La violenza contro le donne ci costa 17 miliardi. Una cifra enorme, che si aggiunge al costo umano in termini di sofferenza e dolore che provoca. Ma è possibile prevenirla? E come si possono individuare le situazioni a rischio? Ecco, per Vox, il contributo di una interessante ricerca per una tesi di laurea in Scienze e tecniche psicologiche.
La violenza nella relazione di coppia rappresenta un’urgenza sociale, come gli ultimi casi di cronaca purtroppo dimostrano. Ogni due giorni e mezzo, in Italia viene uccisa una donna e sono 6.743.000 le vittime femminili, tra i 16 e i 70 anni, di abusi fisici o sessuali. Secondo un rapporto dell’ISTAT il 14,3% delle donne italiane ha subito una violenza fisica o sessuale all’interno della relazione di coppia, nel corso della sua vita. Un’emergenza, che non è solo italiana, come dimostrano i dati di un recente rapporto reso noto dall’Agenzia dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (FRA) lo scorso marzo, secondo il quale in Europa una donna su tre ha subito violenza fisica e/o violenza sessuale dai 15 anni in su. La percentuale sale al 43% nei casi di violenza psicologica. La violenza sulle donne, e in specifico quella che prende forma nelle relazioni di coppia, sta dunque assumendo i connotati di una vera e propria emergenza sociale, sia dal punto di vista economico, che sanitario e psicosociale. Si calcola (indagine condotta da Intervita Onlus a dicembre 2013) che la violenza domestica, solo in Italia, abbia un costo sociale di quasi 17 miliardi (16.719.540 euro per la precisione): una cifra enorme, calcolata sulla base dei costi sanitari, legali, giudiziari, nonché dei costi economici legati all’assenza dal lavoro delle donne vittime di violenza e dei costi sociali (si calcola che per la prevenzione siano stati spesi poco più di 6 milioni di euro).
Di fronte a dati così drammatici, urgono dunque politiche di prevenzione mirate. Ma occorre prima porsi una domanda: è davvero possibile prevenire la violenza domestica? Molte, sono le considerazioni da un punto di vista psicologico. Diverse ricerche hanno sottolineato che le coppie violente presentano alcune caratteristiche ricorrenti, quali la difficoltà di regolazione e carenze nella capacità di mentalizzazione e sintonizzazione: la violenza può, così, essere l’esito di emozioni disregolate, in un sistema di coppia rigidamente organizzato. Coppia, che presenta inoltre modalità scarsamente flessibili di interazione. Vi sono degli indicatori specifici che possono aiutare nell’individuare le coppie a rischio: si tratta di parametri qualitativi, che rilevano lo stato di salute o di tossicità di una coppia. Tra questi rivestono un ruolo importante le strategie di avvicinamento e allontanamento interpersonale, il ruolo di emozioni come rabbia e gelosia, la durata della relazione, e infine le capacità di comunicazione e problem solving esercitate dai partner. Un altro indicatore fondamentale sono gli stili di attaccamento, ovvero quel sistema dinamico di atteggiamenti e comportamenti, che contribuisce alla formazione di un legame specifico tra due persone (qui, una ricerca sul tema, a cura di Francesca Bergamo). Si è visto inoltre che nelle coppie a rischio di violenza non entrano in gioco solo gli stili di attaccamento dei due partner, ma anche la relazione diadica che si instaura tra di essi. La prospettiva diadica consente ai terapeuti di valutare, non solo più efficacemente il rischio di violenza all’interno della relazione di coppia, ma anche di fornire un ulteriore contesto nella concettualizzazione del ruolo della violenza nelle relazioni sentimentali. Purtroppo, le evidenze italiane parlano di una quota significativa di violenza familiare che resta sommersa, che non viene cioè denunciata alle autorità e non conduce a una richiesta di aiuto. Sulle dinamiche di queste famiglie che restano nell’ombra, e sui loro destini, è ovviamente difficile compiere studi attendibili. E, di conseguenza, attuare un’efficace opera di prevenzione e di trattamento. Ma la possibilità di individuare il rischio di violenza nelle relazioni di coppia, è oggi nevralgica, perché è la sola opzione che ci consente di attuare una efficace prevenzione sul territorio e presso le strutture preposte. È ormai noto, infatti, che la prevenzione e i conseguenti trattamenti, sono le uniche strategie efficaci per contrastare la violenza contro le donne. Violenza che, lo ricordiamo, incide pesantemente non solo sul benessere individuale e sociale delle famiglie, ma anche sulla crescita economica e sociale del Paese.