Lo scorso 25 gennaio, la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla legittimità dell’Italicum, la legge elettorale messa a punto dal governo Renzi, dopo le ordinanze di cinque tribunali (Messina, Torino, Perugia, Genova e Trieste) che contestavano legittimità del ballottaggio, premio di maggioranza, capilista bloccati, soglie di sbarramento e multicandidature. Stefano Catalano, esperto di diritto costituzionale all’Università degli Studi di Verona, ha fatto per Vox un punto sulle decisioni della Corte, sulle novità della legge e sui possibili scenari che si apriranno per la politica italiana.
La Corte Costituzionale si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale della legge elettorale n. 52 del 2015 (c.d. Italicum), sollevate da cinque diversi giudici. Le critiche mosse alla legge approvata dal Parlamento e che regola l’elezione solo della Camera di deputati erano molteplici. Si criticava: la previsione del premio di maggioranza; la previsione di un eventuale secondo turno di ballottaggio nel quale assegnare il premio di maggioranza nel caso in cui al primo turno nessuna lista avesse ottenuto almeno il 40% dei voti; la previsione dei capilista bloccati e della possibilità per questi di candidarsi in più collegi; le soglie di sbarramento.
Non è questa la sede per ricordare nel dettaglio le argomentazioni proposte dai vari giudici e neppure per dare conto degli argomenti di quanti difendevano la legittimità dell’Italicum.
Quel che interessa ora è:
- dare conto della decisione della Corte Costituzionale, di cui non si conoscono le specifiche argomentazioni, ma semplicemente gli esiti;
- descrivere in breve il sistema elettorale che deriva da tale decisione;
- ragionare sui possibili scenari futuri.
- Che cosa ha deciso la Corte Costituzionale
Anche se le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale saranno rese note nelle prossime settimane, è possibile conoscere il contenuto essenziale della decisione. Ciò perché la stessa Corte ha diffuso un comunicato stampa nel quale si dicono alcune cose molto importanti e con il quale, lo si è già segnalato, si indicano le conclusioni dell’esame dei problemi di costituzionalità.
In primo luogo, si dice che non è stata condivisa l’idea secondo cui la previsione di un premio di maggioranza al primo turno per le liste che ottengono almeno il 40% dei voti sarebbe in contrasto con la Costituzione. In altre parole, la Corte non ha ritenuto irragionevole la previsione del premio di maggioranza collegato a una soglia di voti tutto sommato abbastanza elevata. Non si è ripetuto quanto avvenuto nel caso deciso con la sentenza n. 1 del 2014 che aveva dichiarato illegittimo il c.d Porcellum. Non si è detto, insomma, che l’attribuzione del premio deforma in modo così netto il risultato elettorale al punto di essere in contrasto con il principio dell’uguaglianza del voto e della necessaria rappresentatività del sistema elettorale. Quindi la previsione del premio di maggioranza al primo turno non è caduta.
In secondo luogo, si è detto che la previsione di un secondo turno di ballottaggio, da svolgersi solo se nessuna lista ottiene al primo turno almeno il 40% dei voti, con il quale assegnare il premio di maggioranza è in contrasto con la Costituzione. Pur non sapendo esattamente le ragioni per le quali la Corte arriva a questa conclusione è verosimile che si sia ritenuto – esattamente come si fece nel 2014 – inammissibile l’assegnazione di un premio di maggioranza senza che chi lo ottiene abbia un consistente seguito elettorale. In effetti, al ballottaggio accedevano le liste più votate (potenzialmente anche con un numero di voti non particolarmente elevato) e il premio viene assegnato indipendentemente dal numero di elettori che partecipano al voto. In altre parole, sembra che qui si sia di fronte alla stessa situazione considerata illegittima nel 2014. Troppo grande può essere lo scarto fra voti ottenuti e seggi conquistati alla Camera per la lista che ottiene il premio. La maggioranza può essere data artificialmente a una lista che non è maggioranza nel Paese, essendo solo la minoranza più consistente, ma potenzialmente numericamente limitata.
