Secondo una recente ricerca IBM, il 90% dei dati disponibili sono stati generati negli ultimi due anni. Secondo IDC, la quantità di informazioni digitali generate nel solo anno 2010 ha superato per la pima volta l’ordine di grandezza dello zetabyte – 1021 bytes, una quantità di informazioni sufficiente a costruire una pila di DVD alta il doppio della distanza tra la Terra e la Luna. Questa crescita dell’informazione online, incontrollata ed esponenziale, che tipicamente viene identificata con il nome di Big Data, ha condotto a due differenti trend: la richiesta sempre più pressante di nuove tecnologie per la memorizzazione e l’elaborazione di tale mole di dati in modo efficace e, contemporaneamente, la nascita di una grande varietà di piattaforme e di applicazioni che cercano di estrarre valore da questa mole di informazioni.
È opinione comune che l’integrazione di dati provenienti da social media, smartphone e da sensori urbani possa fungere da fattore abilitante per i modelli di smart cities, aprendo la strada allo sviluppo di numerose applicazioni e di servizi innovativi che concretamente possano realizzare tali visioni.
Il recente paradigma del Social Sensing ha ulteriormente rafforzato questa visione, in quanto ha proposto di un modello integrato in cui i cittadini e, più in generale, i componenti di una comunità agiscono da sensori, soggetti che producono semplici dati o informazioni grezze, che vengono poi elaborate e aggregate al fine di generare informazioni a valore aggiunto – scoperte, conoscenza in generale – ottenute attraverso la combinazione e la fusione di dati prodotti su base individuale.
In aggiunta a tipiche applicazioni di sensing puro, come quelle dedicate al monitoraggio dei veicoli che circolano in una area predeterminata al fine di evitare congestioni del traffico o al monitoraggio sanitario, sono state sviluppate applicazioni predittive, in grado ad esempio di prevedere lo stile di vita di un individuo.
La ricerca ha anche puntato all’analisi predittiva di segnali basati su testo, come quelli provenienti da reti sociali come Twitter o Facebook. Il motivo è duplice: in primo luogo, le metodologie proprie della Linguistica Computazionale e del Natural Language Processing (NLP) si basano su algoritmi consolidati ed efficaci, dunque è relativamente più semplice per elaborare dati testuali piuttosto che audio, video o dati ambientali; in secondo luogo, sebbene crescano più lentamente di video o audio, i contenuti testuali rappresentano una fonte di informazioni molto ricca, interessante e di valore. A titolo di esempio, 255 milioni di utenti attivi su Twitter inviano quotidianamente oltre 500 milioni di Tweet ai loro 208 (in media) follower, dunque tecniche di analisi semantica dei contenuti testuali provenienti dai social network possono fornire risultati molto interessanti e migliorare la comprensione delle dinamiche psico-sociali in un modo totalmente nuovo.
La diffusione dei social network ha cambiato radicalmente (e rinnovato) consolidati paradigmi comportamentali, dal momento che la maggior parte delle persone utilizzano oggi queste piattaforme per prendere decisioni di acquisto di beni, di viaggi, per sostenere una causa, per dare suggerimenti o semplicemente per esprimere opinioni e intraprendere discussioni sulla città o il luogo in cui vive.
Perché una mappa?
Nel 1854 un’epidemia di colera colpì Londra. Oltre 10.000 cittadini morirono sino a quando un medico inglese, John Snow, presentò ai funzionari londinesi i risultati delle sue ricerche organizzati in una mappa, che rivelava una concentrazione di casi di colera nelle vicinanze di una pompa d’acqua di Broad Street, l’odierna Broadwick Street, nel quartiere di Soho.
La distinzione tra dati e mappa è evidente a tutti, meno evidente è la relazione simbiotica che esiste tra dati e mappe: “Senza i dati la mappa non può esistere. Senza una mappa i dati sono inutili”.
Le mappe ci consentono di organizzare le informazioni, di rivelare il contesto e l’humus in cui queste informazioni si formano (a partire da dati, fatti, eventi più o meno verificati e verificabili), alimentano le nostre intuizioni, il nostro ingegno e la nostra creatività e così facendo armano la nostra volontà e ci spronano all’azione, alla decisione, alla vita. Ci consentono di vedere quello che nessuno può osservare, di sognare una terra lontana, un incontro con luoghi remoti e persone diverse da noi per lingua, colore, abitudini, cultura. (“Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”, W. Shakespeare)
Risalire la piramide della conoscenza è una delle aspirazioni – sarebbe meglio dire, “l’Aspirazione” – di ogni essere umano, più di qualsiasi altro essere senziente.
Forse non ci resta che affidarsi alla irragionevole efficacia dei dati e alla intrinseca bellezza delle mappe per ampliare le nostre capacità e superare le gabbie della mente e i muri che la abitano, e che alimentano i nostri pregiudizi, preconcetti, superstizioni, fanatismi: in una parola, i nostri tabù.