Sono decine di migliaia. E ogni anno, solo in Italia, si verificano 400 nuovi casi (l’80% da donne immigrate): si tratta dei minori abbandonati, spesso cresciuti con l’interrogativo e il desiderio conoscere le proprie origini. Spesso inutilmente, perché oggi, in Italia, manca ancora una legge che li tuteli. Lo scorso 18 giugno però qualcosa ha iniziato a muoversi: la Camera ha dato il primo via libera a una proposta di legge sull’accesso dei figli adottati e non riconosciuti alle informazioni relative alle proprie origini. Il testo approvato passa ora al Senato: in attesa che diventi legge, ecco che cosa prevede.
I diritti di oggi
Attualmente c’è la possibilità, per il solo adottato che abbia compiuto i 25 anni (18 in presenza di gravi motivi di salute psico-fisica), di accedere a informazioni sulle proprie origini, ma non se la madre, alla nascita, ha dichiarato di non voler essere nominata. In tal caso, l’accesso è possibile solo trascorsi cento anni dalla nascita. Le associazioni che rappresentano i figli adottati e non riconosciuti da tempo si battono per una modifica dell’attuale normativa.
I precedenti
La strada della riforma è stata aperta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che, con la sentenza Godelli del 2012, ha condannato il nostro Paese per violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare) affermando che lo Stato deve prevedere la reversibilità della dichiarazione di anonimato resa alla nascita del figlio.
In un secondo momento, è intervenuta la Consulta, che con la sentenza 278 del 2013 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 28 comma 7 della legge 184/1983, perché non prevede la possibilità per il giudice di interpellare la madre, che abbia dichiarato di non voler essere nominata, su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione.
A seguito di questa decisione della Corte costituzionale, alcuni Tribunali per i minorenni, come quello di Firenze, hanno cominciato ad accogliere le istanze degli adottati, disponendo che, con le dovute cautele, vengano effettuate le ricerche necessarie a verificare l’attuale volontà della madre biologica. Altri Tribunali hanno invece dichiarato inammissibili simili istanze, affermando l’indefettibilità di un procedimento legislativamente regolamentato. Altri ancora “congelano” le richieste.
Che cosa cambierebbe
3 sono i punti più importanti del disegno di legge approvato dalla Camera:
- Introduce la possibilità per la madre biologica di revocare la dichiarazione di anonimato resa a suo tempo, ma anche l’accessibilità ai dati identificativi di questa una volta che sia deceduta.
- Il Tribunale per i minorenni, su richiesta non più solo dell’adottato, ma anche del figlio non riconosciuto, che abbiano raggiunto la maggiore età, può contattare la madre biologica per verificare se la stessa intenda mantenere l’anonimato. Quand’anche la madre (dopo essere stata citata o, trascorsi diciotto anni dalla nascita, di propria iniziativa) confermi la volontà di non essere nominata, il Tribunale potrà comunque autorizzare l’accesso alle informazioni di carattere sanitario riguardanti le anamnesi familiari, fisiologiche e patologiche, con particolare riferimento all’eventuale presenza di patologie ereditarie trasmissibili.
- Per i casi di parti anonimi precedenti all’entrata in vigore della legge, è previsto che, entro dodici mesi, la madre che ha partorito in anonimato prima della riforma possa confermare la propria volontà al Tribunale dei minorenni (a tal fine, sarà realizzata un’apposita campagna informativa). Il Giudice, anche in questo caso, autorizzerà l’accesso alle sole informazioni sanitarie.
Le questioni più delicate
Sono diversi e molto sensibili i diritti potenzialmente in conflitto nella vicenda della ricerca delle origini. Da una parte, il diritto del figlio a conoscere la propria storia, e quindi all’identità personale; ma anche il diritto alla salute relativamente alla possibilità di accedere alle informazioni di carattere sanitario. Dall’altra, il diritto alla riservatezza della madre, e il suo interesse alla tenuta dell’anonimato sia nei confronti del figlio sia nei confronti dei familiari e dei conviventi; il diritto alla salute della madre e del figlio, che si concretizza nel dover garantire che il parto avvenga in sicurezza, all’interno di una struttura sanitaria, ma anche nella necessità di scongiurare il ricorso l’aborto come scelta di ripiego.
La nuova legge opererebbe, se approvata, un bilanciamento degli interessi in gioco, riconoscendo il diritto del figlio a conoscere le proprie origini e a formare compiutamente la propria identità, ma mantenendo come limite a tale diritto la libertà di scelta della madre, che dovrà poter revocare l’anonimato nella massima riservatezza o, sempre nel rispetto della sua privacy, decidere di mantenerlo.
Una soluzione che appare equilibrata e che si rende necessaria soprattutto in un contesto storico in cui, all’interno di un mondo globalizzato e mutevole, la pienezza dell’identità, che porta con sé il bisogno di conoscere la propria storia, assume un valore ancora maggiore. Inoltre, il progresso scientifico consente oggi tecniche diagnostiche basate su ricerche di tipo genetico, che occorre assicurare anche ai figli adottati e non riconosciuti, i quali devono quindi poter accedere alle informazioni relative alla propria anamnesi familiare e ad eventuali patologie ereditarie.