In terzo luogo, la Corte dichiara illegittima la disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d’elezione. Resta, invece, perché non illegittima, la previsione dei capilista e la possibilità di essere candidati in diversi collegi. In breve, si toglie solo la possibilità ai capilista di scegliere dove essere eletti. Laddove un candidato venga eletto in più collegi sarà il sorteggio a decidere quale sarà il luogo di elezione con la conseguenza che negli altri collegi verranno eletti i candidati che seguono il capolista. Qui è più difficile ipotizzare le ragioni della Corte. Sembra comunque che si sia ritenuto non ammissibile che un candidato scegliendo dove essere eletto – nel caso in cui avrebbe diritto all’elezione in più collegi – scelga nella sostanza anche quale collega di partito far eleggere al suo posto.
- Il nuovo sistema elettorale
Il sistema elettorale che deriva dalla decisione della Corte Costituzionale e che vale, ovviamente, solo per la Camera dei deputati è in sintesi il seguente. Si vota con un sistema proporzionale con premio di maggioranza solo eventuale. Solo se una lista attiene almeno il 40% dei voti a livello nazionale esso sarà assegnato. Se nessuna lista raggiunge tale soglia il sistema sarà esclusivamente proporzionale, con la sola esistenza di soglie di sbarramento che escludono dalla rappresentanza in Parlamento le liste che non hanno ottenuto almeno il 3% dei voti. Ci saranno, nei vari collegi, dei capilista bloccati scelti dai partiti. Gli elettori avranno la possibilità di scegliere i candidati diversi dai capilista con le preferenze (sino a due a condizione che espresse per candidati di sesso diverso).
Per quanto riguarda il Senato: la sua elezione è regolata dalla disciplina del Porcellum che è rimasta dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 2014. Anche qui, in sintesi, ci si trova di fronte ad un sistema proporzionale, ma non è previsto alcun premio. Inoltre, il sistema del Senato consente alle forze politiche di formare delle coalizioni – cosa che alla Camera non è oggi consentita – e prevede delle soglie di sbarramento alte (8%) per le liste che non fanno parte di coalizioni.
Nel complesso ci si trova di fronte a due sistemi elettorali proporzionali, ma con importanti differenze. Differenze assai significative e tali, forse, da non determinare quella uniformità che il Presidente della Repubblica ha detto di considerare indispensabile per poter procedere allo scioglimento anticipato delle Camere.
- Gli scenari futuri
Quali scenari futuri allora? È molto complicato prevedere quanto potrà accadere nei prossimi mesi.
Un dato però è chiaro. Ciò che resta dell’Italicum dopo la sentenza della Corte Costituzionale è un sistema elettorale che può essere immediatamente usato. È la stessa Corte a chiarirlo nel suo comunicato. Si dice testualmente che “All’esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione”. Questo significa che oggi ci sono le regole per eleggere sia la Camera, sia il Senato. Si tratta, però, è bene ricordarlo, di due discipline che escono da altrettante decisioni della Corte Costituzionale (la 1 del 2014 per il Senato, quella che sarà depositata a breve per la Camera).
Ne deriva che astrattamente si potrebbe votare in tempi brevi. Resterebbero, in questo caso, gli inconvenienti insti in due sistemi non del tutto omogenei. Per questo si potrebbe immaginare che il Parlamento intervenga. In che modo? Due possono essere le strade. Da una parte si potrebbe estendere al Senato il sistema elettorale previsto per la Camera (ossia l’Italicum dopo la sentenza della Corte). Dall’altra si potrebbe immaginare che si approvino due nuove leggi elettorali.
Che cosa accadrà, ad ogni modo, dipenderà dal concreto atteggiamento delle forze politiche che, evidentemente, sceglieranno cosa fare in base a valutazioni anche contingenti. In termini più diretti, si può immaginare che gli scenari futuri saranno determinati dalle valutazioni che le singole forze politiche faranno sulla maggiore o minore convenienza di un ritorno immediato alle urne. Se la maggioranza delle forze politiche dovesse ritenere più conveniente un voto immediato sarà difficile l’approvazione di nuove leggi elettorali. Invece, se la convenienza condivisa fosse quelle di un voto spostato più in là, sarebbe più probabile che il Parlamento si impegni nella scrittura di nuovi sistemi elettorali, se non altro per giustificare l’allungamento della vita della legislatura in corso.