Sono un miliardo oggi i disabili in tutto il mondo (di cui l’80%, secondo le stime dell’ONU, vive in Paesi in via di sviluppo). Persone che ogni giorno incontrano difficoltà nell’accedere a settori (come trasporti, istruzione, politica e lavoro) ritenuti fondamentali per la costruzione di democrazie stabili e inclusive. Per questo motivo, si è scelto di dedicare il 3 dicembre di quest’anno, giornata internazionale delle persone con disabilità, al tema dell’accessibilità. Isabella Menichini, direttore del settore Disabilità e Salute mentale del Comune di Milano, ha riflettuto per VOX sull’importanza di quei diritti non ancora garantiti ai disabili di tutto il mondo e lancia al Governo un invito a muoversi con politiche di welfare più efficaci. Perché è solo rendendo un mondo a misura di tutti che si possono creare concrete opportunità di partecipazione attiva alla vita in tutte le società.
“L’Accessibilità, una delle quattro priorità su cui è costruito l’impianto complessivo [della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità]. L’accessibilità è un “pre-requisito” per consentire alle persone con disabilità di godere pienamente di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali: essa va garantita con riferimento ad ogni ambito della vita di un persona. Non soltanto quindi il pieno accesso all’ambiente fisico, urbano e architettonico, alle strutture ed edifici, ma altresì beni, ai servizi, all’informazione e alla comunicazione: per questo motivo è richiamata all’articolo 3 tra i Principi Generali della Convenzione, e al successivo articolo dedicato agli Obblighi generali. In particolare, essa è declinata da un lato in relazione al diritto alla mobilità personale (art. 9 e art. 20) e quindi all’accesso all’ambiente fisico e ai trasporti; dall’altro, è strettamente correlata alla libertà di espressione, di opinione e quindi al diritto di accedere all’informazione (art. 21 della Convenzione), e alla comunicazione, nonché alle altre attrezzature e servizi offerti al pubblico. L’accessibilità riguarda quindi:
(a) edifici, viabilità, trasporti e altre strutture interne ed esterne, comprese scuole, alloggi, strutture sanitarie e luoghi di lavoro; strutture turistiche e sportive;
(b) servizi di informazione, comunicazione e altri, compresi i servizi informatici e quelli di emergenza”.
Il passaggio è tratto dal Programma Biennale d’Azione presentato nel 2013 dall’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle Persone con Disabilità e approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 4 ottobre 2013, e chiarisce bene quale sia la portata rivoluzionaria del concetto di accessibilità. Perché promuovere l’accessibilità vuole dire realizzare un mondo a misura di tutti: un mondo nel quale chiunque può muoversi in piena libertà e autonomia, ha accesso alla pari con tutti a ogni opportunità e possibilità che il contesto in cui vive, è in grado di offrire. Per questo motivo, il principio dell’accessibilità nella Convenzione è strettamente correlato a quello della Progettazione Universale: “progettare nel modo più esteso possibile senza dover ricorrere ad adeguamenti o soluzioni speciali/specifiche. Da qui nasce il concetto di «utenza ampliata» che cerca di considerare le differenti caratteristiche individuali, dal bambino all’anziano, includendo tra queste anche la molteplicità delle condizioni di disabilità, al fine di trovare soluzioni inclusive valide per tutti e non «dedicate» esclusivamente alle persone con disabilità”, spiega il Programma Biennale.
Quest’anno le Nazioni Unite dedicano giustamente il 3 Dicembre – Giornata Internazionale della Disabilità – ai temi dell’Accessibilità e dell’Empowerment delle persone con disabilità: il miliardo di persone che nel mondo vivono in condizioni di disabilità (di cui l’80% nei Paesi in via di Sviluppo)- ci ricorda l’ONU – incontrano ogni giorno molte barriere all’inclusione in ambiti fondamentali della vita di una società. Per questo motivo le persone con disabilità non godono del diritto all’accesso alla vita della società e in particolare all’accesso in settori cruciali quali i trasporti, il lavoro, l’istruzione, la partecipazione politica e sociale. Ma – ricorda ancora l’Organizzazione delle Nazioni Unite – il diritto di partecipare alla vita pubblica è un elemento fondamentale per costruire democrazie stabili, per garantire la cittadinanza attiva e ridurre così le diseguaglianze.
Solo promuovendo l’empowerment delle persone con disabilità sarà possibile creare concrete opportunità di partecipazione attiva alla vita della comunità in cui esse vivono. È fondamentale rafforzare e sviluppare le loro capacità, solo così le persone con disabilitá saranno più “attrezzate” per trarre vantaggio dalle opportunità che una società offre e diventare finalmente agenti di cambiamento della realtà.
E il cammino di promozione dei diritti nel nostro Paese a che punto è? Sempre un po’ incerto. A quasi dieci anni dalla firma, non si può negare che la Convenzione ONU sia diventata patrimonio culturale di tanti: sicuramente di tutti gli operatori, dei famigliari, delle associazioni. A livello territoriale molti Comuni l’hanno adottata con provvedimenti ad hoc o comunque fanno riferimento a essa per la promozione di interventi in favore della disabilità. Molte città sono impegnate per diventare gradualmente a misura di tutti anche se in questo ambito il ritardo che si registra rispetto ad altri Paesi europei ed extra europei è consistente. Ma in diversi territori si percepisce che le associazioni sono cresciute, hanno acquisito competenze ed empowerment e il loro impegno sprona gli amministratori a costruire politiche più rispondenti ai principi e contenuti della Convenzione.
Ma anche nelle politiche della disabilità come in tutte le politiche di welfare, quello che sembra sempre distante (disattento? assente?) è lo Stato centrale. Non si sono fatti passi in avanti, ad esempio, per ridisegnare dalle fondamenta – come chiede fortemente l’Osservatorio nazionale sulla Disabilità – il sistema di accertamento e valutazione della disabilità, fondato ancora su concetti gravemente arretrati come “invalidità” (cioè non valido!) o handicap. Concetti che mettono il nostro Paese fuori dal contesto della Convenzione che – come noto – contiene la definizione di disabilità fondata sui diritti umani: “la disabilità è il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri”: non sono le persone “invalide”, è l’ambiente che con le sue barriere le rende disabili! Fa una bella differenza.
Non sono stati definiti standard (livelli essenziali delle prestazioni?) per rendere equo l’accesso agli servizi e alle prestazioni in tutto il territorio nazionale.
E anche sui temi dell’accessibilità dal livello centrale di governo non sembra muoversi molto: non sono previsti finanziamenti per sostenere le città nei loro sforzi di diventare un posto vivibile per tutti, non sono previsti – nonostante l’Osservatorio lo abbia richiesto – organismi di coordinamento (composti da istituzioni e associazioni) per la diffusione di Linee guida, di buone pratiche che supportino i territori.
Milano comunque celebra il 3 dicembre con la Seconda Edizione delle Giornate della disabilità. E il 3 dicembre si parlerà di accessibilità e inclusione nei contesti urbani insieme ad altre città – Trieste, Alessandria, Terni, Follonica, Parma, Cuneo – che hanno deciso di impegnarsi su questo fronte.
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