DISEGNO DI LEGGE
di iniziativa popolare, a norma dell’art. 71, secondo comma, della Costituzione e degli articoli 48 e 49 della legge 25 maggio 1970, n. 352
Disposizioni in materia di trascrizione degli atti di matrimonio e delle unioni civili tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero.
Art. 1
Il matrimonio tra persone dello stesso sesso e le unioni civili diverse da quella coniugale tra persone dello stesso sesso contratti all’estero non sono contrari all’ordine pubblico, ai sensi dell’art. 65 della legge 31 maggio 1995, n. 218.
È fatto obbligo per l’Ufficiale di stato civile trascrivere il matrimonio ovvero l’unione civile tra persone dello stesso sesso celebrati dall’autorità straniera, che siano validi secondo la legge del luogo di celebrazione.
In alternativa
Modifiche all’art. 63, secondo comma, lett. c) del decreto del Presidente della Repubblica del 3 novembre 2000, n. 396
Art. 1
La lett. c) di cui al secondo comma dell’art. 63 del decreto del Presidente della Repubblica del 3 novembre 2000, n. 396 è così modificata:
“c) gli atti dei matrimoni celebrati all’estero e delle unioni civili, anche tra persone dello stesso sesso”.
Art. 2
Il matrimonio tra persone dello stesso sesso e le unioni civili diverse da quella coniugale tra persone dello stesso sesso contratti all’estero non sono contrari all’ordine pubblico, ai sensi dell’art. 18 del decreto del Presidente della Repubblica del 3 novembre 2000, n. 396.
Relazione
La presente proposta di legge riguarda la possibilità di trascrivere il matrimonio o qualsiasi altra forma di unione contratti all’estero da coppie omosessuali.
È nota a tutti la rilevanza sociale delle unioni tra persone dello stesso sesso e dalla carenza assoluta di qualsiasi forma di riconoscimento.
In Italia si registra ormai da tempo l’assenza di un intervento legislativo finalizzato ad introdurre una disciplina specifica delle unioni tra persone dello stesso sesso.
Più in particolare, il vuoto normativo non è stato colmato né attraverso un’estensione del diritto al matrimonio, riconosciuto ai sensi dell’art. 29 Cost., anche a due persone dello stesso sesso, né dotandosi di soluzioni normative che, per il tramite di istituti analoghi alle unioni registrate estere (c.d. Civil Partnership), avrebbero svolto un ruolo centrale nel riconoscimento dello status di coppia anche alle unioni omosessuali.
In assenza di una legge che estenda l’istituto del matrimonio a persone dello stesso sesso o che comunque regoli l’unione con una disciplina differente, occorre intervenire su singoli settori dell’ordinamento, dando attuazione al monito contenuto nella sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale che impone al legislatore di provvedere a norma l’unione omosessuale.
In quella sentenza, la Corte costituzionale ha riconosciuto che tra le formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost. deve essere annoverata anche l’unione omosessuale «intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia».
Nella sua decisione, la Corte costituzionale ha ritenuto che la scelta di porre una disciplina generale, astrattamente realizzabile non soltanto attraverso un’estensione del diritto al matrimonio, ma anche in modi diversi, rientri nella sfera di discrezionalità che spetta al Parlamento, cui, il Giudice costituzionale rivolge un monito.
Più in particolare, la Corte costituzionale ha stabilito che spetta al Parlamento «nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni [potendo] accadere, infatti, che, in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza».
Una altra importante decisione, a cui può farsi riferimento in questa sede, è rappresentata dalla sentenza resa dalla Corte di Cassazione (n. 4184 del 15 marzo 2012), chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato da una coppia di cittadini italiani dello stesso sesso che intendevano ottenere la trascrizione in Italia del loro matrimonio celebrato nei Paesi Bassi.
