Sono più di 6 milioni le persone che vivono in condizioni di povertà assoluta in Italia, il 4,1% della popolazione totale. Un dato impietoso, che mostra l’impoverimento del nostro Paese e un trend negativo che, purtroppo, sembra non arrestarsi. Le cause? Tante, dal permanere dello stato di crisi alla mancanza di sostegno economico verso le fasce più deboli della popolazione. Ma una via d’uscita c’è. Per Vox, il commento di Isabella Menichini, dirigente pubblico esperto di politiche e diritti sociali.
Tra le analisi sull’esplosione della povertà in Italia, di indubbia efficacia e rigoroso approfondimento si ricorda il Rapporto promosso dalla Caritas sugli effetti della crisi. Val la pena riprendere alcuni passaggi per comprendere come, dopo la lunga crisi economica, la povertà in Italia non sia più la stessa, e quanto pesante sia l’eredità che la crisi lascia alla lotta contro la povertà nel nostro Paese.
Il confronto tra il 2007, ultimo anno di crescita economica e il 2013 è impietoso. Se nel 2007 le persone che sperimentavano condizioni di povertà assoluta erano 2,4 milioni – il 4,1% della popolazione – nel 2013 sono diventate 6 milioni pari al 9,9% , che significa 2 milioni di famiglie contro lo 0,97 di famiglie del 2007.
Ci si aspettava una ripresa della crescita economica a partire dal 2014 ma le cose non sembrano essere andate nel verso giusto. È ancora presto per poter disporre di dati aggiornati sull’anno che si avvia a conclusione, ma possiamo senz’altro ipotizzare che non vi sia stato alcun miglioramento, ed anzi nel corso dell’anno frequenti sono stati i riferimenti allo sfondamento della soglia del 10% di poveri sul complessivo della popolazione italiana. Peraltro – evidenzia il rapporto Caritas – i mutamenti strutturali vissuti dalla società italiana, a partire dalla precarizzazione del mondo del lavoro e dall’indebolimento della capacità delle reti familiari di fornire sostegno economico, pregiudicano fortemente la possibilità che anche fuori dalla crisi sia possibile tornare ai livelli di benessere pre-crisi, e che si può certamente affermare che un tasso di povertà assoluta più alto rispetto allo scenario pre-crisi sia destinato a permanere.
Oltre a registrare i dati è indispensabile guardare al profilo delle persone coinvolte nei fenomeni di povertà. Anche sotto questo aspetto le modificazioni causate dalla crisi economica sono significative. Va premesso che gli anziani sono rimasti l’unico segmento della popolazione ad aver tenuto sponda rispetto ai trend della povertà. Nelle famiglie con almeno un anziano la povertà assoluta è salita dal 5,4% al 6,9%, ma ciò vuol dire che mentre nel 2007 era superiore alla media nazionale (5,4% rispetto a 4,1%, nel 2013 è diventata inferiore (6,9% rispetto a 7,9%). Grazie alle pensioni le persone anziane sono stati maggiormente protetti dal diffuso peggioramento di vita degli anni recenti, anche se non possiamo dimenticare i bassi livelli di reddito assicurati dalle pensioni, soprattutto nel caso di donne, quasi sempre vedove. Più grave certamente la situazione se alla condizione anziana si associa quella di non autosufficienza.
Guardando invece alle famiglie con figli si rileva che nel 2007 la scelta di fare figli non incrementava la probabilità di cadere in povertà, il rischio si presentava semmai all’arrivo del terzo figlio. Dall’avvio della crisi si è acuita la fragilità delle famiglie con tre o più figli minori, che oggi rappresentano uno dei segmenti della società italiana a maggiore incidenza di povertà assoluta (21,3%). E cosa ancor più grave, la crisi ha causato lo “sfondamento” della povertà tra le famiglie con 1 o 2 figli. L’aumento della povertà è stata, infatti, particolarmente rilevante tra queste ultime, passando dal 3,8% al 13,4% . “La mancanza di almeno un reddito da lavoro o da pensione costituisce – di gran lunga – il maggior elemento predittore della povertà assoluta”. E la povertà colpisce oggi anche le famiglie in cui è presente una persona lavoratrice, ad indicare che l’occupazione non rappresenta più una garanzia contro la povertà. Questi fenomeni erano conosciuti principalmente nel Meridione del Paese, ma negli anni più recenti la povertà si è diffusa largamente anche al Nord passando dal 3,3% a 7,3% e nel Centro (da 2,8% a 7,6%). Ovviamente l’incidenza si è aggravata molto al Sud dove oggi registriamo una crescita dal 6,0% all’14,8% degli individui coinvolti. Per completare questo drammatico scenario e restituire un quadro completo della realtà italiana occorre richiamare innanzitutto la condizione delle persone e famiglie immigrate: le famiglie miste (con almeno uno straniero) che sperimentano gravi condizioni di deprivazione sono pari al 24,9% e quelle composte di soli stranieri il 37,3%, a fronte di quelle di soli italiani che corrispondono al 13,8%. Ed infine, le persone con disabilità: sono il 24,8% del totale rispetto ad un’incidenza del 15,9% tra quelle senza disabilità. Nel caso delle persone con disabilità tra i 16 e i 65 anni la percentuale è del 28,7% rispetto al 16,7% degli altri, per le persone con disabilità di 65 anni e più è del 23,0% rispetto al 12,6%. Il Rapporto Caritas evidenzia in sintesi che “il raddoppio dei poveri non si è concentrato tra i gruppi già più colpiti ma, al contrario, ha allargato i confini della povertà nella società italiana”.
