NEWS: Dopo l’approvazione in Camera dei Deputati, il Senato della Repubblica ha convertito in legge il decreto Balduzzi (qui il testo) garantendo a chi ha iniziato le terapie con il metodo Stamina la possibilità di continuarle avviando di fatto una sperimentazione, promossa dal ministero della Salute e supervisionata dal Centro nazionale trapianti, Istituto superiore della sanità e Agenzia italiana del farmaco (Aifa).
In Italia la questione della ricerca sulle staminali parte dalla mancanza di una legge chiara a riguardo. Il nostro Paese non affronta direttamente il problema. Per VOX analizza il problema la biologa ricercatrice Monica Fabbri.
VOX: Cellule staminali: fra scienza ed etica
L’interesse scientifico alle cellule staminali deriva dalla loro capacità di proliferare indefinitamente e di differenziarsi virtualmente in ogni tipo cellulare presente nell’organismo umano. L’attenzione dei ricercatori è posta oggi proprio sulla definizione delle modalità di differenziamento di queste cellule: si cerca cioè di capire quali fattori siano necessari affinché una cellula staminale si trasformi in una cellula del fegato, piuttosto che del cuore o del cervello. Non esistono a tutt’oggi terapie basate sull’utilizzo di cellule staminali, ma, potenzialmente, esse potranno essere utilizzate in tutte le patologie degenerative, dove le cellule staminali differenziate possano sostituire un tessuto danneggiato o rimosso: ad esempio il morbo di Parkinson, l’infarto del miocardio e il diabete.
E’ noto che l’utilizzo di queste cellule solleva questioni etiche, ma esse non possono essere affrontate se prima non si chiarisce da dove e con quali metodi si possono ottenere cellule staminali e perché alcuni di essi risultino eticamente più delicati di altri.
Le cellule staminali si possono ottenere in quattro modi diversi: da embrioni allo stadio precoce, da tessuti adulti, attraverso il trasferimento nucleare somatico e riprogrammando cellule adulte.
Le cellule staminali embrionali sono estratte da embrioni allo stadio di blastocisti. Quest’ultima si forma dopo il quinto giorno dalla fecondazione ed è una sfera cava con un rigonfiamento cellulare al suo interno: tale protuberanza, formata da 20-30 cellule, forma l’embrione vero e proprio, da cui vengono estratte le cellule staminali pluripotenti; mentre la parete della sfera formerà gli annessi embrionali, quali la placenta. L’estrazione delle staminali causa la distruzione della blastocisti. Le blastocisti possono derivare da fecondazioni sviluppate ad esclusivo scopo di ricerca oppure, nella maggioranza dei casi, da embrioni cosiddetti soprannumerari: si tratta di blastocisti congelate generate per la procreazione medicalmente assistita e non più utilizzate.
L’utilizzo di staminali embrionali è regolamentato da norme più o meno restrittive nei diversi Paesi, come vedremo successivamente.
Negli individui adulti sono presenti delle cellule staminali che, differenziandosi, sostituiscono i tessuti in rinnovamento, come la pelle o le cellule del sangue. Queste cellule non sono presenti in tutti i tessuti e sono spesso difficili da individuare, isolare e mantenere in coltura, ma rappresentano una fonte che non solleva questioni etiche di sorta.
Il trasferimento nucleare somatico è la tecnica che è stata utilizzata per clonare la ormai famosa pecora Dolly: si prende l’ovocita da un donatore, si rimuove il nucleo (che contiene la metà materna del genoma) e lo si sostituisce con il nucleo di una cellula di un individuo adulto (che contiene l’intero genoma). Questo ovocita viene indotto a svilupparsi e a formare una blastocisti da cui possono essere derivate le cellule staminali pluripotenti o che può essere impiantato e portato a sviluppo. Questa procedura è detta di clonazione poiché le cellule o l’individuo che ne deriva sono geneticamente identici al genoma della cellula da cui è stato prelevato il nucleo. Si parla di clonazione terapeutica in caso di prelievo di staminali e di clonazione riproduttiva in caso impianto e sviluppo dell’organismo.