Nella sua decisione, la Corte di Cassazione, richiamando ampiamente le decisioni dalla Corte costituzionale (sent. 138/2010) e della Corte europea dei diritti dell’uomo sul caso Schalk & Kopf c. Austria, ha affermato che i componenti della coppia omosessuale, nonostante non possano far valere il diritto a contrarre matrimonio in Italia e quello alla trascrizione del matrimonio concluso all’estero, sono titolari del diritto alla vita familiare e del diritto inviolabile di vivere liberamente la loro condizione di coppia.
Inoltre, la Corte di Cassazione ha riconosciuto alle unioni omosessuali stabilmente conviventi il diritto a beneficiare di un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata, attraverso una tutela giurisdizionale per specifiche situazioni. Si tratta, quindi, di un’affermazione molto importante per quanto attiene alla tutela del principio di non discriminazione fra coppie eterosessuali ed omosessuali.
Infine, è importante richiamare la decisione del Tribunale di Reggio Emilia con cui è stato accolto il ricorso di un cittadino extracomunitario, sposato in Spagna con un cittadino italiano, a cui era stato negato il rilascio del permesso di soggiorno.
Il Tribunale di Reggio Emilia ha riconosciuto l’applicabilità della direttiva europea 2004/38 CE anche alle coppie sposate dello stesso sesso e ha affermato che, «una volta che sia stata accertata che si sia formata un’unione matrimoniale in un Paese dell’Unione, la libera circolazione del cittadino e del suo familiare deve essere garantita a prescindere dalla legge nazionale dei coniugi».
Non va disconosciuta l’attenzione rivolta al tema della tutela della coppia omosessuale da parte di alcune amministrazioni comunali.
Tra queste si deve segnalare l’esperienza del Comune di Milano che, dopo aver istituito un registro delle unioni civili, aperto anche alle coppie omosessuali, ha disposto la trascrizione di una Civil Partnership contratta all’estero tra due cittadini italiani omosessuali.
Quanto al registro delle unioni civili, esso rappresenta la prima forma di riconoscimento delle unioni fondate su un vincolo affettivo, con cui il Comune di Milano ha scelto di dare seguito alle importanti affermazioni della Corte costituzionale, che ha riconosciuto alle unioni omosessuali il diritto fondamentale a vivere liberamente una condizione di coppia.
Più in particolare, il registro mira a conferire una formale attestazione di “unione anagrafica basata su vincolo affettivo” a coloro che, coabitando nello stesso Comune, ne facciano richiesta.
Inoltre, l’iscrizione nel registro costituisce il presupposto essenziale affinché il Comune di Milano possa predisporre azioni a sostegno di queste formazioni sociali, nel rispetto delle proprie competenze.
Da ultimo, occorre anche considerare il contesto normativo internazionale che, ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost., vincola il legislatore italiano.
L’assenza di una forma di riconoscimento delle unioni omosessuali viola l’art. 14, in combinato disposto con gli artt. 8 e 12, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Le coppie omosessuali sono in Italia vittime di una discriminazione in ragione del loro orientamento sessuale, nel godimento dei loro diritti al matrimonio e al rispetto della vita privata e familiare, sotto due profili distinti: rifiuto della trascrizione dell’atto di matrimonio concluso all’estero e impossibilità di ottenere un riconoscimento giuridico del matrimonio e dell’unione familiare.
Considerato questo contesto, non è più immaginabile che alla trascrizione del matrimonio ovvero dell’unione tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero possa ostare il limite dell’ordine pubblico di cui agli artt. 65 l. 31 maggio 1995, n. 218 e 18 decreto del Presidente della Repubblica del 3 novembre 2000, n. 396, che si può dire ormai scardinato.
L’obbligo per l’Ufficiale di Stato civile di trascrivere questi atti si spiega allora come primo passo verso il riconoscimento dell’unione omosessuale e dei diritti e dei doveri dipendenti da tale riconoscimento, a fronte dell’inerzia dimostrata sino a d’ora dal legislatore.