La Giornata internazionale delle persone con disabilità. Un’occasione, per riflettere sull’attuale stato dei diritti dei disabili nel nostro Paese e in Europa. A che punto siamo in Italia? Perché le persone con disabilità, le loro famiglie, si sentono ancora escluse e discriminate? Per Vox, il commento di Isabella Menichini, dirigente pubblico esperto di politiche e diritti sociali.
Anche quest’anno nel nostro Paese, nei modi più diversi, è stata celebrata la Giornata internazionale delle persone con disabilità. È dal 2003 – Anno Europeo delle persone con disabilità – che nel mio lavoro mi trovo ad organizzare iniziative, convegni, conferenze internazionali per ricordare il 3 dicembre e le tante problematiche che riguardano la vita delle persone con disabilità. Sono ancora convinta che questo tipo di iniziative possano aiutare molto se utilizzate per diffondere cultura, conoscenza, per fermarsi un momento e confrontarsi su temi specifici. Possono non essere occasioni vuote come crede chi pensa che non cambiano la vita delle persone. Ma non è sempre così.
Nel 2003 la comunità internazionale prendeva l’importante decisione di mettersi al lavoro per elaborare una Convenzione internazionale – legally binding, vicolante giuridicamente – per confermare che le persone con disabilitá devono poter godere di tutti i diritti già sanciti nelle Carte internazionali sui diritti umani. Il diritto alla vita, a vivere liberamente potendo scegliere dove e con chi vivere. Il diritto ad accedere a tutto: ai beni, ai servizi, ma anche agli edifici – pubblici e privati – agli spazi urbani, e non solo. Ai teatri, ai cinema, ai musei. Il diritto ad una scuola inclusiva, ad accedere e rimanere nel mondo del lavoro. Il diritto allo sport e al tempo libero, ma anche ad essere protetto, a ricevere cure adeguate, il diritto a non essere maltrattato o sottoposto a trattamenti inumani, il diritto a partecipare alla vita della comunità senza alcuna discriminazione. E cosi via.
Un atto internazionale di straordinaria importanza. Elaborato in tre anni di intenso e partecipato lavoro. In Italia è legge dello Stato dal 2009. Non è vero che non sia servita a niente. Quando giri per l’Italia, com’è capitato a me, ti accorgi che si è diffusa una conoscenza capillare della Convenzione. A dieci anni di distanza ti capita di ascoltare, come è successo a Milano nelle Giornate della disabilitá nate dal basso per celebrare il 3 dicembre, educatori di centri diurni, o assessori citare articoli della Convenzione come fosse pane quotidiano. Non più quindi patrimonio di conoscenza di pochi esperti. O delle associazioni. Ma di tanti tanti operatori. Tanti genitori. Non è poco.
La Carta dei diritti delle persone con disabilitá è diventata patrimonio di chi a vario titolo si occupa di persone con disabilitá. Qualche anno fa non era cosi. Ed è sicuramente merito dei tanti 3 dicembre che abbiamo festeggiato. Ed oggi molto più di ieri le persone con disabilitá sanno cosa chiedere. E cosa pretendere. Le famiglie sono molto più consapevoli su cosa voglia dire costruire insieme alle istituzioni, alle cooperative, ai propri famigliari con disabilitá percorsi di vita autonoma. Nel 2003 in Italia non esisteva l’Osservatorio Nazionale sulla condizione di vita delle persone con Disabilitá. Oggi esiste. È già al suo secondo mandato. È diventato in pochi anni una straordinaria fucina di idee, proposte, grazie alle tante diverse competenze che ha saputo integrare. Ha presentato al Governo il Programma Biennale d’Azione approvato con Decreto del Presidente della Repubblica nell’ottobre 2013. 7 linee di intervento chiare, per conseguire quel cambio di paradigma chiaramente scritto nella Convenzione. Con l’indicazione di azioni concrete da attuare nei diversi ambiti che toccano la vita delle persone con disabilitá: istruzione, lavoro, accessibilità, salute, servizi. E su tutti l’obiettivo principale: riscrivere le norme sull’accertamento della disabilitá. Costruire un sistema di valutazione delle condizioni di disabilitá a partire dalla nuova Classificazione internazionale sul Funzionamento e la disabilitá (ICF), perché è questo il primo tassello indispensabile per costruire un vero progetto di vita specifico per ogni singola persona con disabilità.
