Nell’estate del 2003 un’ondata di caldo eccezionale colpì l’Europa. A pagare il prezzo più alto furono gli anziani. L’ISTAT riportò un aumento di 18mila vittime tra ultra 75enni, affetti da malattie croniche e disabili. I dati del Ministero della Salute parlano di 4 mila casi dovuti al caldo. Da allora il caldo è rientrato a far parte dei fattori di rischio per l’insorgenza e l’aggravamento di condizioni fisiche dei più fragili: anziani, bambini, disabili e malati. Oggi sono molte le politiche e le iniziative di assistenza che vedono nella collaborazione tra politica, associazionismo, medici e cittadini la loro chiave di successo. Per VOX analizza il tema Isabella Menichini, Direttore centrale Servizi alla persona e alla famiglia presso il Comune di Parma.
Nell’estate del 2003 la popolazione anziana europea subì gravissime conseguenze in seguito ad un’ondata di caldo eccezionale, passata alla storia per le temperature da record raggiunte in diverse città nei primi quindici giorni di agosto. In Portogallo si raggiunsero i 48’, picchi straordinari si registrarono in Spagna, in Francia, dove la canicola raggiunse livelli mai registrati dal 1800.
Anche il nostro paese fu colpito da quest’onda anomala di calura che fu causa in molti paesi di un incremento drammatico di decessi nelle fasce più anziane della popolazione.
Secondo i dati pubblicati dal Ministero della Salute, gli approfondimenti condotti sull’impatto dell’ondata di calore in Europa del 2003, hanno stimato più di 70.000 morti in eccesso in 12 Paesi europei, con effetti maggiori registrati in Francia, Germania, Spagna e Italia: si è trattato soprattutto di persone sole, di età maggiore di 75 anni, affette da malattie croniche, con disabilità funzionale. In Italia l’ISTAT ha “contato” 18mila decessi in più rispetto all’anno precedente, il Ministero della Salute ha valutato in un numero di poco superiore ai 4.000 i casi in aumento dovuti a tali fenomeni.
Ci si è così improvvisamente resi conto che il caldo è un fattore di rischio per l’insorgenza di patologie e per l’aggravamento delle condizioni di salute della popolazione, soprattutto nelle fasce più fragili: gli anziani, i bambini piccoli, le persone già affette da patologie o portatori di disabilità.
Nel nostro paese, la scarsa capacità dei sistemi sanitari di affrontare l’emergenza dell’estate 2003 ha evidenziato la necessità di pianificare e predisporre adeguate linee di azione per la prevenzione e il contenimento dei danni alla salute. Ecco perché dopo quella tragica estate il Ministero della Salute ha attivato una serie di iniziative per la prevenzione dell’impatto delle ondate di calore sulla salute della popolazione. Una delle prime è stata l’adozione di Linee guida elaborate da un gruppo di tecnici (aggiornate quest’anno ) ed indirizzate a Regioni, Province e Comuni, ai medici di medicina generale, ai medici ospedalieri, ed in generale a tutti gli operatori socio-sanitari coinvolti nell’assistenza e nella gestione delle fasce di popolazione a rischio, per fornire loro utili indicazioni per fronteggiare adeguatamente tali situazioni.
Il documento, oltre a presentare le evidenze attualmente disponibili sui fattori di rischio associati al caldo e alle ondate di calore e presentare gli interventi efficaci per la prevenzione dei relativi effetti, fornisce raccomandazioni, modelli e strumenti operativi per l’implementazione di piani locali di prevenzione degli effetti del caldo sulla salute, nonché indicazioni aggiornate per gli operatori sanitari per la corretta gestione dei pazienti a rischio durante il periodo estivo.
Negli stessi anni, la Protezione civile ha istituito un “Sistema Nazionale di Allarme per la Prevenzione dell’Impatto delle Onde di Calore” che consiste nell’invio ai Centri Locali di riferimento di un bollettino quotidiano – dal 15 maggio al 15 settembre – di previsione per lo stesso giorno e per i due giorni successivi delle condizioni climatiche che, sulla base dell’analisi di una lunga serie storica di informazioni, sono risultate essere associate ad un aumento della mortalità nella popolazione generale. I Centri Locali operativi sono 27; ciascuno dei tre giorni considerati da ogni bollettino è qualificato secondo quattro livelli crescenti di rischio.
