È arrivata ieri, lunedì 21 luglio, la sentenza da parte della Corte europea dei Diritti Umani, che condanna l’Italia per non prevedere alcuna forma di riconoscimento delle unioni fra persone dello stesso sesso. I magistrati rilevano infatti che la “mancanza di una norma che riconosca e protegga le loro relazioni” viola il “diritto al rispetto della propria vita privata e familiare”, sancito dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani. La sentenza è un successo anche di VOX perché ha visto intervenire in prima linea gli avvocati Marilisa D’Amico e Massimo Clara, che hanno seguito i ricorsi delle tre coppie gay su cui si è pronunciata la Corte Europea. VOX ha realizzato una scheda, che raccoglie le tappe più importanti della vicenda. Eccola.
10 giugno 2011: tre coppie omosessuali presentano il ricorso
3 coppie omosessuali che vivono insieme da anni rispettivamente a Trento, Milano e Lissone, si sono viste rifiutare da parte dei loro comuni la possibilità di fare le pubblicazioni per potersi sposare. Supportati da un team di avvocati (tra cui Massimo Clara, Marilisa D’Amico e il presidente dell’associazione Gaylib Enrico Oliari), il 10 giugno 2011 presentano ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani. “I ricorrenti” si legge nel testo “si ritengono vittime di una discriminazione in ragione del loro orientamento sessuale, nel godimento dei loro diritti al matrimonio e al rispetto della vita privata e familiare, in conseguenza del divieto di sposarsi fatto dall’ordinamento giuridico italiano alle persone dello stesso sesso e la perdurante assenza di una qualsiasi forma alternativa di riconoscimento giuridico delle loro unioni di tipo familiare”. Le due coppie “lamentano la violazione degli articoli 8 e 12”. “La differenza di trattamento” continua la nota “è quindi discriminatoria”.
21 luglio 2015: la Corte condanna l’Italia sui diritti gay
Quattro anni dopo il ricorso, la Corte Europea dei diritti Umani si pronuncia con una sentenza che boccia l’Italia: “le coppie omosessuali hanno le stesse necessità di riconoscimento e di tutela della loro relazione al pari delle coppie eterosessuali. Per questo l’Italia e gli Stati firmatari della Cedu devono rispettare il loro diritto fondamentale a ottenere forme di riconoscimento che sono sostanzialmente allineate con il matrimonio. C’è quindi un vuoto normativo da colmare”. E poi, continuano i giudici: “La corte ha considerato che la tutela legale attualmente disponibile in Italia per le coppie omosessuali non solo fallisce nel provvedere ai bisogni chiave di una coppia impegnata in una relazione stabile, ma non è nemmeno sufficientemente affidabile”. “Un’unione civile o una partnership registrata sarebbe il modo più adeguato per riconoscere legalmente le coppie dello stesso sesso”. Per la sentenza completa, clicca qui (per la versione in italiano dei paragrafi più importanti, clicca qui).
Che cosa dice l’articolo 8 della Convenzione dei diritti dell’Uomo?
L’articolo 8, citato perché violato secondo la sentenza della Cedu, prevede il rispetto della vita privata e familiare. Nello specifico:
- Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
- Non può esservi ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.