Il nuovo Regolamento edilizio del comune di Milano, in via di discussione, prevede per la prima volta l’obbligo per tutti i negozi di munirsi di un campanello esterno e di una rampa mobile per facilitare l’accesso dei disabili. È un passo importante, anche se ancora troppe sono le barriere che rendono difficile la vita di chi soffre di disabilità. In Italia, sono circa 3 milioni i disabili e circa il 40% di questi si scontra ogni giorno con difficoltà di ogni genere.
Mentre lanciamo la “Mappa dell’Intolleranza” che ha, tra i suoi intenti, anche quello di mappare termini discriminatori nei confronti delle persone diversamente abili, riflettiamo sulla questione.
Due diverse vicende hanno di recente richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica sui diritti delle persone con disabilità. All’inizio di gennaio è apparsa sui quotidiani la notizia che all’interno del nuovo Regolamento edilizio del Comune di Milano, attualmente all’esame della competente commissione del Consiglio comunale, verrà inserita una norma volta a prevedere l’obbligo, per tutti i negozi e gli esercizi commerciali, di munirsi di un campanello esterno e di una rampa mobile a disposizione delle persone con disabilità. Secondo tale norma, il meccanismo previsto dovrebbe consentire alle persone con disabilità, ogni qualvolta vorranno accedere ai negozi, di suonare il predetto campanello al fine di richiedere l’installazione temporanea della rampa.
In attesa di verificare se la norma proposta verrà alla fine dell’iter consiliare effettivamente approvata, si è registrata molta soddisfazione da parte delle associazioni che tutelano i diritti delle persone con disabilità. Soddisfazione certamente condivisibile, ma che non può far dimenticare che, in realtà, nel nostro Paese, già da oltre quarant’anni vigono norme (cfr. già la Circolare del Ministro dei Lavori Pubblici n. 4809 del giugno del 1968, e, di lì a breve, anche, con un atto avente forza di legge, l’art. 27 della legge n. 118 del 1971) volte ad assicurare, in modo sempre più completo (il pensiero corre a quanto previsto nella legge n. 13 del 1989, al decreto ministeriale n. 236 del 1989, alla legge n. 104 del 1992 e al d.p.r. n. 503 del 1996) la fruizione di tutti gli edifici da parte delle persone con disabilità.
Norme che evidentemente trovano però ancora molta fatica ad essere concretamente applicate, come dimostra il fatto che, sempre a Gennaio del 2014, lo stesso Comune di Milano ha deciso di condannare con la sanzione amministrativa della multa di 500 euro e con la chiusura per trenta giorni – seppure non continuativi – una nota discoteca della città che, nel marzo del 2013, aveva negato l’accesso ad un concerto ad una ragazza con disabilità motoria in ragione delle barriere architettoniche poste all’ingresso della discoteca stessa.
In particolare, la presenza di pochi gradini aveva reso impossibile alla ragazza, giunta nel capoluogo milanese dalla provincia di Bergamo, di accedere al locale e di assistere ad un concerto per il quale aveva regolarmente e anticipatamente pagato il biglietto e per il quale l’accessibilità era stata oltretutto espressamente assicurata dagli organizzatori del concerto, con l’emanazione di un apposito biglietto dedicato alle persone con disabilità.
In realtà, al momento di entrare nel locale, anche gli organizzatori del concerto si erano accorti che l’unico modo con il quale sarebbe stato possibile superare i gradini sarebbe stato il sollevamento a braccia della carrozzina elettrica. Il peso della stessa carrozzina, però, aveva consigliato di desistere e la ragazza era stata quindi costretta a tornare a casa senza poter assistere al concerto.
La sanzione di cui si è detto è stata emanata dal Comune di Milano a seguito dell’istanza presentata dalla LEDHA (Lega per i diritti delle persone con disabilità) – una tra le più importanti associazioni che, nel territorio lombardo, si occupano di tutelare i diritti delle persone con disabilità – che ha segnalato il comportamento discriminatorio operato dalla discoteca.
Le due vicende sinteticamente riassunte sottolineano come il nostro Paese sia ancora ben lontano dalla piena attuazione dei diritti delle persone con disabilità.
È generalmente riconosciuto che, come in altri settori del nostro ordinamento giuridico, anche in questo campo non siano gli strumenti giuridici a mancare. Anzi, si può dire senza timore di essere smentiti che, per quanto concerne l’impianto normativo, l’approccio italiano al tema delle disabilità sia, per molti aspetti, all’avanguardia rispetto a quanto succede nel resto del mondo. Si pensi ad esempio all’inclusione scolastica, che vede il nostro Paese privilegiare la frequenza nelle scuole ordinarie, anziché nelle scuole speciali, a differenza di quanto accade in molti altri paesi europei.
Come accennato, anche il tema delle barriere architettoniche è stato disciplinato già con il d.m. 236 del 1989 seguendo una concezione che sarebbe stata riconosciuta valida, a distanza di oltre quindici anni, anche dalla Convenzione ONU sulle persone con disabilità del 2006. Il riferimento è in particolare al fatto che il citato decreto definiva “barriera architettonica” ogni ostacolo fisico fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea. Dunque, evidenziando come le barriere architettoniche possono ostacolare la mobilità di tutti, e non solo delle persone con disabilità, già nel 1989 si riconosceva implicitamente come la disabilità non dipenda soltanto dalla menomazione fisica, ma sia in realtà causata anche dalle barriere ambientali, sociali e comportamentali. Punto, questo, che costituisce il perno su cui ruota tutta la Convenzione Onu.
Nonostante ciò, i due episodi che si sono segnalati – come molti altri che con una frequenza disarmante testimoniano atteggiamenti discriminatori nei confronti delle persone con disabilità – dimostrano che il pur pregevole impianto normativo vigente sconta una evidente difficoltà nell’attuazione quotidiana. Cosa che, molto probabilmente, è legata a doppio filo con una cultura delle disabilità che, nel nostro Paese, pare ancora legata a stereotipi e pregiudizi difficili da superare, primo fra tutti quello per cui la persona con disabilità sia esclusivamente bisognosa di provvidenze di carattere assistenzialistico.
Ben vengano, invece, vicende che richiamino innanzitutto la necessità di porre al centro sempre le persone, prima delle disabilità, e ricordino, con gli articoli 3 della nostra Costituzione e della Convenzione Onu, che esse, come ogni altra persona, sono in primo luogo titolari del diritto fondamentale ad una piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società sotto ogni profilo, ivi compresi quello di fare acquisti in tutti i negozi e di assistere ad un concerto in una discoteca.