E’ di questi giorni la notizia che la prestigiosa rivista Nature ha denunciato “l’insostenibilità” del metodo di cura proposta dall’associazione Stamina, in Italia. L’inchiesta sul discusso metodo che usa staminali mesenchimali, accusa Stamina di aver “falsificato i dati della sua ricerca in sede di domanda di brevetto”.
La terapia si basa sull’utilizzo di cellule staminali per curare gravi patologie neurologiche ed ha visto una, purtroppo non inedita, contrapposizione fra rigore scientifico e solidarietà ai pazienti. Per VOX torna a parlare di staminali Monica Fabbri, biologa e dottore di ricerca in biochimica presso l’Università degli Studi di Milano.
Prima di giudicare e prendere posizione però, è necessario chiarire che qui non si sta opponendo il diritto di cura (peraltro sancito dalla nostra costituzione) a qualche strana arcana velleità scientifica o, peggio, di risparmio economico: la questione ruota intorno alla necessità di verificare che le cure proposte, per quanto cosiddette “compassionevoli”, e cioè applicabili a casi di malattie incurabili anche gravissime, siano concesse solo se vi è una base scientifica valida e se la preparazione del farmaco è rigorosa.
La sperimentazione è salita agli onori della cronaca nel 2012 quando il Tribunale di Brescia ha vietato la somministrazione ai pazienti di cellule staminali mesenchimali, che avveniva nel locale ospedale pubblico in accordo con la Stamina Foundation Onlus, che preparava le cellule per la cura. Il motivo di tale divieto risiede nella procedura di preparazione delle cellule: la legge infatti prevede che tutti i farmaci vengano prodotti il laboratori GMP, acronimo che significa Good Manifacturing Practice, che si contrappone al meno rigoroso GLP, Good Laboratory Practice. La Fondazione Stamina preparava le cellule in laboratori GLP, adatti per trapianti di midollo, dove le cellule estratte vengono subito utilizzate nei pazienti, ma non per tenere in coltura cellule staminali mesenchimali alcuni giorni al fine di differenziarle. La certificazione GMP assicura non solo che i farmaci preparati, in questo caso le cellule, non vengano contaminate da agenti patogeni per l’uomo, ma richiede anche che i protocolli di preparazione siano testati e riproducibili.
Proporre una cura compassionevole non può permettere di derogare su questi punti: la sicurezza del paziente e il rigore scientifico negli studi preclinici. E’ bene chiarire che se la prima era messa in dubbio per i motivi di cui sopra, anche il secondo veniva a mancare di solidità: sono stati numerosissimi gli esponenti di spicco della comunità scientifica italiana e internazionale (fra cui la prestigiosa rivista Nature e il premio Nobel Shinya Yamanaka, ora presidente dell Società mondiale per la ricerca sulle cellule staminali) che hanno mostrato contrarietà al dubbio utilizzo di questo tipo di cellule per curare malattie neuronali, poiché non vi è una letteratura scientifica che supporti tale ipotesi.
Anche qui è necessario un chiarimento: le testimonianze di miglioramenti fornite da alcuni genitori, certamente disperati, non può fornire una base scientifica di appoggio alla sperimentazione. Ricordiamo tutti il famoso caso del prof. Di Bella: testimonianze commoventi di guarigioni miracolose, montate dai media, portarono lo Stato Italiano a finanziare una costosissima sperimentazione senza base scientifica, i cui risultati come atteso, portarono alla luce l’inefficacia di tale cura. Il dolore dei genitori che hanno figli affetti da gravi malattie inguaribili è da comprendere, ma non è un buon motivo per derogare da regole improntate a proteggere i pazienti da un abuso. La base scientifica per una cura si fonda sulla pubblicazione di dati su studi preclinici e della verifica di riproducibilità da parte di altri laboratori: le stesse cellule devono comportarsi allo stesso modo a Brescia come a New York. Questo metodo non è certo infallibile, ma al momento è quello che permette il maggior rigore.
Come è noto la legge varata dalla Camera il 22 maggio scorso stanzia tre milioni di euro per una sperimentazione con queste cellule: una legge che porta con sè una nota positiva e una negativa. La buona notizia è che impone la preparazione in laboratori GMP, con pubblicazione del protocollo che dovrà quindi essere riproducibile: il rischio, infatti, era di varare una sorta di pericolosa liberalizzazione delle terapie a base di staminali, che avrebbero potuto essere somministrate senza i dovuti controlli. Ora Vannoni, lo psicologo direttore di Stamina, pone dei paletti proprio su questo punto, destando molti sospetti.
La cattiva notizia è che, di nuovo, vengono stanziate somme di danaro pubblico per sovvenzionare studi per terapie che non hanno le dovute basi scientifiche, una sfrontatezza verso chi, magari non vende miracoli, ma applica il rigore scientifico e fatica a trovare finanziamenti per le proprie ricerche.
Monica Fabbri