In Italia quasi quattro giovani su dieci non hanno lavoro (dati OCSE). In Lombardia uno su dieci è nella stessa situazione. Oggi la disoccupazione giovanile è un dato allarmante. Ci sono molti modi per affrontare questo grave problema, VOX propone di partire da un primo semplice passo: concentrarsi sull’apprendistato e il tirocinio. Ne parla l’esperto di diritto internazionale Reas Syed.
Giovane senza lavoro o un lavoro senza tutele? Questa è l’ardua scelta cui vengono sottoposti quotidianamente i giovani (aspiranti) lavoratori italiani. Il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è del 37,8%, in Europa va peggio soltanto alla Grecia con un tasso del 58,4%, alla Spagna con il suo 57,2% e, seppur di poco, al Portogallo con il 38,2% (dati OCSE).
Le cause dell’attuale situazione sono molteplici, tra cui, certamente la crisi economico-finanziaria, ma anche le politiche fiscali restrittive nonché l’aumento delle tasse e dell’età pensionabile. Infatti, in particolare questi ultimi fattori hanno penalizzato maggiormente proprio i giovani. Da un lato diventa difficile per le imprese assumere nuove risorse, mentre quelle vecchie vengono licenziate o messe in cassa integrazione. Dall’altro lato, non si sente la necessità di assumere nuovi lavoratori se coloro che avevano già raggiunto l’età pensionabile continuano a rimanere nei rispettivi posti di lavoro. Ne consegue che in molti settori, il ricambio generazionale è sostanzialmente bloccato.
Purtroppo spesso non sono migliori anche le condizioni di quei giovani che riescono a trovare un lavoro: collaborazioni non retribuite e stage con il minimo di rimborso spese sono una realtà assai diffusa nel Belpaese.
La soluzione alla disoccupazione e allo sfruttamento giovanile consiste nella promozione congiunta, da un lato, di specifiche politiche di occupazione giovanile e dall’altro, di un insieme di norme che garantiscano una vita dignitosa ai giovani lavoratori.
Non possiamo infatti lamentarci dei giovani che non studiano e non lavorano (i cosiddetti NEET che è l’acronimo inglese di “Not in Education, Employment or Training” ) finché non saremo in grado di valorizzare quelli che lavorano, spesso mentre ancora continuano a studiare, e non hanno retribuzioni adeguate e nemmeno alcun tipo di tutela.
Cosa potrebbe mai spingere un giovane a studiare o a lavorare quando vede che i suoi coetanei che hanno studiato e lavorano sono nelle sue medesime condizioni?
Per quanto concerne l’aspetto delle tutele, la legge 92/2012, legge Fornero, aveva introdotto alcune modifiche in materia di stage e tirocini che però non avevano alcun valore vincolante. Infatti, nel dicembre del 2012, la Corte Costituzionale ha rammentato che la materia in questione è di competenza regionale e, conseguentemente, nel gennaio 2013, è intervenuta la Conferenza Stato-Regioni per approvare le linee guida per la gestione degli stage extracurriculari.
In attesa delle specifiche leggi regionali, che sono l’unico strumento che può rendere effettive tali tutele (leggi da emanarsi entro luglio 2013, ma, anche alla luce del fatto che non è possibile sanzionare in alcun modo il mancato recepimento delle linee guida, non è facile fare previsioni sulle tempistiche che adotteranno i singoli consigli regionali), va segnalato il rischio di ritrovarsi con una ventina di leggi regionali diverse, nei contenuti e nelle tutele che forniscono.
In particolare in Lombardia, dove il tasso di disoccupazione giovanile è di circa 10,4% (dati ISTAT), servirebbe un netto cambio di rotta rispetto al passato in materia di tutela degli stagisti e tirocinanti. Infatti, gli indirizzi prodotti e promossi nel settore dalla precedente giunta Formigoni (che in molti passaggi andavano in direzione opposta rispetto alle tutele introdotte dalle recenti linee guida) andrebbero completamente rivisti. Il Consiglio Regionale deve dunque legiferare presto in modo da garantire il massimo delle tutele ai giovani lombardi che lavorano o che presto inizieranno a lavorare.
L’effettività di queste tutele, se affiancata da adeguati incentivi per le imprese, potrebbe garantire maggiormente non soltanto chi in questo periodo versa in una situazione sostanziale precariato ma sarebbe anche un impulso positivo per quelle giovani risorse che potrebbero affacciarsi sul mercato del lavoro.
La valorizzazione del lavoro dei giovani necessita di una seria proposta che preveda, innanzitutto, una degna retribuzione minima per i stagisti (la Conferenza Stato-Regioni ha previsto un’indennità minima di euro 300 ma le regioni si sono impegnate a elevare tale minimo) per non dimenticarci della possibilità di esser effettivamente assunti a medio-lungo termine (attualmente solo uno stagista su dieci viene regolarmente assunto al termine del periodo di stage) .
Va inoltre segnalato che una legge regionale non basterebbe per tutelare tutti i giovani lavoratori. Infatti, le linee guida interessano soltanto gli stage “extracurriculari”, ovvero di color che lavorano fuori dai rispettivi percorsi formativi. Diverso è il discorso per gli stage e i tirocini “curricolari” (quelli inclusi nei piani di studio delle università e degli istituti scolastici) che rimangono in ogni caso fuori dall’ambito di applicazione di queste linee guida.
In realtà nulla impedirebbe al legislatore regionale di promuovere le medesime politiche di sostegno anche nei confronti dei giovani professionisti che vanno parimenti agevolati con un inserimento nel dignitoso mondo del lavoro. I giovani avvocati, psicologi, architetti ecc. meritano certamente di esser tutelati quanto i loro coetanei che lavorano presso le imprese.
Infine, non dimentichiamoci del fatto che se l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro la questione della disoccupazione giovanile rischia di minare proprio le fondamenta della nostra democrazia.
Reas Syed