoglienza.