Lo scorso luglio è entrata in vigore la legge sulla “Buona Scuola”, che introduce una serie di novità nel sistema scolastico italiano. Tra tutte, un’attenzione specifica è quella rivolta ai circa 223 mila studenti disabili (in quelle paritarie sono 15 mila), perché, nonostante esista una normativa che esige la piena inclusione scolastica, si assiste oggi alla mancata attuazione di alcuni diritti volti a garantire l’istruzione anche alle persone con disabilità. Dall’insufficiente assistenza in classe alle barriere architettoniche, dalla presenza di insegnanti di sostegno poco formati al servizio di trasporto non sempre garantito, servono cambiamenti urgenti. Le novità però potrebbero arrivare presto, perché con la “Buona Scuola” il Governo dovrà adottare una serie di provvedimenti in materia. Ma quali sono i più importanti? Sara Carnovali, dottoranda di ricerca in Diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Milano, ha provato per VOX a fare chiarezza sulla questione.
La legge n. 107 del 2015 (c.d. Buona Scuola), delega il Governo, entro diciotto mesi, ad adottare uno o più decreti delegati che dovranno avere come obiettivi la «promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità» e il «riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione» (cfr. articolo 1, comma 181, lettera c). In particolare, il Governo è chiamato a intervenire nei seguenti ambiti:
1) La ridefinizione del ruolo del personale docente di sostegno al fine di favorire l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, anche attraverso l’istituzione di appositi percorsi di formazione universitaria.
La disposizione acquista maggiore significato alla luce del fatto che, a partire dal prossimo concorso pubblico, per ciascuna classe di concorso o tipologia di posto potranno accedere alle procedure concorsuali per titoli ed esami solo i candidati in possesso del relativo titolo di abilitazione all’insegnamento. Nel caso di posti di sostegno per la scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo e secondo grado, i candidati dovranno possedere il titolo di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità (cfr. articolo 1, comma 110 della legge in esame). Si ridisegna in questo modo la formazione dell’insegnante di sostegno, già dalle sue fasi iniziali, in un’ottica di effettiva garanzia del diritto allo studio della persona con disabilità.
Da quanto emerge dai tavoli di consultazione con le parti sociali, avviati presso il Ministero della Pubblica Istruzione, queste due disposizioni si prefiggono un duplice obiettivo: da una parte, la previsione di concorsi differenziati per accedere al ruolo per coloro che hanno una specializzazione sul sostegno, dall’altra – a differenza di quanto avviene oggi – una formazione professionale mirata per coloro che desiderano compiere la scelta di diventare insegnanti di sostegno, formazione che viene posta in essere ab origine, sin dagli studi universitari.
Questo punto ha acceso un intenso dibattito. Alcune associazioni di categoria ed esperti del settore si sono dimostrati critici, affermando che la separazione della formazione universitaria e delle carriere tra docenti curriculari e di sostegno incoraggerebbe il meccanismo di delega dai primi ai secondi, minacciando una reale integrazione. Secondo altra impostazione, al contrario, questo intervento di “specializzazione” costituirebbe lo strumento migliore per rafforzare le competenze di tutti i docenti, così come la relazione tra insegnante di sostegno e studente con disabilità.
D’altra parte, coloro che si stanno occupando della redazione del decreto delegato affermano come questa scelta sia volta a valorizzare la figura dell’insegnante di sostegno, al fine di rendere il diritto all’inclusione scolastica il più effettivo possibile, attraverso una migliore preparazione delle figure professionali di riferimento.
2) La revisione dei criteri di inserimento nei ruoli per il sostegno didattico, al fine di garantire la continuità del diritto allo studio degli alunni con disabilità, in modo da rendere possibile allo studente di fruire dello stesso insegnante di sostegno per l’intero ordine o grado di istruzione.
Qui l’obiettivo perseguito è quello di garantire allo studente con disabilità, in un’ottica di effettiva garanzia del suo diritto allo studio, una continuità della relazione con l’insegnante di sostegno. Questa disposizione si lega strettamente a quelle sopra esaminate, che mirano alla specializzazione professionale e alla creazione di classi di concorso differenziate per il sostegno.
La previsione nasce per evitare gli abusi che si sono verificati negli anni passati, per cui la specializzazione sul sostegno veniva da alcuni conseguita solo o soprattutto per “entrare in ruolo”, per poi passare subito dopo ad altre classi di insegnamento.
3) L’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni scolastiche, sanitarie e sociali, tenuto conto dei diversi livelli di competenza istituzionale.
A questo proposito, sarebbe davvero importante che si riuscissero finalmente a individuare le competenze che spettano ai differenti enti territoriali per quanto riguarda i servizi di supporto all’inclusione scolastica. Secondo quanto previsto dall’articolo 139 del decreto legislativo n. 112 del 1998, ai Comuni spettano le funzioni di trasporto e assistenza educativa per studenti della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, alle Province le stesse funzioni per la scuola secondaria di secondo grado e quelle rivolte all’assistenza alla comunicazione per studenti con disabilità sensoriale che frequentano ogni ordine e grado di scuola. Tuttavia, su questo riparto di competenze è intervenuta di recente la legge n. 56 del 2014, n. 56 (c.d. legge Delrio), che – nel ridefinire caratteristiche e funzioni dei diversi Enti locali – non ha chiarito come venga ridisegnata l’attribuzione di competenze nella gestione dei servizi di supporto organizzativo all’istruzione per gli alunni con disabilità prima spettanti alle Province. Il risultato di questa “dimenticanza” è stata la mancata attivazione – ancora oggi – di alcuni di questi servizi o il ritardo nella loro predisposizione o l’inadeguatezza a rispondere agli effettivi bisogni dei destinatari. La situazione varia molto da luogo a luogo, con l’ulteriore conseguenza che a situazione eguali le istituzioni rispondono in maniera differenziata, o addirittura non rispondono affatto, con pesanti ripercussioni in materia di eguaglianza e pari opportunità, in palese violazione del principio di cui all’articolo 3 della nostra Costituzione.