Con pari impegno si sono attivate le regioni che più o meno diffusamente hanno dato vita a Programmi di prevenzione dei danni alla salute causati da ondate di calore; sono stati sottoscritti protocolli operativi tra Aziende sanitarie e i medici di medicina generale, sono stati approntati Vademecum per operatori e cittadini con le indicazioni e suggerimenti per fronteggiare i disagi dovuti alla calura estiva.
E così a livello locale i Comuni, spesso in coordinamento con le Autorità sanitarie hanno dato vita a Piani locali “anticaldo”, che possono prevedere l’istituzione e l’aggiornamento dell’Anagrafe dei cittadini fragili, l’istituzione di un numero verde per informazioni, emergenze, richiesta di aiuto; l’attivazione della rete dei medici di medicina generale per assicurare un costante monitoraggio delle situazioni più esposte; la messa a disposizione di condizionatori/climatizzatori. Ma anche iniziative di socializzazione, programmi estivi per far sì che le persone anziane non rimangano isolate nelle loro case. Molte tra esse nel 2003 morirono per disidratazione e denutrizione sole nelle loro case.
Il Comune di Parma ad esempio, in collaborazione con le Autorità sanitarie, ed in adesione alle indicazioni fornite dalla Regione Emilia Romagna, attiva dal mese di giugno il Piano Anticaldo che prevede l’istituzione di un numero verde h24 gestito dalle Associazioni per raccogliere segnalazioni dagli anziani; la distribuzione di locandine con tutti i consigli utili per difendersi dal caldo; il monitoraggio degli anziani soli, tramite anche i medici di famiglia; la distribuzione di condizionatori d’aria portatili da assegnare a chi ne ha bisogno; la collaborazione con il volontariato a supporto dei servizi .
Di particolare rilievo quelle iniziative nate in alcune città all’indomani del 2003, che hanno visto amministrazioni locali collaborare strettamente con le associazioni di volontariato a protezione della popolazione anziana grazie a “servizi di prossimità”: il Ministero della Salute nel 2004 ha finanziato esperienze ad esempio a Milano, Roma, Torino e Genova fondate su un modello innovativo di assistenza socio-sanitaria di “sorveglianza attiva”, attraverso centrali operative di coordinamento, call center e soprattutto con il coinvolgimento di “custodi sociali e socio-sanitari”. Esperienze che sono proseguite grazie a finanziamenti regionali o locali.
A Roma il progetto “Viva gli Anziani” è stato portato avanti dalla Comunità di Sant’Egidio per monitorare e raggiungere quelle persone ultra75enni maggiormente a rischio, perché in condizioni di isolamento. A Genova la sperimentazione si è progressivamente sviluppata e nel 2011 sfocia in un nuovo modello denominato “interventi di comunità per anziani”. A Milano il progetto dei custodi socio-sanitari nasce già nel 2003 e successivamente, con il sostegno della Regione Lombardia prosegue fino al 2011. I custodi socio-sanitari operano in postazioni presso le portinerie di alcune case popolari, in sinergia con i portieri sociali (già attivi). Rispetto a questi ultimi i custodi sociali o socio-sanitari sono “mobili” nel quartiere potendo così essere sentinelle in grado di intercettare e rilevare situazioni di bisogno, di fragilità soprattutto quelle meno visibili; osservano e prestano ascolto alle richieste che provengono anche indirettamente; sono dei facilitatori tra le persone anziane che manifestano specifici bisogni e la rete dei servizi; forniscono informazioni e consigli e assicurano anche interventi di vita quotidiana. La loro forza risiede nell’esserci, nello stare vicini e nel poter essere immediatamente attivabili e contattabili senza trafile burocratiche.
Rappresentano esperienze preziose di buona sussidiarietà, in grado di tutelare i diritti e la dignità delle persone anziane di garantire loro un’adeguata protezione. Iniziative che andrebbero rafforzate ed estese grazie ad ulteriori risorse finanziarie, coinvolgendo sempre più in forme di co-progettazione le forze del volontariato e del privato sociale. Ma in questo momento, stretti tra una domanda di assistenza sociale crescente e risorse in calo, gli Enti locali rischiano di chiuderli servizi così, anziché favorirne la diffusione.
Isabella Menichini