1700 detenuti in una struttura costruita per 700 persone. Questa, la condizione nel carcere San Vittore di Milano secondo i dati forniti da Antigone, l’Osservatorio sulle condizioni di detenzione in visita negli istituti di pena più critici d’Italia. Mentre il tema del sovraffollamento carcerario rimane al centro del dibattito, VOX ha intervistato Maria Laura Fadda, magistrato di sorveglianza del tribunale di Milano, e Alessandra Naldi, Garante delle persone private della libertà personale del Comune di Milano e membro dell’associazione Antigone.
“Una città, tre carceri, tre modelli. E mentre a Bollate le celle restano aperte e i detenuti vengono reinseriti, a San Vittore la situazione è drammatica”.
Parla Alessandra Naldi, dell’Associazione Antigone
Qual è la condizione delle carceri milanesi?
Milano ha tre istituti penitenziari (la casa circondariale di San Vittore e le due case di reclusione di Opera e Bollate, che sono amministrativamente all’interno del comune di Milano) più l’istituto minorile “Cesare Beccaria”.
San Vittore è un istituto destinato ormai quasi esclusivamente a persone detenute in attesa di giudizio e soffre dei problemi più noti del sistema carcerario italiano: sovraffollamento, pessime condizioni igienico-strutturali, mancanza di attività trattamentali e ricreative e mancanza di spazi per queste attività.
Sovraffollamento a San Vittore significa che in celle costruite per una o massimo due persone vengono tenute anche cinque o sei persone, con un doppio letto a castello a tre piani che impedisce perfino l’apertura delle finestre e obbliga i reclusi a stare in piedi a turno. La struttura, costruita originariamente per 700 persone, ne ospitava all’inizio di quest’anno 1600/1700, con due dei sei raggi che formano il corpo principale dell’istituto, chiusi da diversi anni in attesa di una ristrutturazione che forse verrà avviata nel 2014.
Il regime a celle chiuse (che faticosamente si sta cercando di superare, ma che è ancora in vigore in buona parte dell’istituto) costringe a vivere in queste condizioni fino a 21 ore al giorno, anche perché l’organizzazione interna del carcere impone di concentrare nelle tre ore residue, in coincidenza con l’apertura delle celle per le “ore d’aria” tutte le attività possibili: colloqui, attività ricreative, contatti con i volontari ma anche l’igiene personale, come farsi la doccia (nelle sezioni che hanno ancora le docce comuni) o farsi tagliare i capelli.
In queste condizioni è evidente l’impossibilità di garantire ai detenuti un livello adeguato di sostegno e di assistenza (medica, psicologica, sociale), nonostante si tratti di una popolazione che ne avrebbe particolarmente bisogno: molti detenuti manifestano infatti problemi personali, legati alla tossicodipendenza, all’indigenza e al disagio sociale. Particolarmente difficile è la situazione dei detenuti portatori di problemi di ordine psichico (circa il 30% dei detenuti sono in terapia per problemi di salute mentale). Da segnalare inoltre che circa il 70% dei detenuti a San Vittore sono cittadini stranieri, quasi tutti irregolari in Italia.
Opposta, è la situazione nel “carcere modello” di Bollate: qui le celle restano aperte durante il giorno, i detenuti possono muoversi all’interno delle sezioni e in parte anche all’interno dell’intero carcere grazie al sistema della “sorveglianza dinamica”; la percentuale dei detenuti inseriti in attività lavorative è molto elevata, e anche chi non lavora è impegnato in altre attività trattamentali e rieducative.
Opera è un carcere che si sta trasformando: da carcere particolarmente “duro”, riservato in gran parte a persone detenute inserite nei circuiti di AS e 41bis, dovrà diventare una casa di reclusione sul modello di quella di Bollate anche con lo spostamento di molti detenuti definitivi del circuito della media sicurezza provenienti dallo sfollamento di San Vittore. Anche a Opera si sta introducendo l’apertura diurna delle celle; nei prossimi mesi verificheremo con quale estensione e con quali risultati. Il problema qui è la scarsità di attività lavorative, per cui è necessario un investimento per portare in questo carcere nuove attività.
