La Riforma del Lavoro, o Jobs Act, è il piano di lavoro proposto dal governo Renzi che prevederà, nei suoi punti fondamentali, la forma di contratto unico, le tutele crescenti, la rappresentanza sindacale nei cda, e un assegno universale per chi perde il lavoro. Ma è sull’Articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che si è concentrata l’attenzione mediatica e la polemica delle parti sociali. La riforma, infatti, intende sostituire il reintegro sui licenziamenti economici con un indenizzo fisso e crescente con l’anzianità. Con quali conseguenze per i lavoratori? Abbiamo provato a fare un punto con Tiziana Vettor, professoressa di diritto del lavoro presso l’Università di Milano-Bicocca.
L’art. 18 è la norma del diritto del lavoro a più impatto mediatico degli ultimi tempi, ma è davvero da cambiare? Per tantare di rispondere è utile chiarire il contenuto della disposizione in questione. L’articolo dello Statuto dei Lavoratori riconosce la cosidetta tutela reale in caso di licenziamento illegittimo. Esso definisce cioè il regime sanzionatorio prevedendo il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro per il lavoratore che presta servizio per un datore di lavoro che occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori nella stessa unità produttiva o in diverse unità produttive situate nello stesso comune, o comunque, complessivamente, più di sessanta dipendenti.
Detto ciò, una prima precisazione è doverosa: la tutela reintegratoria è già un’ipotesi residuale a seguito delle modifiche che, con minore enfasi, sono intervenute ad opera della legge n. 92 del 2012. La cosiddetta Riforma Fornero ha infatti notevolmente ridotto l’area della reintegra: se prima, questa era la conseguenza a fronte di qualsiasi licenziamento illegittimo, ora essa è prevista nei casi di licenziamento discriminatorio, di licenziamento disciplinare – ma solo per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili – e nell’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in caso di manifesta infondatezza del fatto posto a base del provvedimento espulsivo.
La legge n. 92 del 2012 ha dunque ridisegnato la norma dello Statuto dei Lavoratori, riducendone la portata, introducendo solo conseguenze economiche per varie fattispecie di illegittimità del licenziamento, quali ad esempio anche quelle conseguenti a vizi formali.
Veniamo quindi al Jobs Act e cerchiamo di capirne di più.
L’emandando provvedimento sul lavoro, a dir la verità, non cita apertamente la norma statutaria. Chi è stato però attento alla cronaca degli ultimi giorni legge nella previsione per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio l’intenzione di eliminare l’art.18. Conferma questa lettura l’intervento sul Jobs Act del ministro Poletti, secondo il quale per semplificare, superare elementi di incertezza e discrezionalità, per ridurre il ricorso ai procedimenti giudiziari, nella predisposizione del decreto delegato relativo al contratto a tutele crescenti, e quindi per le nuove assunzioni, il Governo intende modificare il regime del reintegro così come previsto dall’art. 18, modificato dalla legge n. 92/2012, eliminandolo per i licenziamenti economici e sostituendolo con un indennizzo certo e crescente con l’anzianità.
Il Ministro ammette dunque che dietro la delega al Governo per la creazione del contratto a tutele crescenti vi è l’intenzione di abolire l’art. 18 per i nuovi assunti. Come viene giustificata tale scelta? Si legge che la manovra sarebbe dettata dalla volontà di ridurre la precarietà ed eliminare l’incertezza derivante dal ricorso ai procedimenti giudiziari. Quanto alla precarietà, se è davvero intenzione dell’attuale Governo dare priorità al contratto a tempo indeterminato ed eliminare forme di lavoro precarie allora perché il “decreto Poletti” (D. L. n. 34 del 2014) ha del tutto demolito i limiti per la stipula del contratto a termine, prevedendone, quale norma, l’acausalità?
Altra precisazione: se davvero il Governo ha intenzione di eliminare le incertezze processuali legate al licenziamento, perché non si è deciso allora di intervenire sulle regole introdotte dalla legge Fornero? Occorre infatti ricordare che la legge n. 92 del 2012, oltre a modificare il testo dell’art.18 nei termini sopra descritti, ha previsto un rito per ogni domanda con la quale si chiede l’applicazione di questa disposizione; le nuove regole processuali hanno però portato con sè una serie di quesiti interpretativi tuttora irrisolti e che determinano l’assurda conseguenza che ogni Tribunale applica il procedimento con differenti modalità.
Peraltro, l’attenzione esasperata sul tema della reintegra di cui alla norma dello Statuto dei Lavoratori non solo nasconde e ostacola l’analisi dei tanti e complessi problemi del nostro mercato del lavoro (appunto, non riducibili all’art. 18), ma fa sfuggire ai molti gli altri aspetti di disciplina, non meno problematici, del Jobs Act. Si pensi, ad esempio, alla delega per la modifica del regime delle mansioni, che sembra voler dare legittimità al demansionamento, o a quella per l’eliminazione dei limiti sui controlli a distanza dei lavoratori. Queste modifiche potrebbero avere davvero un impatto negativo sulle attuali tutele riconosciute ai lavoratori e alle lavoratrici. Ma vi è di più. Esse potrebbero comportare conseguenze rilevanti in termini di destrutturazione profonda del sistema delle regole lavoristiche, senza che da ciò possano discendere con certezza, anzi, effetti virtuosi per l’economia e per l’occupazione.