Negli anni più recenti è stata sviluppata una tecnica che apre notevoli prospettive: si tratta di riuscire a riprogrammare cellule di individui adulti affinché si differenzino (cioè ritornino precursori immaturi) e acquisiscano caratteristiche di pluripotenza (cioè si possano differenziare in qualunque tipo di cellula e tessuto). Questa tecnica permette di avere delle cellule staminali senza passare dallo stadio di blastocisti e quindi di embrione.
E’ chiaro che la questione più delicata dal punto di vista etico consiste nella distruzione delle blastocisti: coloro che considerano l’inizio identitario di una persona con la fecondazione, valutano questo atto alla stregua di un vero e proprio omicidio. In questo senso si è espressa la chiesa cattolica, anche se è interessante sottolineare che non tutte le chiese cristiane hanno questa concezione (cfr ad es. il documento della Chiesa Valdese: “Cellule staminali: aspetti scientifici e questioni etiche”).
Tuttavia l’esistenza di grandi quantità di embrioni soprannumerari ha rappresentato un’utile via di uscita per la questione dal punto di vista legislativo. Gli embrioni soprannumerari sono stati prodotti a fini procreativi, congelati ma mai utilizzati. Di fatto queste blastocisti sono destinate a rimanere congelate ad libitum: tali embrioni vengono, infatti, prodotti in eccesso e, quando non utilizzate per l’impianto, in molti Paesi (Brasile, Stati Uniti, Spagna, Francia, Portogallo…) è concessa la donazione a fini di ricerca. Il loro numero è tale che se anche si ritenesse che esse possano essere impiantate dopo anni dal congelamento (di solito non si superano i 5), sarebbe impensabile una procedura di “adozione” per ognuno di essi.
Le numerose linee di staminali embrionali oggi utilizzate per la ricerca sono state tutte derivate in questo modo. Solo alcuni Paesi (Inghilterra, Israele ed India, ad esempio) permettono la produzione di embrioni umani al solo scopo di ricerca tramite trasferimento nucleare somatico, ma in condizioni estremamente controllate e solo per progetti ben definiti in termini di finalità terapeutiche: in questo caso infatti, le cellule staminali derivate saranno identiche al donatore di nucleo e, una volta differenziate, non presenteranno problemi di rigetto immunitario.
E in Italia?
Il nostro Paese non ha una legge che regolamenti la ricerca su cellule staminali embrionali: vi è però un articolo nella legge 40/2004, la legge sulla procreazione medicalmente assistita, che sancisce che ” è vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano” a meno che essa non abbia la finalità di tutela della salute dell’embrione stesso (art. 13 commi 1,2). Un articolo quanto mai generico che, di fatto, impedisce l’estrazione di cellule staminali da embrioni, ma non impedisce che tali cellule siano importate dall’estero, come in effetti avviene. Dal punto di vista etico un pasticcio che nelle sue pieghe nasconde una forte ipocrisia e la dimostrazione della mancanza di volontà di affrontare frontalmente la questione. Conserviamo centinaia di migliaia di embrioni umani in azoto liquido che non possiamo utilizzare, ma se altri lo fanno all’estero e poi ci danno le cellule non abbiamo niente da dire! Eppure, persino svariati membri cattolici del Comitato Nazionale di Bioetica (organo consultivo di tecnici, nominati dal Presidente del Consiglio, che esprime pareri non vincolanti) hanno ritenuto che l’utilizzo di embrioni soprannumerari a fini di ricerca fosse ammissibile (cfr. documento 2000). Le ipocrisie sono poi continuate quando sono stati emessi bandi di finanziamento riservati alla ricerca su cellule staminali da individuo adulto. Molto spesso si ritiene che queste ricerche siano lecite perché non causano la distruzione di blastocisti, ma è bene chiarire che la ricerca sulle cellule staminali di qualunque origine avanza come un fronte compatto, e le conoscenze ottenute sulle staminali embrionali vengono poi applicate anche per lo sviluppo della ricerca sulle staminali adulte e sulle cellule riprogrammate. L’una ricerca è strettamente legata all’altra ed è grottesco che si ritenga che l’una sia lecita e l’altra no.
Sarebbe ora, quindi, che l’Italia decidesse di non nascondersi dietro facili ipocrisie, ed affrontasse in modo congruente la questione con una legge che permetta la donazione di embrioni prodotti a scopi procreativi a fini di ricerca scientifica.
Monica Fabbri