La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha condannato il nostro Paese per aver negato a una coppia di coniugi di Milano la possibilità di dare alla figlia il cognome materno. La sentenza, l’ennesima, arriva dopo quelle legate alla procreazione medicalmente assistita, al sovraffollamento carcerario, alle unioni omosessuali e alla presenza di simboli religiosi nei luoghi pubblici.
Perché nelle nostre istituzioni la sensibilità ai diritti civili è ancora così scarsa?
Il 7 gennaio, il giorno dopo l’Epifania, la Corte europea dei diritti dell’Uomo la festeggia, pensa ai bambini, e riconosce il diritto di dare al figlio il cognome della madre.
Questione essenziale se pensiamo al principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, questione ignorata per decenni dal legislatore italiano (e senza attenuanti: non pare certo una riforma che pesi sull’erario….). Il giorno dopo, il governo si muove e presenta un disegno di legge. Meglio tardi che mai ma la vicenda impone un paio di riflessioni.
La prima. Per quale motivo l’attenzione a questi temi, la sensibilità nei confronti dei diritti civili, sono così modeste nelle istituzioni italiane? L’opinione pubblica è certamente favorevole, il costume sociale è sempre molti passi avanti, ma la legge arriva lenta ed in ritardo. Nelle istituzioni c’è un grumo di conservatorismo, di abbandono all’inerzia, di ostilità preconcetta nei confronti dei tempi nuovi, e questa insensibilità allontana sempre piú il cittadino dallo Stato. Il Testamento biologico? Il Registro delle Unioni Civili? Quanto tempo e fatica sono occorsi per affrontare, per giunta molto parzialmente, realtà che sono sotto gli occhi di tutti?
La seconda. La società civile procede, la capacità della politica di rispondere alle sue esigenze è quasi nulla. Ed allora il diritto allarga la sua sfera di influenza, ed in particolare il diritto comunitario europeo supplisce all’ inerzia del legislatore italiano. C’è da ricordarsene, di fronte a tanta demagogia localista ed identitaria.