Secondo i dati diffusi dal Governo, i medici obiettori negli ospedali italiani sono oggi il 70%. Un numero non indifferente, se si pensa che, come denuncia la Libera Associazione Italiana Ginecologi per Applicazione Legge 194, i medici non obiettori che assicurano ancora l’applicazione della legge 194 sono sempre più vicini alla pensione e, dicono le previsioni, nei prossimi anni potrebbero non essere sostituiti. Nonostante però la condanna all’Italia da parte del Comitato Europeo dei Diritti per la violazione della legge 194 (intervenuto dopo il reclamo di una ONG difesa dalla Prof.ssa Marilisa D’Amico), la politica italiana non sembra essere ancora in grado di offrire soluzioni concrete al problema. Vox riporta qui sotto una riflessione di Cecilia Siccardi, un approfondimento e alcuni suggerimenti per nuovi, possibili rimedi.
Parlare dell’applicazione della legge n. 194 del 1978 è oggi molto complesso.
Perché?
Perché la legge 194 non si limita a garantire solo un diritto, ma più diritti da bilanciare fra di loro: il diritto alla salute e alla libertà di scelta delle donne; i diritti del concepito; il diritto all’obiezione di coscienza.
Ecco, il Presidente Mattarella ha recentemente affermato che il valore delle maternità costituisce il completamento della libertà femminile. È sicuramente vero, ma noi vorremmo ribadire con forza che anche il diritto ad interrompere la gravidanza costituisce, allo stesso modo, il completamento della libertà femminile.
E questa libertà viene oggi messa in discussione dalla diffusione dei medici obiettori negli ospedali italiani. Il 70% dei medici è obiettore secondo i dati diffusi dal Governo; secondo Laiga – associazione dei ginecologi per l’applicazione della legge 194 – sono il 91%.
Eppure, è la stessa legge n. 194 che ha previsto le modalità per garantire l’equilibrio dei diritti in gioco. Essa, infatti, garantisce sì il diritto all’obiezione di coscienza, ma impone agli ospedali di assicurare in ogni caso le cure necessarie ad interrompere la gravidanza.
Nei fatti ciò non avviene e il diritto all’obiezione di coscienza sta prevalendo, sta schiacciando il diritto alla salute e all’autodeterminazione delle donne.
Ciò è dimostrato non solo dai dati, ma anche dalla decisione dell’aprile scorso del Comitato europeo dei diritti sociali, organo giurisdizionale che monitora l’applicazione della Carta Sociale europea – la gemella della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo.
Il Comitato, grazie al reclamo presentato da una ONG (International Planned Parenthood Federation European Network) difesa dalla prof.ssa Marilisa D’Amico, ha condannato l’Italia per la violazione del diritto alla salute e alla libera autodeterminazione delle donne a causa della mancata applicazione della legge n. 194, dovuta al massiccio ricorso da parte dei ginecologi all’obiezione di coscienza.
Siamo in attesa di un’altra decisione (su un reclamo presentato dalla CGIL), che con tutta probabilità porterà ad un’altra condanna dell’Italia, concernente anche la violazione dei diritti lavorativi dei medici non obiettori, costretti non solo a un carico di lavoro eccessivo, ma ad impegnarsi quasi esclusivamente in procedure di interruzioni.
L’udienza si è svolta a fine agosto. In quell’occasione sono state prodotte davanti al Comitato europeo anche tutte le interrogazioni parlamentari presentate negli ultimi anni relative alla mancata applicazione della legge 194 e alle quali il Governo non ha dato risposte esaustive.
Come ha risposto il Governo alla condanna europea?
Il Governo ha negato l’esistenza del problema sostenendo che il rapporto tra medici non obiettori e numero di interruzioni di gravidanza è congruo. Peccato che nell’analisi non abbia tenuto in conto un dato fondamentale: il numero delle richieste di interruzione di gravidanza. La risposta quindi non può che essere falsata.
Per quanto riguarda le soluzioni al problema, il Governo ha affermato che avvierà un corso di formazione sul tema. Inoltre, il Governo ha sottolineato che è stato avviato un tavolo di monitoraggio con le Regioni sullo stato di applicazione della legge.
Tale previsione è già sancita dalla stessa legge n. 194 e non aggiunge nulla di nuovo rispetto al dettato normativo. Inoltre, è evidente che una mera attività di monitoraggio non può rappresentare una concreta soluzione al problema.
Sul punto, la decisione europea è stata chiara: i diritti non si garantiscono solo sulla carta, non si garantiscono con corsi di formazione, ma si devono garantire con misure concrete.
A tal proposito, quali potrebbero essere le misure concrete per affrontare il problema?
Ad esempio, la previsione di bandi di concorso ad hoc per medici non obiettori. Tuttavia, la giurisprudenza è oscillante sul punto e ha ritenuto talvolta discriminatori bandi di questo genere. Un’altra soluzione potrebbe essere la valorizzazione di quanto già previsto dalla stessa legge n. 194 per far in modo che le Regioni garantiscano la mobilità tra gli ospedali dei medici non obiettori.
O ancora, si potrebbe prevedere un onere, una prestazione sostitutiva per chi sceglie di diventare obiettore, al fine di favorire solo obiezioni “sincere”. Come il servizio civile per chi obietta al servizio militare. Tale possibile soluzione però dovrebbe essere introdotta mediante modifica legislativa.
Da giurista vi ho raccontato il percorso della legge 194 davanti ai giudici. Da cittadina mi piacerebbe che non siano sempre le Corti internazionali a richiamarci sul rispetto dei diritti, ma sia la nostra politica ad occuparsene. Per questo, dobbiamo far arrivare un messaggio chiaro alla politica: per garantire i diritti fondamentali serve un approccio laico affinché nessun diritto sia tiranno sull’altro, ma prevalga l’equilibrio e la libertà di scelta.