«Ognuno ha diritto ad un’istruzione. L’istruzione dovrebbe essere gratuita, almeno a livelli elementari e fondamentali. L’istruzione elementare dovrebbe essere obbligatoria. L’istruzione tecnica e professionale, dovrebbero essere generalmente fruibili, così come pure un’istruzione superiore dovrebbe essere accessibile sulle basi del merito. »
Questo, il principio sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani dell’Onu.
Anche la nostra carta costituzionale tutela il diritto allo studio. Lo fa con l’articolo 34, quando dichiara che “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”. E poi sancisce il diritto dei “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, a raggiungere i gradi più alti degli studi”, nonché il dovere della Repubblica a “rendere effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze da attribuire mediante concorso”.
Un diritto, dunque, prima che un obbligo. Anche se la scolarizzazione, troppo spesso, è ancora percepita come un dovere piuttosto che come un’opportunità.
Ma è un diritto, perché l’accesso alla conoscenza è il mattone fondamentale nella costruzione di un individuo responsabile e socialmente attivo, conscio dei suoi diritti e attento ai suoi doveri.
La conoscenza, prima ancora dell’istruzione, affonda le sue radici in quello che molti popoli riconoscono come il diritto fondamentale alla memoria. E senza memoria, lo sappiamo, evapora la possibilità del futuro.
Eppure oggi in Italia, secondo recenti dati Ocse, il 33% della popolazione non capisce o non sa scrivere una breve frase, mentre percentuali ancora maggiori hanno difficoltà nella comprensione di testi orali. Pagine di analisi e di riflessioni si sono rincorse nel tentare spiegazioni più o meno pertinenti del fenomeno (l’accesso ai new media, una velocizzazione della comunicazione che depotenzia il linguaggio delle sue sfumature e quindi lo impoverisce, etc etc).
Ma resta un dato, che allarma e impensierisce. Secondo un rapporto pubblicato l’11 aprile da Eurostat, mentre la media Ue per gli abbandoni scolastici nel 2012 si è attestata al 12,8%, l’Italia si piazza a un bel 17,6%, e siamo decisamente al di sotto della media Ue (35,8%) in tema di diplomati (21,7%).
Vuol dire che quasi venti studenti su cento lasciano la scuola. Ma prima che la scuola, abbandonano la possibilità di costruirsi un futuro degno delle proprie potenzialità.
E ancora, secondo l’Istat, un italiano su due non legge, mentre il 52,2% dei nostri connazionali si definisce un “non lettore”.
Un popolo che perde il diritto alla conoscenza è un popolo che si condanna all’impoverimento.
Un popolo che, grazie alle riforme dei recenti governi (vedi Riforma Gelmini) taglia selvaggiamente i fondi destinati alla cultura e alla ricerca, è un popolo che si condanna a un presente depurato degli enzimi che promettono crescita e prosperità, forse a un passato vissuto con nostalgia. Certamente non si regala la possibilità di un futuro. E non la regala ai più giovani.
Sostenere il piacere della conoscenza, la voglia di scoprire le storie che ci hanno resi grandi, la capacità di impegnarsi nelle nuove sfide della ricerca. Questo, per Vox, significa poter sviluppare quella capacità critica che, sola, è in grado di formare cittadini responsabili e più felici.