Tratto distintivo di Opera è anche la presenza di un Centro Diagnostico Terapeutico altamente specializzato, che ospita detenuti con gravi problemi di salute o infermità (molti, gli invalidi). Su questo ritengo che si debba intervenire perché in molti casi la detenzione dovrebbe essere sostituita con modalità di esecuzione della pena più adeguate allo stato di salute delle persone.
Quanto incidono le leggi Fini-Giovanardi (che prevede la carcerazione anche per il possesso di quantità minime di droghe leggere) o la Bossi-Fini (che ha introdotto il reato di immigrazione clandestina e la carcerazione per chi è stato espulso e rientra o resta in Italia senza permesso di soggiorno) sul problema del sovraffollamento delle carceri?
I dati, a livello nazionale, parlano di circa il 40/45% di persone detenute in Italia per gli effetti della legislazione sugli stupefacenti, a fronte di percentuali molto più basse negli altri stati europei, e di una notevole quantità di persone detenute per aver commesso reati in qualche modo correlati al consumo e abuso di droghe. Per queste persone, i vincoli posti dalla legge Cirielli sulla recidiva hanno comportato negli scorsi anni una notevole difficoltà ad accedere a percorsi esterni al carcere, ingolfando il sistema penitenziario di persone che avrebbero bisogno di un trattamento terapeutico che il carcere fatica a garantire.
Per quanto riguarda gli stranieri, a San Vittore costituiscono circa il 70% della popolazione detenuta. Per loro le misure alternative sono quasi sempre precluse ed è difficile anche ottenere l’inserimento in percorsi trattamentali e rieducativi stante la prospettiva di espulsione a fine pena. È evidente come si tratti di un effetto della legislazione sull’immigrazione; non bisogna però pensare a un effetto diretto del reato di clandestinità o della reclusione legata alla non ottemperanza al decreto di espulsione: ciò che porta gli stranieri in carcere è soprattutto l’assenza di prospettive di integrazione e di regolarizzazione per chi è arrivato irregolarmente in Italia o per chi ha visto scadere il permesso di soggiorno. È ovvio che, non potendo accedere a lavori regolari, la microcriminalità (perché si parla quasi sempre di criminalità micro, non di reati gravi o di organizzazioni criminali) per alcuni può diventare una scelta quasi obbligata. C’è poi la questione dei giovanissimi autori di reato nati o cresciuti in Italia da genitori stranieri, che non hanno ottenuto la cittadinanza italiana, e per cui l’espulsione alla fine della pena significa l’invio verso un paese per loro totalmente straniero.
L’Associazione Antigone nasce per monitorare e controllare le condizioni critiche e difficili in cui i detenuti sono costretti a vivere. Come sta affrontando, nel concreto, questa emergenza? Quali sono le sua attività?
L’associazione Antigone si occupa del rispetto e della tutela dei diritti nel sistema penale. Svolge attività di denuncia, di elaborazione teorica e di promozione politica e culturale, ma anche attività di intervento per la tutela dei diritti individuali violati (si veda ad esempio l’attività del “Difensore civico informale”). Da molti anni promuove un “Osservatorio sulle condizioni di detenzione in Italia” che, grazie a un’autorizzazione concessa annualmente dal Dap, visita gli istituti penitenziari e pubblica un Rapporto sulle condizioni detentive.
Quale rimedio ritiene sia più efficace per combattere il problema del sovraffollamento carcerario in Italia? Esistono modelli o soluzioni che possano rappresentare un valido esempio da seguire?
Occorre andare alle radici del sovraffollamento, modificando le leggi già citate (“Fini-Giovanardi”, “Bossi-Fini”, “Cirielli” per le norme sulla recidiva), ampliando le possibilità di accesso alle misure alternative alla detenzione (sia dal punto di vista normativo, sia aumentando le risorse sul territorio per offrire housing e lavoro alle persone che già adesso potrebbero scontare la pena fuori dal carcere) e introducendo istituti come quello della “messa alla prova” già esistenti nel sistema minorile e in quello penale per adulti di molti altri paesi europei ed extraeuropei. Occorre cominciare a pensare al carcere come “extrema ratio”, estendendo le possibilità di scontare la pena al di fuori delle mura detentive. E occorre, infine, mettere mano al Codice Penale per depenalizzare molti reati per cui la carcerazione si è rivelata una risposta del tutto inadeguata.
Vox ha affrontato la questione anche qui