4) La previsione di indicatori per l’autovalutazione e la valutazione dell’inclusione scolastica.
Come sottolineato anche dalle associazioni di categoria, si tratta di una previsione importante, che mira a porre l’inclusione scolastica al centro della scuola, come uno degli aspetti fondamentali che fanno dell’istruzione un’istruzione di qualità. Questa disposizione è da leggere insieme al comma 129 dell’articolo 1 della legge, che prevede la presenza dei genitori nel Comitato di valutazione dei docenti, e al precedente comma 14, il quale stabilisce che il Piano triennale dell’offerta formativa sia redatto dal Collegio docenti tenendo conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori.
5) La revisione delle modalità e dei criteri relativi alla certificazione, che deve essere volta a individuare le abilità residue al fine di poterle sviluppare attraverso percorsi individuati di concerto con tutti gli specialisti di strutture pubbliche, private o convenzionate che seguono gli alunni riconosciuti disabili ai sensi degli articoli 3 e 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e della legge 8 ottobre 2010, n. 170, che partecipano ai gruppi di lavoro per l’integrazione e l’inclusione o agli incontri informali.
La disposizione è auspicabilmente da intendere nel senso di una sempre minore medicalizzazione della disabilità e di un incremento dell’attenzione rivolta allo sviluppo delle abilità residue della persona, in una prospettiva non meramente assistenziale, bensì inclusiva, corrispondente al modello bio-psico-sociale, recepito nel 2006 dalla Convenzione delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità. Questo modello definisce la “disabilità” come la conseguenza o il risultato di una complessa interazione tra la condizione di salute dell’individuo e i fattori contestuali: la persona non viene considerata soltanto nella sua individualità, ma anche e soprattutto in relazione all’ambiente circostante, fisico e sociale.
6) La revisione e la razionalizzazione degli organismi operanti a livello territoriale per il supporto all’inclusione.
Vedi quanto affermato al punto 3.
7) La previsione dell’obbligo di formazione iniziale e in servizio per i dirigenti scolastici e per i docenti sugli aspetti pedagogico-didattici e organizzativi dell’integrazione scolastica.
Questa previsione esprime la concezione per cui la garanzia del diritto allo studio dello studente con disabilità non può essere delegata al solo insegnante di sostegno, ma deve coinvolgere prima di tutto il dirigente scolastico e poi l’intero corpo docenti, anche ai fini di una maggiore interazione tra studente con disabilità e resto della classe. A questo proposito, acquista particolare rilievo quanto già previsto nelle Linee guida del MIUR del 4 agosto 2009, laddove si afferma che «è l’intera comunità scolastica che deve essere coinvolta nel processo in questione e non solo una figura professionale specifica a cui demandare in modo esclusivo il compito dell’integrazione».
8) La previsione dell’obbligo di formazione in servizio per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, rispetto alle specifiche competenze, sull’assistenza di base e sugli aspetti organizzativi ed educativo-relazionali relativi al processo di integrazione scolastica.
La previsione – in linea con la ratio posta alla base della disposizione precedente – si basa sulla convinzione che il processo di inclusione scolastica, per essere effettivo, deve coinvolgere tutto il personale dell’istituzione scolastica, senza eccezioni.
9) La previsione della garanzia dell’istruzione domiciliare per gli alunni che si trovano nelle condizioni di cui all’articolo 12, comma 9, della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
La legge n. 104 sancisce che i minori con disabilità soggetti all’obbligo scolastico ma temporaneamente impediti per motivi di salute a frequentare la scuola hanno diritto all’educazione e all’istruzione scolastica: «a tal fine il provveditore agli studi, d’intesa con le unità sanitarie locali e i centri di recupero e di riabilitazione, pubblici e privati, convenzionati con i Ministeri della sanità e del lavoro e della previdenza sociale, provvede alla istituzione, per i minori ricoverati, di classi ordinarie quali sezioni staccate della scuola statale». Questo diritto attualmente è ben lontano dall’essere garantito, quantomeno senza ritardi e in modo efficace. Si spera che la situazione possa presto venire a modificarsi.
Infine, un ultimo punto. Consideriamo queste due ulteriori previsioni contenute nella legge n. 107 del 2015:
- La possibilità di istituire posti di sostegno in deroga nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente (cfr. articolo 1, comma 14, che va ad incidere sull’articolo 3 del regolamento di cui al D.P.R. n. 275 del 1999, così come il comma 75, che richiama l’attuale normativa in materia);
- La possibilità di assicurare agli studenti con disabilità l’insegnamento delle materie scolastiche anche attraverso il riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Con riferimento ai limiti delle risorse disponibili, citati da entrambe le disposizioni della legge in esame, sarà opportuno che il legislatore delegato tenga a mente quanto sancito dalla Corte costituzionale attraverso la sentenza n. 80 del 2010, in cui si afferma che, pur godendo il legislatore di discrezionalità nella individuazione delle misure necessarie a tutela dei diritti delle persone con disabilità, «detto potere discrezionale non ha carattere assoluto e trova un limite nel rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati», coincidente con le prestazioni indispensabili affinché il diritto all’inclusione scolastica sia reso effettivo e non rimanga invece una formula vuota sulla carta.