Lo scorso 23 febbraio la Corte d’Appello di Trento ha riconosciuto la piena genitorialità a due uomini, sposati all’estero, padri di due gemelli di sei anni, nati tramite gestazione per altri in Canada. La decisione è stata presa senza far ricorso alle norme sull’adozione, nella tutela dell’interesse superiore del minore, per garantire ai due gemelli la continuità del rapporto con i familiari
di Giulia Peverelli
Lo scorso 23 febbraio la Corte d’Appello di Trento ha disposto il riconoscimento giuridico di un provvedimento straniero che permette a due gemelli, nati con gestazione per altri in Canada, di essere considerati a tutti gli effetti figli di una coppia di uomini italiani sposati all’estero. Nel 2009 i due papà avevano trovato una donna disposta a donare i propri ovociti e un’altra disposta a sostenere una gravidanza per loro. Una volta riconosciuta la non genitorialità della gestante, con due provvedimenti giudiziali differenti (il primo a favore del padre biologico dei bambini e il secondo per l’altro) entrambi gli uomini erano stati poi riconosciuti come genitori dei gemelli.
La sentenza: i punti principali
Convalidando il certificato di nascita dei due bimbi in cui i due uomini sono entrambi riconosciuti come papà, la Corte di Trento ha dato il via libera a una bi-genitorialità omosessuale che ha creato grande scalpore in Italia, non solo perché si tratta di una questione molto delicata e discussa dall’opinione pubblica, ma soprattutto perchè il tutto è avvenuto senza fare ricorso alle norme sull’adozione. Alla coppia, quindi, sono stati riconosciuti i pieni diritti e doveri nei confronti dei figli, senza che la stepchild adoption potesse impedire di creare legami di parentela tra i minori e il resto della famiglia del padre non biologico. Per la prima volta, nell’assumere tale decisione, il Giudice di Trento ha richiamato i principi evidenziati dalla Corte di Cassazione con la sentenza 19599/2016, per quanto riguarda la trascrizione dell’atto di nascita straniero contenente l’indicazione di due genitori dello stesso sesso.
Le motivazioni addotte nell’ordinanza del 23 febbraio dal giudice italiano si sono concentrate per lo più sulla tutela dell’interesse superiore del minore e così è stato richiamato il favor filiationis (implicitamente riconosciuto dall’art. 8 par. 1 della Convenzione di New York sul Diritto del Fanciullo), che sottolinea l’importanza di preservare l’identità del bambino, e dunque, in primo luogo, la continuità del rapporto con i suoi familiari. Infatti, nella decisione si legge che “sin dalla nascita dei bambini entrambi i genitori avevano assunto il ruolo di padre e come tali erano riconosciuti dai figli, ormai di sei anni di età, così come dalla cerchia di amici, familiari e colleghi”. E’ quindi chiaro che il semplice mancato riconoscimento dello status filiationis o, addirittura, l’allontanamento dei minori dalla famiglia ormai consolidata (così come avvenuto in altri casi italiani) arrecherebbe un grave pregiudizio ai minori e li priverebbe della loro identità familiare, elemento di grande importanza per la tutela dei diritti fondamentali del fanciullo.
Il best interest dei bambini assume, dunque, una dimensione così rilevante all’interno dell’ordinanza della Corte d’Appello di Trento da accantonare un altro tema che da parecchi anni è al centro di un ampio dibattito italiano: le tecniche di procreazione cui si è fatto ricorso all’estero e, in particolare, la maternità surrogata. Infine (e forse è questo che ha dato adito alle maggiori strumentalizzazioni politiche che spesso e volentieri interferiscono con l’attività giurisdizionale) il giudice non ha dato importanza al fatto di avere davanti a sé una coppia omosessuale e non una famiglia con genitori di sesso opposto, poiché, ribadisce nella decisione, l’esistenza di una “vita familiare” costituisce una “questione di fatto che dipende da stretti legami personali” e che certamente non si fonda sul mero rilievo del legame biologico.
Perché sentenza storica fa scalpore
I temi toccati dalla decisione della Corte di Trento sono molteplici, così come molteplici sono gli apprezzamenti e le critiche che tale ordinanza porta con sé. Sulla base di ciò è opportuno provare ad analizzare gli aspetti più controversi che hanno portato alcuni a definire tale ordinanza una “decisione storica” e provare ad immaginare quali potrebbero essere gli interessi in gioco che necessitano di essere esaminati e bilanciati.
