Vox aderisce alla campagna per riportare a casa le ragazze nigeriane rapite dagli integralisti islamici.
Le hanno rapite ormai tre mesi fa. Le hanno portate via da una scuola, che le ragazze raggiungevano con fatica e tenacia ogni mattina dai loro villaggi. Vivevano nei dintorni di Chibok, Nigeria, Nord est del Paese, una delle zone flagellate da anni da una guerra scatenata da un gruppo di integralisti islamici, la cui sigla, Boko Haram, tradotta significa “L’educazione occidentale è peccato”.
Erano 300, ma qualche decina di loro è riuscita a fuggire. Le altre, 276, sono rimaste nelle mani dei terroristi, che hanno decretato per loro un destino segnato: le venderanno, le trasformeranno in mogli schiave, loro, bambine 12/ 13enni che volevano a tutti i costi studiare. Intanto, le hanno convertite a forza.
“Bring back our girls”, si intitola la campagna Twitter lanciata in tutto il mondo da Malala Yousafzai, la ragazza pachistana vittima dei talebani, a cui hanno aderito migliaia di persone, tra cui Michelle Obama e papa Francesco. Riportateci le nostre ragazze, è il grido a cui aderisce anche Vox. Le nostre, sì le nostre ragazze. Perchè le giovani studentesse rapite da un pugno di fanatici ci raccontano una storia che deve diventare patrimonio e rivendicazione di tutti noi, gente dell’occidente, dell’oriente, del sud e del nord del mondo: cittadini, che hanno a cuore, ad ogni latitudine, la difesa dei diritti fondamentali della persona.
Gli integralisti “hanno rapito quelle ragazze per spezzare le loro aspirazioni”, ha dichiarato Michelle Obama. E una di loro, una delle ragazze sfuggite ai rapitori, la diciannovenne Sarah Lawan, ha raccontato di non riuscire a esprimere il terrore provato la notte in cui i miliziani la prelevarono assieme alle compagne dalla scuola. E di provare, oggi, troppa paura per tornare a studiare. Per i talebani di Boko Haram, e per i loro colleghi fanatici e crudeli che insanguinano le altre aree calde del pianeta, le bambine non devono andare a scuola. Le donne non hanno diritto a un’istruzione, devono tornare a nascondersi, rinchiuse nelle prigioni che matrimoni imposti a forza rappresentano. Nascoste al mondo da veli e burka, sottratte ai loro diritti. Ciò che questi fanatici odiano e maledicono dell’occidente è prima di tutto la libertà civile e sessuale della donna. Una libertà, che passa attraverso la possibilità di avere un’istruzione adeguata, una formazione che renda le donne, tutte, soggetti attivi del proprio meraviglioso potenziale umano. Per i talebani di ogni latitudine, questa è una prospettiva minacciosa, anzi aberrante. Ma combattere oggi una battaglia per il diritto alla libertà delle donne, il diritto alla loro istruzione, il diritto a non essere violentate e importunate, significa combattere una battaglia che ci parla dei diritti fondanti della civiltà.
IL FATTO
Lo scorso 14 aprile 276 liceali di una scuola femminile nel nord della Nigeria, tra i 12 e i 18 anni, sono state rapite da parte di Boko Haram, gruppo terrorista votato al fondamentalismo islamico (il termine in lingua hausa significa “l’educazione occidentale è peccato”).
Un’azione, nata contro la coraggiosa scelta di queste ragazze di costruirsi un futuro seguendo un percorso scolastico.
LA CAMPAGNA
Il sequestro delle ragazze ha suscitato critiche e compassione da parte di tutto il mondo. Tantissimi i personaggi del mondo della politica, dell’arte e della cultura che hanno espresso sostegno alla campagna, lanciata dalla giovane attivista pakistana Malala Yousafzai, e divenuta virale sui social media con l’hashtag #Bringbackourgirls.
Il gruppo Boko Haram, intanto, ha diffuso un nuovo video in cui mostra quelle che sarebbero le ragazze rapite. Nel filmato, il leader islamista Abubakar Shekau afferma che le studentesse si sono convertite all’Islam e minaccia che non verranno liberate fino a quando non saranno rilasciati tutti i membri di Boko Haram detenuti nelle carceri nigeriane. Dal 2009, gli attacchi di Boko Haram nel nord della Nigeria sono cresciuti in frequenza e ferocia, come ha denunciato di recente anche l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati. Nel mirino dei terroristi islamici, in particolare, chiese e scuole, oltre che obiettivi governativi. Solo quest’anno sono già stati oltre 1.500 i morti e decine di migliaia i civili costretti ad abbandonare le proprie case.