Per capire fino in fondo le peculiarità del nostro Paese val la pena rileggere brevemente i dati di spesa pubblica relativi alla spesa sociale. Se è noto che l’entità delle risorse destinate al contrasto della povertà è sempre stata molto limitata in confronto agli investimenti di spesa sul sociale degli altri paesi, è sorprendente notare che dal 2009 – cioè all’indomani dell’avvio della più grave economica dei tempi recenti – si è assistito ad una riduzione della dotazione economica di questo comparto, come confermato dai Dati Eurostat sulla spesa per la protezione sociale. I dati ci dicono che il nostro paese si contraddistingue nel panorama europeo, per i bassi livelli di spesa per la protezione sociale rispetto alla media europea (UE15), sia in rapporto al PIL che in rapporto alla popolazione residente.
Se si considera la spesa media pro-capite (a prezzi costanti), risaltano in maniera ancor più evidente le differenze tra il nostro paese e il resto dell’Europa: la spesa media pro-capite per la protezione sociale in Italia è pari 6.562 euro l’anno a fronte degli 8.316 euro della Germania e agli oltre 10.000 euro della Svezia. Se questo era il punto di partenza, a partire dal 2009 la spesa per la protezione sociale comincia a ridursi, e cosi mentre la povertà aumenta, le risorse per contrastarla si contraggono.
Se un lieve miglioramento nell’allocazione delle risorse finanziarie si è avuto grazie al Governo Letta passando dai 766 milioni stanziati nel 2013 per i Fondi Statali sociali, ai 964 milioni del 2014, si è rimasti comunque ben al di sotto degli stanziamenti del 2008 (2 miliardi e mezzo di euro). Gravissima la riduzione del Fondo per le politiche sociali destinato agli interventi sociali nei territori, tra cui quelli destinati alla povertà, che passa da 344 milioni del 2013 (era oltre un miliardo nel 2007) a 317 milioni di euro del 2014. La riduzione dell’entità delle risorse, unita alla incertezza delle stesse pregiudica fortemente la capacità di intervento delle istituzioni locali, cui compete l’erogazione di servizi e prestazioni in materia sociale, ed è loro quindi la responsabilità di costruire risposte adeguate davanti al dilagare della povertà. L’Italia come abbiamo avuto già modo di ricordare è l’unico Paese insieme alla Grecia a non aver introdotto una misura nazionale di contrasto alla povertà in grado di assicurare a chiunque si trovi in condizioni di grave deprivazione un sostegno economico a garanzia della dignità della persona. I comuni quindi sostengono di fatto con le proprie forze tutto il carico della domanda crescente di sostegni economici determinata dalla crisi. I tagli al Fondo Nazionale per le Politiche Sociali e agli altri Fondi nazionali sul sociale, uniti alla riduzione dei trasferimenti erariali ai comuni e ai vincoli imposti dal Patto di Stabilità Interno hanno prodotto come effetto il contenimento dei livelli di spesa sul sociale nei territori. Con ripercussioni gravose soprattutto al Sud e nelle Isole cioè dove l’incidenza della povertà è maggiore.
Abbiamo avuto occasione di presentare il lavoro che le forze sociali, il Terzo Settore, associazioni e organismi di rappresentanza stanno portando avanti in questo ambito: è stata presentata nei mesi scorsi una proposta tecnica molto circostanziata per introdurre progressivamente anche nel nostro Paese un sistema di sostegno alle persone in povertà assoluta, articolato in un mix di prestazione monetaria e servizi di inclusione attiva. Possiamo solo auspicare che il Governo faccia rapidamente sua la proposta e reperisca le risorse necessarie a realizzarla progressivamente nei prossimi anni.