L’Italia si piazza al 45esimo posto nella classifica delle nazioni più felici del mondo. È quanto emerge dal rapporto annuale dell’ONU che vede il nostro Paese perdere ben 17 posizioni rispetto al 2012, mentre Danimarca, Norvegia e Svizzera rimangono stabili ai primi tre posti. Condotta dal 2011, la ricerca ha lo scopo di mostrare come il benessere e la felicità possano essere usati per valutare i progressi delle nazioni. VOX, Osservatorio Italiano sui Diritti, ha chiesto a Matteo Ricci, autore del libro “L’Italia alla ricerca della felicità” (Aiep Editore), vicepresidente del Partito Democratico e presidente della provincia di Pesaro e Urbino, di spiegarci perché i valori immateriali siano oggi davvero importanti nella creazione di un modello di sviluppo di un Paese.
“L’Italia alla ricerca della felicità” è il viaggio di un amministratore locale chiamato a fronteggiare le difficoltà della crisi economica, «tra bisogni crescenti e risorse calanti». Da dove nasce questo libro?
Da una sera passata al cinema. Dalla visione del film “La ricerca della felicità”, di Gabriele Muccino: un film importante, perché racconta in modo diretto e coinvolgente i guasti e le sofferenze prodotti da una certa versione del sogno americano, che ha avuto il suo apice nell’era reaganiana. Un modello distorto, che ha fatto credere all’Occidente di poter guidare il mondo. Ho scritto questo libro per riflettere da una prospettiva diversa, che consenta di guardare da sinistra, e con occhi da europeo, alla reale possibilità di mettere in pratica il diritto sancito proprio dalla Costituzione americana: il diritto alla felicità, appunto. Penso sia tempo di dar vita a una visione più democratica, più progressista, della vita e della società.
Gli indicatori sul benessere e la qualità della vita vedono l’Italia allinearsi sempre tra le ultime posizioni. Come interpreta questi dati?
Dobbiamo costruire un nuovo modello di sviluppo, e dobbiamo poterlo misurare in modo differente, attraverso nuovi indicatori del progresso. Il nodo è tutto lì: rivedere le regole del gioco, archiviare i meccanismi che non hanno superato la prova del tempo. Perchè la crisi economica indica che siamo al capolinea di un paradigma culturale. E come avviene in ogni crisi, anche in questa fase storica, l’opportunità è di rivedere luoghi comuni e coazioni a ripetere che non riflettono più la complessità della fase che stiamo attraversando. Siamo di fronte a una nuova sfida, possiamo finalmente tornare a usare parole forti, possiamo parlare di speranza e di coraggio. E possiamo soprattutto tornare far leva sui valori umani di fondo.
Da diversi anni, in Bhutan, il PIL è stato sostituito dal FIL (Felicità Interna Lorda). Lei crede che un modello simile possa in futuro venire adottato anche in Italia?
Noi ci stiamo già muovendo in tal senso, grazie all’azione di Enrico Giovannini, ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali. E’ un’azione importante che anche noi, in collaborazione con l’Istat, abbiamo sviluppato e rilanciato a livello territoriale, con un progetto sul Bes che per le province italiane rappresenta l’avanguardia nazionale.
È realizzabile una “politica della felicità”? Quali passi indispensabili dovrebbero compiere le Amministrazioni Locali per poterla attuare?
Il nuovo indicatore comprende varie dimensioni: l’ambiente, la cultura, la formazione, ma anche l’istruzione e l’integrazione, solo per fare alcuni esempi. Insistere su politiche virtuose nei confronti di questi parametri è una sfida culturale per gli enti locali, che, dal mio punto di vista, può rappresentare una scommessa anche per il Paese. Penso che in un momento come questo sia importante non solo resistere ma anche pianificare il futuro. E’ anche il compito di una politica che guarda al bene comune.
Il Diritto Alla Felicità
Nella Dichiarazione di Indipendenza americana è scritto “che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono detentori di diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà, e la ricerca della felicità: che allo scopo di garantire questi diritti sono stati creati i governi…”. E’ durante un viaggio negli Stati Uniti che Matteo Ricci si è ispirato per il suo libro “L’Italia alla ricerca della felicità” considerando che già Robert Kennedy, il 18 Marzo del 1968 pronunciava, presso l’università del Kansas, un discorso nel quale evidenziava l’inadeguatezza del PIL come indicatore del benessere delle nazioni economicamente sviluppate. Attualmente, studiosi in tutto il mondo parlano di indici non economici per valutare il progresso ed il benessere di una società, e anche in Italia L’ISTAT ed il CNEL hanno un progetto per valutare statisticamente l’indice BES per la crescita che non consideri solo parametri economici.
Non tutti sanno, però, che Benjamin Franklin, il padre della dichiarazione d’indipendenza americana, non si attenne al consiglio del filosofo John Locke di introdurre nella dichiarazione d’indipendenza il “diritto alla proprietà”, ma inviò in Italia dei suoi emissari i quali contattarono il giurista, filosofo e patriota napoletano Gaetano Filangeri, che aveva introdotto il concetto di “diritto alla felicità” nella sua opera “La Scienza della Legislazione” e a questo Franklin si ispirò.
La felicità quindi come diritto inalienabile è un concetto della tradizione culturale e giuridica Italiana, infatti, sempre nel 700 un progetto di costituzione del Gran Ducato di Toscana sanciva il diritto alla felicità.
L’articolo 3 della Costituzione è l’articolo che sancisce il diritto alla felicità nella nostra Costituzione?
Mentre sono stati posti molti paletti all’art 3 dalle interpretazioni della Corte, non bisognerebbe fare, invece, il percorso inverso, ed interpretarlo in modo esteso come diritto alla felicità ? Infatti, il diritto alla felicità sembra essere la madre di tutti i diritti: se si è discriminati, se si è trattati come cittadini di serie B, se si è soggetti a violenza per quello che si è, per la propria condizione, se non si ha un reddito assicurato, non si potrà mai essere felici. Allora una politica che riscopre la sua vocazione di servizio ai cittadini, alla comunità, che progetta il futuro, che ritrova il senso del suo operare nelle radici della cultura Italiana, non può che avere al centro del suo agire il rimuovere gli ostacoli che impediscono a tutti di sentirsi cittadini pieni, di uguali diritti e di trovare, attraverso il proprio progetto di vita, la felicità
Giuseppe Rotondo