Secondo il sondaggio di Demos condotto nell’autunno del 2016, il 30% degli studenti intervistati ritiene che il bullismo riguardi la maggior parte delle scuole del proprio quartiere. Una percentuale che conferma precedenti sondaggi dell’ISTAT (2014) e della Doxa Kids (2015). Ma anche una percentuale che deve far riflettere.
di Vittorio Lingiardi e Nicola Nardelli
I dati dell’ISTAT evidenziano che oltre la metà delle ragazze e dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni è stata oggetto di violenze da parte dei propri compagni. Per due studenti su dieci si è trattato di vessazioni ripetute nel tempo. In questi casi possiamo parlare di bullismo, un fenomeno caratterizzato da atteggiamenti di sopraffazione intenzionali e ripetuti nel tempo, comportamenti in cui vi è un’asimmetria di potere che stabilisce chi sarà il persecutore e chi la vittima.
Vale la pena di notare che questo squilibrio di potere spesso rispecchia il contesto socioculturale dove avvengono gli episodi di bullismo, ossia dove specifici gruppi sociali sono oggetto di pregiudizi e discriminazioni. Si pensi ai bullismi contro i giovani appartenenti a minoranze etniche o religiose, i giovani disabili, quelli sovrappeso o, nel caso del bullismo omofobico, i giovani gay e lesbiche o ritenuti tali. Soprattutto in questi casi, infatti, sembrano attivarsi alcuni meccanismi di “disimpegno morale” descritti dallo psicologo canadese Albert Bandura che portano i bulli a giustificare se stessi, disumanizzando la vittima e attribuendole la colpa per le violenze inflitte. Dinamiche che tendono a intensificarsi nei casi di cyberbullismo, sfruttando l’anonimato di internet e la facile diffusione dei messaggi tramite i social network.
Le cause del bullismo possono essere spiegate da una prospettiva che integra la teoria psicodinamica e quella della psicologia sociale. Ogni cultura ha un ideale subliminale e chi non lo soddisfa viene considerato inadeguato. Tuttavia, nessuno riesce a soddisfare pienamente questo ideale. Per spostare l’attenzione dalle proprie debolezze e lacune, alcuni soggetti prendono di mira chi è percepito come “diverso”. Spesso la vittima finisce per accettare il ruolo attribuitole, ritrovandosi in una posizione senza via d’uscita.
Cosa dice la ricerca scientifica sugli effetti post-traumatici del bullismo? Che possono essere gravi, a breve (come la dispersione scolastica) e a lungo termine, fino a comprendere problemi relazionali, ansia, depressione, ideazione suicidaria. Nei casi di bullismo omofobico, quest’ultima è tanto più frequente quanto più è forte il rifiuto da parte della famiglia o dell’ambiente scolastico. Al contrario, sono fattori protettivi un clima familiare positivo, il senso di sicurezza a scuola, la possibilità di contare su adulti amorevoli e rispettosi dei percorsi, più o meno travagliati, di coming out. Un passaggio evolutivo, quest’ultimo, che il più delle volte favorisce l’autenticità delle comunicazioni e la crescita delle relazioni, rinnovando la sincerità dei legami familiari, scolastici e sociali.
Non di rado accade che gli stessi adulti, per esempio gli insegnanti o i genitori, quando vengono a conoscenza degli atti di bullismo, li sottovalutino o siano conniventi, senza dare il giusto peso agli effetti deleteri che il bullismo può esercitare sui percorsi evolutivi dei giovani. Molti adulti pensano che si tratti di esperienze inevitabili o addirittura necessarie in adolescenza. Invece, come recita un’ormai famosa dichiarazione di Barack Obama, «dobbiamo sfatare il mito che il bullismo sia semplicemente un rito di passaggio», aggiungendo che «abbiamo l’obbligo di garantire che le nostre scuole siano sicure per tutti i nostri figli.» Queste parole, che seguono una serie di suicidi di giovani vittime di bullismo omofobico, sono contenute in un video che Obama ha pubblicato sul sito di It Gets Better durante la sua presidenza (www.itgetsbetter.org/blog/entry/president-obama-it-gets-better). It Gets Better è un progetto nato da un’idea di Dan Savage, e di suo marito Terry Miller, per prevenire il suicidio diffondendo videomessaggi in cui chi parla racconta la propria storia per rassicurare i giovani non eterosessuali che loro vanno bene così come sono e che presto “andrà meglio”.
Le cose cambiano – che nel 2017 avrà un sito con una nuova veste grafica e ancora più contenuti – è un’associazione italiana no-profit affiliata a It Gets Better e con lo scopo di favorire la cultura del rispetto e dell’ascolto reciproco. Condividere la nostra storia e ascoltare quella degli altri sono strumenti per imparare a rispettare chi ci “sembra” diverso e combattere le discriminazioni.
D’altra parte, come ha affermato Ban Ki-moon nel 2012, affrontare il bullismo e i suoi effetti è una «sfida comune.» «Tutti noi», ha continuato il segretario delle Nazioni Unite, «abbiamo un ruolo in qualità di genitori, familiari, insegnanti, vicini di casa, dirigenti di comunità, giornalisti, figure religiose, funzionari pubblici.» Ognuno, nel proprio ruolo, deve fare la propria parte. I genitori devono ascoltare e proteggere i propri figli, ma anche educarli collaborando attivamente con gli insegnanti. Gli insegnanti devono avere gli strumenti giusti per conoscere e riconoscere i bullismi tramite opportuni programmi di formazione attuati dalle istituzioni scolastiche. Le istituzioni scolastiche devono favorire l’impiego di figure professionali specializzate (psicologi, educatori, ecc.). Non solo monitorare e intervenire, ma anche informare e prevenire. Perché la via migliore per affrontare il bullismo parte dalla promozione di un’educazione al rispetto reciproco, favorendo una cultura dove le differenze non sono più considerate “diversità” ma “varietà”.
Per approfondimenti rimandiamo al volume Bullismo omofobico di Ian Rivers (il Saggiatore), un testo completo per comprendere il bullismo, le cause e i suoi effetti, nonché acquisire gli strumenti necessari per prevenirlo e combatterlo.