Sabato 26, a Roma, si tiene #Nonunadimeno la manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne indetta dalle associazioni IoDecido, DiRe e Unione donne in Italia. Una vera emergenza nazionale, quella della misoginia: il ritmo dell’odio e dei femminicidi non sembra infatti arrestarsi. Dove risiede l’origine di questa violenza? E com’è possibile riuscire a prevenirla? Alessia Bausone, dottoranda di ricerca in teoria del diritto all’Università degli Studi di Catanzaro, la rintraccia nella discriminazione, perché “l’uguaglianza di genere de iure e de facto è un elemento chiave per la prevenzione della violenza stessa”.
di Alessia Bausone
Sabato 26 novembre a Roma dalle ore 14 si terrà la manifestazione nazionale contro la violenza di genere indetta dalla Rete IoDecido, da D.i.Re – Donne in rete contro la violenza e dall’Udi – Unione donne in Italia, con l’adesione e la partecipazione di tantissime altre associazioni.
Nonostante vi sia stata più di una polemica sulla eventuale presenza maschile alla manifestazione, fortunatamente avremo un corteo misto e colorato non solo di rosa.
Questo perché la lotta alla violenza di genere non è un affare per sole donne. Non sarà una piazza solo “contro” la violenza, ma una piazza a “favore” di una cultura della non-violenza basata sulla parità.
L’origine di questa violenza, infatti, risiede anche, e soprattutto, nelle disuguaglianze e nelle discriminazioni legate al genere, presenti in svariati ambiti.
Il perseguimento di una uguaglianza di genere de jure e de facto è di fatto un elemento chiave ai fini della prevenzione della violenza stessa.
Partiamo dalla definizione che ci viene data dall’articolo 3 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza e la violenza domestica (c.d. Convenzione di Istanbul), ratificata nel nostro Paese con la legge 77/2013, ai sensi della quale la “violenza contro le donne basata sul genere” è qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato.
I numeri della violenza destano allarme (occorre, altresì, tener conto che i numeri tengono conto solo dei casi “emersi” o, comunque, denunciati), tant’è che l’ex Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza Catherine Ashton ha definito la violenza di genere come “la più diffusa violazione dei diritti umani del nostro tempo”.
Lo studio condotto nel 2014 dall’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione Europea calcola che siano 13 milioni le donne tra i 18 e i 74 anni che hanno subito violenze fisiche da parte del coniuge nel corso dei 12 mesi precedenti l’indagine e 3,3 milioni le vittime di violenze sessuali. In Italia, poi, la situazione presenta aspetti drammatici.
Occorre un’azione incisiva a tutti i livelli, anche mediante l’introduzione di quelle che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo chiama gender-specific provisions.
Nel dicembre 2015 la Commissione europea ha pubblicato l’impegno strategico per l’uguaglianza di genere 2016-2019 al fine di monitorare e prorogare la strategia della Commissione per l’uguaglianza tra uomini e donne (2010-2015). Tra i settori prioritari su cui agire vi è la lotta contro la violenza di genere e protezione e sostegno delle vittime.
Nel rapporto del 20 gennaio 2006 alla Commission on Human Rights of the United Nations Economic and Social Council (E/CN.4/2006/61) il relatore speciale sulla violenza contro le donne ha affermato che sussiste una regola di diritto consuetudinario internazionale che “obbliga gli Stati a prevenire gli atti di violenza contro le donne con la dovuta diligenza”.
La citata Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che aveva in passato analizzato i casi di violenza di genere alla luce dell’articolo 8 sul diritto alla vita privata e familiare, dal caso Valiuliene c. Lituania del 26 marzo 2013 ha ritenuto che la violenza di genere potesse rientrare nell’articolo 3, qualificandola come trattamento inumano e degradante, confermando l’esistenza di un obbligo positivo degli Stati nel prevenire e nel reprimere la violenza di genere in maniera reale ed efficace.
Il governo italiano ha adottato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 7 luglio 2015 il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (previsto dall’articolo 5 del decreto legge n. 93 del 14 agosto 2103, convertito nella legge n. 119/2013) che si basa su un doppio binario: protezione/prevenzione e sanzione/repressione.
Questo piano designa un sistema integrato di politiche pubbliche che vede coinvolte le amministrazioni, anche locali e il mondo dell’associazionismo ”anti-violenza”.
Per quanto il sistema di tutela italiano contro la violenza di genere sia stato definito conforme alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso Rumor c. Italia del maggio 2014, ancora molto occorre fare, con l’aiuto di tutti.
La violenza di genere ha mille volti e sfumature. La citata convenzione di Istanbul parla di violenza fisica, psicologica, sessuale ed economica. Si parla sempre pochissimo delle vittime di violenza di genere con disabilità, ad esempio.
È violenza di genere la tratta delle donne e delle bambine, le mutilazioni genitali, i matrimoni forzati e precoci, le aggressioni sessuali, il cyberstalking (forma di controllo digitale, “on the net” della donna concepita come proprietà), ed è necessario includere, a questo punto, anche la violenza di “gender”, come le terapie riparative nei confronti dei soggetti LGBTI, soprattutto minorenni.
Sabato sarà un’occasione importante per mandare un grande messaggio di uguaglianza che sia di forte stimolo alle istituzioni tutte e sia da esempio per una Italia in cui maschilismo e machismo avranno sempre meno cittadinanza.