Il prossimo 8 aprile la Corte Costituzionale deciderà se alcune delle disposizioni maggiormente problematiche della legge 40, quella riguardante il divieto assoluto posto alla donazione dei gameti esterni alla coppia e quelle sui limiti alla ricerca scientifica sugli embrioni, sono costituzionalmente illegittime (leggi l’articolo). Prossimamente, la Corte si pronuncerà anche in merito al divieto per le coppie nè sterili nè infertili, ma portatrici di malattie genetiche trasmissibili, di accedere alla diagnosi preimpianto.
La Corte costituzionale si occuperà per la seconda volta della questione relativa al divieto assoluto posto alla donazione dei gameti esterni alla coppia che accede alla procreazione assistita (cd. fecondazione eterologa, art. 4, comma 3).
Ormai due anni fa la Corte costituzionale aveva deciso di chiedere ai giudici (i Tribunali di Firenze, Catania e Milano, che avevano sollevato una prima volta la stessa questione di legittimità costituzionale) di rivalutare la questione, alla luce della decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo resa nei confronti dell’Austria in relazione al divieto, in parte analogo, posto alle tecniche eterologhe e giudicato compatibile rispetto alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.I tre Tribunali hanno però deciso di risollevare la questione e a tale proposito si può ritenere che la Corte costituzionale si esprimerà sul merito della stessa senza, questa seconda volta, poter fare esclusivo riferimento alla pronuncia della Corte Europea, così come ha fatto con l’ordine di restituzione degli atti ai giudici remittenti nel 2012, con ordinanza che è stata particolarmente criticata.
Per saperne di più:
Ordinanza n. 150 del 2012 della Corte costituzionale, in www.cortecostituzionale.it.
M. D’Amico – B. Liberali (a cura di), La legge n. 40 del 2004 ancora a giudizio, FrancoAngeli, Milano, 2012
La libertà di ricerca scientifica sugli embrioni
Inoltre, al giudizio della Corte costituzionale è stata portata anche la questione di legittimità costituzionale relativa alle limitazioni poste dalla stessa legge n. 40 del 2004 alla libertà di ricerca scientifica sugli embrioni (art. 13).
In particolare, viene in rilievo la mancata differenziazione di due casi che potrebbero presentarsi: da un lato, il caso in cui si intenda creare embrioni al solo scopo di destinarli ad attività di ricerca e di sperimentazione; dall’altro lato, il caso, ben diverso, in cui si intenda utilizzare i numerosi embrioni, che sono da anni in stato di crioconservazione e che per questo mai verranno impiantati, ai medesimi fini di ricerca, i cui risultati potrebbero essere utilmente posti a vantaggio di altri embrioni o addirittura di chi è già persona.
Vox – Osservatorio italiano sui diritti è intervenuta nel giudizio davanti alla Corte costituzionale, con un intervento teso a sostenere le ragioni della illegittimità costituzionale dei limiti alla ricerca scientifica (leggi l’articolo)
Per saperne di più:
Ordinanza di rimessione del Tribunale di Firenze n. 166 del 2013, in www.cortecostituzionale.it.
Il consenso prestato alle tecniche assistite.
La Corte costituzionale è chiamata, per la seconda volta, a decidere sulla questione relativa alla legittimità costituzionale della previsione di cui all’art. 6, comma 3, in tema di irrevocabilità del consenso prestato dalla donna durante la procreazione assistita.
Dopo che nel 2009 (con la nota sentenza n. 151) ne era stata dichiarata la manifesta inammissibilità, si può auspicare che questa volta la Corte costituzionale si pronuncia nel merito della stessa, anche in considerazione del fatto che già con la sentenza n. 151 si è introdotta una deroga al divieto assoluto di crioconservazione degli embrioni e si sono ampliati i casi in cui è consentito il rinvio del trasferimento in utero degli stessi, in ragione di pregiudizi per la salute della donna anche prevedibili al momento della fecondazione.
