Dopo il recente scandalo del Data Gate statunitense (che ha visto la raccolta di oltre 70 milioni di metadati dagli utenti di tutto il mondo n.d.r.), il diritto all’oblio, ovvero la possibilità di cancellare dati o informazioni sulla rete, è tornato prepotentemente alla ribalta. Quanto sono a rischio i nostri dati personali? Cosa dice la legge in proposito? Come possiamo tutelare la nostra immagine sul web? Secondo le ultime indagini, sono 4 milioni i dati sensibili che ogni giorno finiscono in rete mettendo a rischio la nostra privacy.
L’evoluzione tecnologica offre, rispetto ai diritti dei cittadini, innumerevoli opportunità, ma non manca, al contempo, di sollevare minacce nuove nei loro confronti. L’esigenza di definire regole adeguate a proteggere i diritti dei cittadini, del resto, si manifesta proprio in quei settori in cui la disciplina, approntata con riferimento alle tecnologie “tradizionali”, si rivela inappagante e incapace di rispondere alle nuove esigenze di tutela imposte dalle nuove tecnologie.
L’esempio più lampante è rappresentato, in questo senso, dalla protezione dei dati personali, annoverato fra i diritti cosiddetti “di terza generazione”, di cui proprio lo sviluppo tecnologico ha posto in luce l’esigenza di una tutela. Non è casuale, infatti, che la diffusione di Internet e l’evolversi delle modalità del fare informazione abbiano reso evidente la precarietà di un impianto normativo (di matrice europea) concepito in epoca anteriore all’attuale stadio di avanzamento tecnologico, stimolando iniziative di riforma tese a produrre regole specifiche, sensibili alle peculiarità del mezzo.Testimonianza di questa volontà e, più in generale, di tale movimento riformatore, è la proposta di un Regolamento sulla protezione dei dati personali consegnata nel febbraio del 2012 dalla Commissione europea, e tuttora allo studio delle istituzioni europee. Non è dato sapere se tale progetto, da lungo intrappolato nei cassetti della burocrazia e vicino, più volte in questi anni, ad arenarsi, sortirà o meno esiti significativi. Per il momento, di questo ampio disegno di riforma si apprezza certamente l’attenzione specifica rivolta al tema del diritto all’oblio, al quale la bozza di Regolamento dedica una specifica disposizione.
In Europa…
Nel frattempo, però, l’Avvocato generale, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale pendente avanti alla Corte di giustizia, si è premurato di precisare che non esiste un vero diritto all’oblio nel quadro normativo vigente nell’Unione europea; nemmeno valorizzando le norme contenute nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (l’art. 7 e l’art. 8) o richiamando l’elaborazione della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia (sull’art. 8 della Convenzione), è possibile ricavare un diritto giuridicamente tutelato dell’interessato a pretendere la cancellazione da Internet dei contenuti che offrono una proiezione non genuina della propria persona.
E in Italia?
Ad approdi diversi sembrano dirigersi, invece, i giudici italiani.
Va premesso che campo privilegiato dell’indagine di queste tematiche è rappresentato dall’informazione giornalistica. Quasi sempre, le decisioni dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali e delle corti hanno riguardato la perdurante diffusione di notizie, contenute negli archivi online dei giornali, ritenute dai diretti interessati non offrire una rappresentazione attuale della propria identità personale. E del resto, il trattamento di dati può senz’altro protrarsi nel tempo, se una notizia conserva interesse pubblico, per finalità giornalistiche ovvero, se tale interesse è venuto meno, solo per finalità storico-archivistiche. La circolazione delle notizie contenute negli archivi, tuttavia, è oggi agevolata dall’attività dei motori di ricerca, soliti operare indicizzando i contenuti delle pagine web per consentire agli utenti di soddisfare le proprie ricerche. Motori di ricerca che, appunto, non si esimono dall’indicizzare anche i contenuti degli archivi dei giornali, alimentandone la diffusione. La linea di confine tra opposte esigenze (quella, da un lato, di tutelare la proiezione intertemporale della propria identità personale e quella, di segno opposto, a mantenere reperibili informazioni) è stata definita, in un primo tempo, soprattutto dal Garante. L’Autorità, investita di numerosi ricorsi, ha individuato nell’esclusione dell’indicizzazione dai motori di ricerca generalisti delle pagine segnalate dagli interessati il valido compromesso per garantire il diritto all’oblio, mantenendo al contempo reperibili online (ma nei soli archivi presenti sui siti dei quotidiani, senza alcun “suggerimento” da parte dei motori di ricerca) i contenuti esclusi dall’indicizzazione.