Ma allora cosa manca? Perché le persone con disabilitá, le loro famiglie ancora si sentono tanto escluse? Discriminate? Non adeguatamente assistite o non supportate? Per capirlo basta leggere il resoconto del 3 dicembre 2014 celebrato a Palazzo Chigi e pubblicato da Redattore Sociale – nota agenzia stampa del sociale. Quel giorno, per la prima volta, il Coordinatore dell’Osservatorio nazionale ha parlato davanti al Presidente del Consiglio, ai Ministri e Sottosegretari. E non solo lui. Tanti componenti dell’Osservatorio sono intervenuti per presentare i contenuti del Programma biennale e sottolineare l’importanza di promuovere rapidamente i cambiamenti necessari.
Un’occasione d’oro per il Governo per prendere qualche impegno solenne: quello di attuare progressivamente gli indirizzi del Programma. Tanti possono essere realizzati a costo zero e prima fra tutte proprio la riforma delle procedure di accertamento. Ma dai racconti di chi era li arriva una storia poco gloriosa: ” in un clima forse troppo ingessato e grigio. Con poche decine di invitati e con poche persone disabili presenti, anche per le difficoltà strutturali di accesso alla Sala Verde, la disabilità è rimasta in buona parte fuori anche dal breve discorso a braccio del Presidente Renzi, che ha dedicato qualche parola ad Andrea, disabile, presente in sala. Per il resto, il discorso del premier si è riferito ad altro: al 5 per mille, al servizio civile, alla riforma del terzo settore, alla conferma (con piccoli aumenti) della dotazione di alcuni fondi sociali “che ora vanno spesi bene”: tutti temi collaterali, che poco hanno a che fare con la quotidianità della disabilità, a cui la politica avrebbe dovuto mostrare di rivolgersi”. E più avanti: “Anche l’intervento della ministra dell’Istruzione Giannini ha appena toccato i temi cruciali dell’integrazione scolastica, mentre si soffermava sul ruolo dei “bambini speciali e delle loro famiglie” e dei nodi critici che ancora la scuola si trova ad affrontare, come il superamento del concetto di “insegnante di sostegno come delegato all’esclusione”. L’unica che sembra essersi distinta, la ministra Lorenzin (di NCD), che ha richiamato alcune urgenze”cruciali per le persone con disabilità: “l’integrazione socio-sanitaria, l’aggiornamento dei Lea e del nomenclatore tariffario. La legislazione italiana è tra le più avanzate – ha detto – ma c’è un gap tra queste e la vita quotidiana delle famiglie, che dobbiamo presto colmare”.
Ecco cosa sembra mancare perché i temi della disabilitá facciano il salto di qualità necessario: che la politica nazionale riconosca questo come un tema prioritario nell’agenda pubblica; che venga rimossa ogni patina di pietismo ancora tanto diffuso e si consideri finalmente l’inclusione sociale come un tassello fondamentale dello sviluppo complessivo di un Paese democratico; che si lavori seriamente a quelle riforme che mancano. E non si lascino più da soli i territori soli nel promuovere azioni, progetti per migliorare servizi, innovare e costruire percorsi di vita, riuscendo ad aumentare le risorse finanziarie pur in periodo di tagli profondi dal centro alla periferia del Paese. Pur in assenza di leggi regionali adeguate. Nessun Comune può farcela da solo se il Governo non decide di promuovere e finanziare adeguatamente una politica nazionale integrata in favore delle persone con disabilità. Per ora i Comuni destinano 1,6 miliardi di € alla disabilità. il Fondo Nazionale per la Non Autosufficienza (quindi per anziani e disabili) ammonta complessivamente a 400milioni. Basta fare due conti per rendersi conto dello sforzo straordinario sostenuto dai territori senza quasi sostegno dal centro. Anche di questo si è parlato a livello locale il 3 dicembre 2014.