La sentenza può essere un precedente per evitare di passare attraverso la stepchild adoption
In primo luogo, uno dei temi che più coinvolge l’opinione pubblica e che ha creato scalpore nel nostro ordinamento è la scelta di ammettere che due persone dello stesso sesso venissero considerate genitori di due minori, in particolare perché – come esplicitato precedentemente – tale riconoscimento è avvenuto senza che si prendesse in considerazione l’istituto dell’adozione. La capacità del giudice di sviare da questa soluzione lascia un po’ perplessi, non tanto per il condivisibile risultato ottenuto, ossia la tutela del preminente interesse dei due minori (che dopo sei anni avevano chiaramente già instaurato un rapporto tale da ottenere una vera e propria identità familiare); bensì per il fatto che la decisione assunta dal Giudice di Trento potrebbe essere utilizzata d’ora in poi come un escamotage per evitare di passare attraverso la stepchild adoption che, inoltre, come risaputo, è stato oggetto di un lungo e ancora aperto dibattito in seguito alla decisione di stralciare tale istituto dal ddl Cirinnà. È evidente, guardando i diversi provvedimenti che sono stati assunti dalla magistratura italiana, che le battaglie poste in essere negli ultimi anni in merito alle diseguaglianze tra coppie eterosessuali e omosessuali, hanno aperto la strada a una nuova consapevolezza e sensibilità che porta il giudice ad aprire verso la parità di trattamento. Non è casuale che, oltre al caso esaminato, pochi giorni fa il Tribunale di Firenze abbia riconosciuto anche in Italia l’adozione da parte di due padri gay fatta nel Regno Unito.
La coppia ha fatto ricorso alla maternità surrogata, vietata in Italia
In secondo luogo, ad alimentare le polemiche è stata anche la mancata presa in considerazione, da parte del Giudice d’appello, del fatto che la coppia omosessuale fosse ricorsa all’estero alla pratica della maternità surrogata, ammessa nello Stato straniero dove era stata effettuata ma vietata in Italia dall’art. 12, comma 6 della legge 40 del 2004. A tal proposito va sottolineato che, per quanto non manchino casi in cui la giurisprudenza italiana e sovranazionale siano state chiamate ad occuparsi di questioni riguardanti tale dispositivo, gli interessi in gioco sono parecchi: la tutela del nascituro (o del nato), quella della madre surrogata che è strettamente connesso alla mercificazione, lo sfruttamento del corpo di una donna e la sua salute e, infine, non va dimenticata la difesa dei diritti della coppia committente. Inutile dire che l’art. 12 della legge 40, sanzionando con la reclusione da tre mesi a due anni e con una multa da 600.000 a 1 milione di euro chiunque ricorra alla pratica della maternità surrogata, non soddisfi la tutela di tutti questi soggetti e per tanto è evidente che sul tema sarebbe necessario un intervento legislativo. Sulla base di ciò si capisce come mai, nel caso in esame, il giudice abbia deciso di non addentrarsi in questa “zona d’ombra” del nostro sistema poiché la pratica è avvenuta in Canada dove non vi sono particolari limitazioni e, dunque, abbia preferito incentrare la propria decisione sul best interest di quei minori che già avevano una famiglia e che semplicemente meritavano di continuare a vivere nel calore che quella coppia gli aveva dato per quei primi sei anni di vita. Non dimentichiamo, poi, che il divieto di maternità surrogata in Italia ha causato la decisione, da parte di molte coppie, di recarsi all’estero per poter effettuare comunque la pratica negli Stati in cui è concessa. Questo fatto, unito al riconoscimento della genitorialità anche nella nostra nazione (come nel caso in questione) potrebbe generare, oltre che al cd. “turismo procreativo”, una grave disparità di trattamento per le coppie che non possono permettersi economicamente di emigrare in altri stati per ottenere il trattamento. Un riconoscimento operato in questo modo, inoltre, potrebbe trasformarsi in un espediente per eludere il sistema italiano, violando l’art. 12, comma 6 della legge 40 del 2004.
Un vuoto legislativo da colmare
In conclusione, è evidente come mai la decisione assunta a Trento sia stata al centro di un ampio e recente dibattito che subirà nuovi risvolti solo dopo che la Corte di Cassazione, chiamata in causa dalla Procura, si esprimerà sul caso. Prescindendo dai pareri politici e da quelli dell’opinione pubblica, che troppo spesso hanno messo in secondo piano le vere tematiche su cui occorrerebbe fare luce nel nostro ordinamento, è chiaro che, a differenza di quanto sostenuto da molti, in questo e in molti altri casi recenti, non è stata la giurisdizione ordinaria (o costituzionale) a intromettersi indebitamente nella sfera di competenza del legislatore, ma è piuttosto quest’ultimo che, lasciando dei vuoti normativi di grande rilievo, costringe la magistratura a intervenire per rimediare.