Uno scostamento assai significativo da questa linea è stato dettato nel 2012 dalla Corte di cassazione, che ha proposto, per la prima volta, una soluzione differente. In un caso in cui era in gioco non tanto la pretesa a escludere la reperibilità sui motori di ricerca di un articolo, quanto piuttosto la sua contestualizzazione rispetto all’evolversi dei fatti nel corso del tempo, la Cassazione si è così espressa:
“secondo la Corte, esiste un diritto giuridicamente tutelato dell’interessato a una proiezione genuina e attuale della propria identità, che il web non può pregiudicare; dunque, è necessario che chi esercita un’attività informativa, come i giornali online, adotti le misure tecniche necessarie per rendere conto –all’interno della notizia- degli accadimenti successivi agli eventi narrati, di modo che la rappresentazione offerta al lettore sia sempre attuale e veritiera”.
E questo perché, secondo la Cassazione, nonostante sia contenuta in un archivio, una notizia non aggiornata equivale a una notizia non vera. L’Autorità garante si è rapidamente adeguata al passo segnato dalla Cassazione, con alcune decisioni che hanno accolto l’impostazione del Supremo collegio. Anche gli sviluppi più recenti confermano questa linea: prima il Tribunale e, pochi giorni fa, la Corte d’appello di Milano hanno addirittura rafforzato –e anzi si sono spinti ben oltre- la presa di posizione della Cassazione, cui si sono espressamente richiamati.
Il Tribunale di Milano, in una sentenza del 26 aprile 2013, ha addirittura ordinato la rimozione dall’archivio di un giornale online di un articolo, apparso in Internet da pochi anni ma risalente al 1984, quando era stato pubblicato sulla versione cartacea del quotidiano. Secondo il Tribunale, infatti, era insussistente qualsiasi interesse pubblico alla pubblicazione della notizia, condizione che -secondo la già ricordata pronuncia della Cassazione- potrebbe giustificare financo la rimozione del contenuto. Pertanto, ad avviso del giudice milanese, poiché nessuna finalità di tipo giornalistico poteva fondare la perdurante diffusione dell’articolo, la notizia sarebbe dovuta essere espunta dall’archivio. E, del resto, la diversa funzione storico-archivistica (anch’essa in grado di legittimare il trattamento di dati personali) sarebbe ben potuta essere soddisfatta tramite la conservazione della semplice copia cartacea del quotidiano.
Nel caso deciso il 27 gennaio scorso, invece, la Corte d’appello si è confrontata con una richiesta di contestualizzazione che riguardava una notizia, presente nell’archivio online di un noto quotidiano nazionale, di cui era già stata dichiarata la natura diffamatoria con sentenza definitiva. Rifacendosi alla pronuncia della Cassazione, il giudice ha accolto la domanda, argomentando in questo modo:
“se un diritto all’aggiornamento della notizia sussiste con riferimento al contenuto di articoli non diffamatori, che hanno dato conto di fatti veri, poi superati dallo sviluppo della vicenda, a maggior ragione questo diritto deve essere riconosciuto con riferimento al contenuto di un articolo che una sentenza passata in giudicato ha ritenuto diffamatorio”.
La Corte ha quindi condannato il quotidiano a rendere disponibile agli utenti, in caso di consultazione dell’articolo, la lettura della sentenza che ne ha accertato la portata diffamatoria. A voler sintetizzare gli esiti, si può affermare che si assiste senz’altro a un riconoscimento graduale ma esplicito del diritto all’oblio su Internet. Diritto che, stando alle pronunce richiamate, si sostanzia nella possibilità per l’interessato, di ottenere addirittura la rimozione di una notizia, quando nessun interesse di tipo informativo o archivistico debba essere soddisfatto.
Non è dato sapere quali esiti partorirà il progetto di riforma allo studio delle istituzioni dell’Unione europea, di cui gli esiti che si sono commentati paiono, in qualche misura, precursori. Vi è però da registrare un diverso atteggiamento, rispetto a quello delle corti italiane, che sembra trasparire dalle conclusioni dell’avvocato generale davanti alla Corte di giustizia; motivo che rende ancor più interessate la pronuncia che i giudici di Lussemburgo si accingono a consegnare nell’arco di poche settimane. Staremo a vedere.
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