Per saperne di più:
sentenza n. 151 del 2009 della Corte costituzionale, in www.cortecostituzionale.it;
M. D’Amico – I. Pellizzone (a cura di), I diritti delle coppie infertili. Il limite dei tre embrioni e la sentenza della Corte costituzionale, FrancoAngeli, Milano, 2010
Il divieto di accedere alla diagnosi genetica preimpianto per le coppie che, pur non essendo sterili, sono portatrici di gravi malattie geneticamente trasmissibili.
Il 14 gennaio 2014 il Tribunale di Roma ha sollevato un’altra questione di legittimità costituzionale sulla legge n. 40 del 2004, in materia di procreazione medicalmente assistita.
Il giudice dubita della legittimità costituzionale delle disposizioni della legge che non consentono l’accesso alla procreazione assistita e quindi anche alla diagnosi genetica preimpianto per quelle coppie che, pur non essendo né sterili né infertili, sono portatrici di gravi malattie genetiche e per le quali quindi l’esame diagnostico preimpianto rappresenta l’unica possibilità per conoscere lo stato di salute dell’embrione ed evitare il ricorso all’aborto terapeutico durante la gravidanza.
Il Tribunale di Roma, in particolare, solleva la questione in relazione agli artt. 2, 3, 32 e 117 Cost.
In relazione agli artt. 2, 3 e 32 Cost. il giudice rileva come tra i diritti inviolabili rientrino anche il diritto della coppia a un figlio sano e quello di autodeterminazione nelle scelte procreative. In questa prospettiva, il divieto di ricorrere alla diagnosi genetica preimpianto – stante il divieto di accedere alle tecniche procreative assistite – rappresenta per tale categoria di coppie una lesione di questi diritti, determinando una discriminazione irragionevole fra le stesse coppie in ragione dei mezzi economici che possono consentire solo ad alcune di recarsi all’estero per ottenere l’esame richiesto. Inoltre, si determina un effetto paradossale, relativo al fatto che se pure da un lato è impedita l’esecuzione di questo esame diagnostico, dall’altro lato è pur sempre concessa la possibilità – in presenza delle medesime condizioni come l’accertamento di una grave patologia del feto – di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza (art. 6, legge n. 194 del 1978). In questa prospettiva, dunque, anche il diritto alla salute sia fisica sia psichica della donna viene compromesso, poiché viene costretta a procreare naturalmente con il rischio di doversi successivamente sottoporre a un intervento interruttivo della gravidanza.
Questo profilo di incoerenza dell’ordinamento italiano è stato peraltro accertato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che, nel caso Costa e Pavan contro l’Italia del 2012, ha stabilito che una simile limitazione viola la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
A fronte di questa decisione è interessante rilevare come il Tribunale di Roma successivamente adito dalla stessa coppia (Costa e Pavan) abbia deciso di dare immediata e diretta esecuzione alla decisione della Corte Europea, riconoscendo in capo alla coppia il diritto di accedere alla diagnosi preimpianto con ciò disapplicando la legge n. 40, anziché sollevare la relativa questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale.
Si può peraltro ricordare come già nel 2010 il Tribunale di Salerno fosse pervenuto a una discutibile interpretazione costituzionalmente conforme (pur condivisibile quanto al risultato raggiunto per il caso concreto), riconoscendo il medesimo diritto a una coppia né sterile né infertile, ma portatrice di grave malattia genetica, ma superando la chiara lettera della legge.
L’ordinanza di rimessione del 14 gennaio 2014 del Tribunale di Roma offre finalmente alla Corte costituzionale l’occasione per pronunciarsi su una questione che, fino ad adesso, non era ancora stata sottoposta al suo giudizio e in relazione alla quale permane, ancora oggi, uno stato di inerzia da parte del Legislatore.
Per saperne di più:
Decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso COSTA e PAVAN contro ITALIA, reperibile qui