Secondo l’ultimo Rapporto Ocse sono 1,5 milioni le imprenditrici e le lavoratrici nel nostro Paese, il tasso di occupazione femminile è del 47% e la disparità salariale si aggira intorno al 10%. Dati, questi, che collocano l’Italia al 69° posto per parità e al 114° per partecipazione economica nel mondo. Ma più che numeri si tratta di veri e propri segnali d’allarme: perché, ancora oggi, nel nostro Paese, il lavoro sembra non essere un diritto pienamente riconosciuto. In occasione del 25 novembre, giornata della lotta contro la violenza sulle donne, Silvia Brena, giornalista, ha voluto riflettere sul diritto al lavoro e alla parità. Perché è da qui che nascono sostegno psicologico, indipendenza, possibilità di confronto e autostima.
Il 25 novembre è la giornata che l’Onu dedica alla lotta contro la violenza sulle donne. In Italia, lo sappiamo, la violenza contro le donne è purtroppo un triste dato di realtà. Vox lo ha documentato, dedicando una speciale Mappa dell’Intolleranza al fenomeno. Mappatura, che stiamo ripetendo e che, in attesa di dati definitivi, non mostra un andamento diverso da quello registrato lo scorso anno.
C’è un odio pervicace e diffuso contro le mogli, le fidanzate, le amiche, le figlie, le nipoti. È un odio che infetta ogni parte d’Italia e che non conosce frontiere geografiche, di censo, di età. È una battaglia che non si può mai perdere di vista, questa dell’odio contro le donne. E che va combattuta con ogni mezzo possibile. Per garantire a ogni donna il diritto a una vita sicura e serena.
Ma c’è un altro diritto che oggi, in Italia, alle donne non è pienamente riconosciuto. Anche se la nostra Costituzione lo afferma chiaramente, quando, nell’articolo 37 recita: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”.
Da qualche giorno è uscito il Rapporto Ocse dedicato al lavoro femminile in Europa. Ecco qualche dato.
Il tasso di occupazione delle donne italiane si attesta sul 47%, contro la media europea del 60%. Ogni donna in Italia dedica 36 ore la settimana ai lavori domestici, mentre gli uomini non vanno oltre le 14. Sono 22 ore di differenza e si tratta del divario maggiore tra tutti i Paesi industrializzati.
In Europa, il gender gap è diminuito. Da noi, è aumentato. Le donne che lavorano, come abbiamo visto, sono il 47% delle italiane, contro il 67% degli uomini. E le donne guadagnano meno, il 12% in meno per l’esattezza, degli uomini.
Non è finita.
Il World Economic Forum ci colloca al 124esimo posto su 136 Paesi per quanto riguarda la parità degli stipendi. E in un confronto con 34 Paesi europei, proposto dal rapporto Eurofound “Women, men and working conditions in Europe”, l’Italia esce a pezzi, segnalata per una sorta di “segregazione di genere”, poiché la maggior parte delle donne che lavorano nel nostro Paese è relegata in ambiti professionali considerati tradizionalmente femminili: lavori di cura, di assistenza, di educazione.
Così non va.
Non va perché il lavoro è la principale fonte di sostegno psicologico, prima ancora che economico. Garantisce, quando è svolto con piacere e passione, la piena espressione di sé. È un diritto, scolpito dai nostri padri costituenti quando hanno voluto indicare l’Italia come una repubblica democratica fondata sul lavoro.
Il lavoro è ciò che garantisce indipendenza, confronto con gli altri, capacità di costruire la propria autostima.
No, così proprio non va.
Per questo, la questione del lavoro femminile è oggi una priorità e un’urgenza sociale. Il 25, nella giornata contro la violenza sulle donne, la presidente della Camera Laura Boldrini ha voluto promuovere un incontro dal titolo inequivocabile: “La ripresa è donna”. E ha voluto dedicare la giornata a Valeria Solesin, l’italiana morta a Parigi sotto il fuoco dei terroristi. Valeria era una giovane brillante, una borsista della Sorbona che si occupava di lavoro femminile e di equilibri tra vita famigliare e lavorativa, rilevando forti differenze tra Francia e Italia. Appunto.
Le infografiche che vedete qui sotto, ci sono state proposte da una nuova piattaforma che promuove e supporta il lavoro femminile. Si chiama workHer e in pochi mesi di vita ha già migliaia di iscritte. Donne giovani e meno giovani, donne appassionate, donne piene di idee. Donne che non vedono l’ora di entrare nel mondo del lavoro.
Per inciso, gli economisti calcolano che se in Italia la percentuale di donne che lavorano si avvicinasse a quella degli uomini occupati, la forza lavoro italiana crescerebbe del 7% e il Pil pro capite aumenterebbe di un punto percentuale all’anno per i successivi 20 anni.
Saremmo tutti più ricchi. Ma soprattutto più felici.