“Il Parlamento non dovrebbe ignorare il problema delle scelte di fine vita ed eludere un sereno e approfondito confronto di idee sulle condizioni estreme di migliaia di malati terminali in Italia”. Con queste parole, il Presidente Giorgio Napolitano ha lanciato un appello alle forze politiche, perché affrontino il tema dell’eutanasia. Un diritto, che ancora oggi fatica a essere riconosciuto e legittimato. Ne riflette per Vox Massimo Clara, avvocato e militante dei diritti civili.
Ancora pochi giorni fa Giorgio Napolitano ha ricordato al Parlamento la tematica del fine vita e l’ opportunità di un intervento legislativo che definisca le procedure ed eviti zone di dubbio.Cominciamo con il dire che in realtà il diritto di decidere della propria salute e delle proprie cure già esiste, così come già esiste il diritto di non essere sottoposti a cure che – per qualsivoglia motivo – non si accettano, a prescindere dalle opinioni dei medici e/o dei parenti. Lo dice la Costituzione, lo ha detto la Cassazione con la prima sentenza Englaro. Qualsiasi cittadino non deve subire ed ha il diritto di far cessare trattamenti medici non voluti (ovvero: non si fa “il bene” del paziente immaginando un bene oggettivo che valga per tutti, ma si applica a ciascuno ciò che appunto ciascuno ritiene “il bene per sé”).
Diritto alla salute e diritto all’autodeterminazione vengono così a coincidere: fondamentale è il consenso informato – a garanzia della piena conoscenza che costituisce il fondamento delle scelte del paziente – e decisivo è che il cittadino, tramite le proprie Disposizioni Anticipate di Trattamento, possa indicare e determinare quali debbano essere le cure cui essere o non essere sottoposto in caso di perdita definitiva della coscienza (per chiarezza: tutte le cure devono essere valutate e decise, comprese alimentazione, idratazione e ventilazione, dato non avrebbe senso alcuno imporre, a chi ha dichiarato di rifiutarli e poi ha perduto la coscienza, trattamenti che il paziente cosciente può in qualsiasi momento rifiutare o ordinare di sospendere).
Va certamente respinto l’ideologismo di chi, dichiarandosi paladino della vita, vuole imporre a tutti il proprio personale modello di vita e di valori; e possiamo anche rinunciare ad espedienti linguistici quale l’ espressione “accanimento terapeutico”, la logica esclude che possano coesistere la negatività dell’ accanimento e la positività della terapia.Ciò che deve essere garantito è che il personale sanitario possa sempre conoscere la volontà del paziente, e disponga di una procedura che garantisca tanto il diritto alle cure palliative ed alle terapie del dolore, quanto il rispetto della volontà del paziente.
Per questo una legge può essere utile, senza invasioni del campo della dignità personale che la Costituzione garantisce. Del mio corpo, della mia salute, della mia vita l’unico padrone sono e non posso essere che io.