“Popolare” è parola anche italiana, anzi latina, ma oggi più in voga come calco dell’inglese popular, che significa piacere ed essere ammirati e ricercati. Il primo esempio riportato dal New Oxford American Dictionary fa al caso nostro: «Marta è una delle ragazze più popolari della scuola». Oggi essere popolari è un fenomeno sociale,aspirazione massima di molti adolescenti, suggellata dal numero degli amici e da quello dei «mi piace» raggiunti su Facebook per ogni genere di promozione di sé e dei propri gusti: fotografie, filmati, idoli, notizie. Il contrario del piacere creaturale e intimo degli oggetti d’amore elencati da Manu Chao nel suo magnifico cantico-tormentone: «Me gustati los aviones, me gustas tu; me gusta viajar, me gustas tu; me gusta la mariana, me gustas tu; me gusta el viento, me gustas tu; me gusta sonar, me gustas tu; me gusta la mar, me gustas tu».
Se in 25 anni di ascolto terapeutico ho capito qualcosa, è che le persone desiderano soprattutto essere riconosciute. Se sono adolescenti, ancora di più. Dietro il fenomeno della ricerca di popolarità online c’è dunque un vecchio problema a cui un nuovo mezzo fa da cassa di risonanza, spesso deformando il suono di questo bisogno. La ricerca di approvazione e consenso è tra le cose che più preoccupano i ragazzi, con l’obiettivo di tenere a bada la più temuta delle sventure: non essere notati. Cioè essere «sfigati» e «perdenti», due termini che già nell’etimo denunciano le angosce alla base della ricerca di successo. La propria personalità si trasforma in likability. «Mi piace», spostamento impersonale di un più diretto «mi piaci», non come dichiarazione desiderante ma come piccola tacca di popolarità. Virtuale. Rinforzo narcisistico spesso perseguito anche da adulti, che si trasformano in adolescenti scafati, talora bulli, come molti nostri politici che giocano il loro profilo su consensi di superficie. A conferma della snobbìsh wisdom di Oscar Wilde: «Per acquistare popolarità bisogna essere mediocrità».
Non è detto che la persona più popolare sia quella che piace di più, e tantomeno la più amata. La psicologia sociale riconosce infatti due forme principali di popolarità: percepita e sociometrica. La prima è basata sulla reputazione e non è necessariamente legata alla gentilezza o ad altri tratti pro-sociali, come lo è invece la seconda, che misura l’indice di gradimento di un individuo a partire dalle sue caratteristiche positive: empatia, capacità di collaborazione, ecc. Gli adolescenti con alti livelli di popolarità percepita sono di solito molto «visibili», spesso invidiati e imitati, hanno potere sociale, ma di rado «piacciono» davvero. Varie ricerche condotte sugli adolescenti hanno dimostrato che l’aggressività tende a essere correlata con la popolarità percepita, ma non necessariamente con quella sociometrica. I ragazzi classificati come percived popular possono presentare due profili: disinvolti e gentili (se sono però anche popolari sociometrici), ma anche dominanti, arroganti e aggressivi. Dal momento poi che la popolarità percepita è una misura a sua volta «visibile» del successo, è ad essa che i ragazzi tendono a riferirsi quando decretano la «popolarità» di un compagno o di una compagna di scuola. Lo stigma di «perdente», o di «diverso» e «incompatibile» con le regole del consenso gruppale, può affliggere non solo la vita interiore dell’adolescente «impopolare», ma anche la sua vita sociale, con gradi di espressione che vanno dall’indifferenza alla derisione fino a vere aggressioni fisiche. Mai come in adolescenza il giudizio e il gradimento altrui condizionano la vita. Come afferma lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet, non si tratta di una paura etica, ma estetica, non legata al sentimento di colpa, ma a quello di vergogna. Che la popolarità sia un obiettivo primario per molti adolescenti è più che comprensibile (un po’ meno quando diventa un desiderio esagerato dei genitori). Alcuni studi pubblicati su Child Development (si veda in particolare They Like Me, They Like Me Not: Popularìty and Adolescents’ Perceptìons of Acceptance Predìctìng Social Functìonìng Over Time, del 2008) mostrano tuttavia il rovescio della medaglia. Nonostante la pressione mediatica e familiare alla popolarità, a molti adolescenti basta l’appartenenza a un piccolo gruppo di coetanei con cui condividere progetti e divertimenti,cercando di esprimere la propria personalità e di sentirsi così adeguati e accettati Sempre stando a queste ricerche, gli adolescenti che riescono a sentirsi relativamente sicuri di sé sono anche quelli che nel tempo se la caveranno bene, indipendentemente dal loro livello di popolarità.
I risultati mostrano infine che in adolescenza, quando si inizia a scegliere le proprie «nicchie sociali», è possibile sentirsi bene e avere uno sviluppo psicologico e relazionale equilibrato anche senza essere particolarmente popolari. Sarà per molti confortante sapere che spesso i ragazzi e le ragazze meno appariscenti, finita la tempesta adolescenziale, raggiungono obiettivi e successi più di quanto non accada a coetanei ammirati e invidiati come super-popolari. Anche se a volte il rilievo dato alla popolarità dei coetanei può oscurare o travolgere la percezione del proprio valore. Rimane insomma cruciale l’importanza in adolescenza dell’accettazione da parte dei coetanei. La prima adolescenza, si sa, inaugura un periodo in cui molte cose cambiano o non piacciono più. Non si piace più a se stessi, non piacciono più i genitori e a volte si piace meno ai genitori stessi. Socialmente non si sa dove stare. Abitare il mondo è difficile.
Come riempire gli spazi lasciati vuoti da tanto cambiamento e tanto dis-piacere?
In gran parte nella ricerca di altri consensi, quelli di compagnie che si vogliono o si cercano simili. Non è facile, perché anche agli altri capita la stessa cosa, e tutti sono pieni di dubbi e insicurezze. La ricerca di legami e di luoghi sociali può diventare una lotta per la sopravvivenza, talvolta con episodi di crudeltà. Derisioni, esclusioni, bullismi, pettegolezzi,maltrattamenti possono essere il prodotto di questa competizione. La sirena della popolarità può essere persuasiva e consolatoria. Se sei popolare, i tuoi problemi saranno risolti! Se piacerai, ti piacerai. Scatta il gioco del confronto: «È meglio di me», «è peggio di me». Gli altri diventano la misura del proprio valore e della propria dignità. Essere popolari significa avere (o credere di avere) un modo per tenere lontana la solitudine, considerata una vera «malattia sociale». A costo di intuire che piacere non è piacersi. Ma anche diventare e rimanere popolari ha un prezzo alto: prontezza, competizione, adeguamento alle estetiche di maggioranza, fronteggiare le pressioni sociali (interne e esterne), sentirsi inautentici e lontani dalla ricerca di sé, attendere i verdetti, subire le invidie, tamponare le gelosie. Gestire i rapporti non per la loro bontà, ma per la loro utilità alla causa della popolarità. Perdere il senso preziosissimo del confine tra amicizia (che è personale) e popolarità (che è politica). Un’attenzione eccessiva alla popolarità (propria e altrui) chiama in causa un problema narcisistico della personalità, e dunque i temi dell’autostima e della vergogna. La popolarità è anche una sana aspirazione, ma abita in una zona pericolosa. I suoi vicini di casa, infatti, sono la dipendenza dal giudizio degli altri, la compiacenza e il conformismo. E la confusione tra essere apprezzati ed essere idealizzati.