Secondo gli ultimi dati Istat sull’occupazione femminile in Italia, nell’ultimo trimestre del 2013 il numero delle donne disoccupate è cresciuto dall’11,4% al 12,8%, mentre il tasso di inattività femminile, tra i più bassi dell’Unione Europea, ha raggiunto il 48,5 %. L’ex Ministro del Lavoro Enrico Giovannini aveva disposto l’istituzione di una Commissione di esperti per individuare, entro il prossimo maggio, interventi normativi utili a favorire l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro. Che cosa accadrà con il nuovo governo Renzi?Proviamo a fare un punto.
Sul finire dello scorso mese di gennaio, l’ormai ex Ministro del Lavoro Giovannini ha disposto l’istituzione di una Commissione di esperti che – avvalendosi della collaborazione del Dipartimento Pari Opportunità, del Dipartimento della Famiglia e della Rete delle Consigliere di Parità, nonché di rappresentanti di amministrazioni pubbliche e del mondo scientifico e accademico, oltre che del dialogo con le parti sociali e con i soggetti che hanno sviluppato esperienze di eccellenza – avrebbe dovuto individuare, entro il mese di maggio 2014, interventi normativi utili a favorire l’ingresso e la permanenza delle donne nel mercato del lavoro.
Peraltro, della Commissione di cui sopra, lo stesso ex Ministro aveva già parlato il 18 dicembre 2013 quando, nel corso di una conferenza stampa dedicata proprio al tema “Donne e lavoro: le misure a favore dell’occupazione femminile”, si era preoccupato di ribadire come le pari opportunità nel mercato del lavoro debbano essere considerate una criticità da affrontare in via prioritaria. Anche in tale occasione, infatti, Giovannini aveva tenuto a sottolineare come, nonostante i migliori risultati scolastici ed universitari, nel nostro Paese le donne continuino a scontrarsi con barriere all’ingresso, differenze salariali, oltre che con la difficoltà a rimanere nel mercato del lavoro, specie ove nella cerchia famigliare emergano esigenze di cura.
Proprio in tale ottica, già nella succitata conferenza stampa, l’ex Ministro aveva evidenziato come la conciliazione fra i tempi di lavoro e di cura sia uno dei principali obiettivi da conseguire per consentire al potenziale femminile di esprimersi pienamente nel mondo del lavoro e migliorare la produttività delle aziende pubbliche e private.
Come sottolineato ripetutamente in sede europea, infatti, la crescita dell’occupazione femminile, agendo come moltiplicatore sui Pil nazionali, è uno dei principali motori di crescita dei Paesi, tanto che nell’ambito della strategia europea per l’occupazione, la Commissione, ancora con comunicazione del 3 marzo 2010, individuava nel raggiungimento entro il 2020 di un tasso occupazionale pari al 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni (dunque maschile e femminile) uno dei presupposti per una “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”.
Tale percentuale è però assai distante rispetto ai dati nazionali sull’occupazione, specie femminile. Tradizionalmente, infatti, il mercato del lavoro italiano vede le donne italiane spinte ai margini, e ciò tanto più in situazioni di crisi quali la presente: così, se i dati Istat dicono che nell’ultimo trimestre del 2013 il numero delle donne disoccupate è cresciuto dall’11,4% al 12,8% (a fronte di un incremento della disoccupazione maschile dal 9,8% all’11,5%), sono però i dati inerenti i tassi dei soggetti inattivi a risultare dirimenti. Sempre secondo l’Istat, infatti, il tasso di inattività maschile era nel 2011 pari al 26,9%, mentre il tasso di inattività femminile raggiungeva addirittura il 48,5 %. Del resto, sempre nel 2011, il tasso di occupazione femminile italiano era pari al 40,7%, valore questo ben distante dalla media Ue (pari al 58,5%) e migliore solo dei tassi registrati da Grecia e Malta. E ciò con l’ulteriore precisazione che il dato italiano nasconde una realtà ben più complessa sia sul piano geografico (riscontrandosi nel Meridione italiano tassi di disoccupazione e inattività femminili assai più elevati), che sul piano degli impieghi svolti: le donne, massimamente occupate nel terziario, operano infatti in molti casi con contratti di lavoro involontariamente a tempo parziale.
Se certo è vero che nelle percentuali di inattività e disoccupazione si annidano tanto una quota di lavoro nero, quanto una quota di lavoro di cura erogato gratuitamente all’interno della cerchia famigliare, è però altrettanto vero che ai fini statistici, economici e giuridici la percentuale non cambia. Ed è parimenti indiscutibile che l’assenza nel mercato del lavoro “visibile” di una donna su due determina per il sistema Paese una perdita netta.
Del resto, proprio la perdurante criticità della situazione femminile nel mercato del lavoro ha sollecitato il legislatore della Legge 92/2012 (c.d. Riforma Fornero) ad intervenire con nuove azioni di promozione dell’occupazione femminile. Interventi, questi, dipanatisi secondo due linee complementari: accanto all’introduzione di specifici incentivi per l’assunzione di donne, infatti, il legislatore del 2012 ha (seppur timidamente) disposto l’istituzione di istituti – quali il congedo obbligatorio di paternità – che dovrebbero avviare un mutamento di mentalità, consentendo nel lungo periodo il riequilibrio nella distribuzione dei compiti di cura.
Ed è in tale solco che si dovrebbe quindi inserire l’istituzione della Commissione di cui si è detto: a quest’ultima, infatti, si è affidato anche lo specifico compito di formulare proposte idonee a consentire una migliore conciliazione dei tempi di vita e lavoro.
Nella specie, la Commissione è stata incaricata di individuare le buone prassi instaurate con riferimento all’organizzazione e flessibilità degli orari di lavoro, alla flessibilità nelle scelte, al welfare aziendale e alla contrattazione di secondo livello e di studiarne la trasferibilità ed applicabilità generalizzata; nonché di elaborare linee guida per lo sviluppo della rete dei servizi, rendendoli più vicini alle esigenze di conciliazione. Insomma la Commissione dovrebbe sviluppare anche l’idea (già insita in nuce nella Riforma Fornero) per cui le responsabilità genitoriali e i compiti di cura non sono appannaggio esclusivamente femminile, interessando piuttosto l’intera società. Un approccio, questo, realmente innovativo che potrebbe condurre non solo ad un reale incremento dell’occupazione femminile, ma anche all’avvio di una vera e propria rivoluzione culturale. Un approccio – si badi bene – condiviso anche in sede europea: solo la presente situazione di crisi ha, infatti, indotto (peraltro discutibilmente, agendo proprio la crisi come fattore di espulsione delle donne dal mercato del lavoro) lo slittamento al 2015 dell’anno europeo della conciliazione.
Si tratta ora di comprendere se, come auspicabile, anche a seguito dell’insediamento del Governo Renzi e l’attribuzione a Giuliano Poletti del Ministero del lavoro, la Commissione verrà effettivamente istituita e, in ogni caso, se il conseguimento di una più equa ripartizione dei compiti di cura continuerà ad essere considerato uno degli strumenti con cui realizzare l’incremento dell’occupazione femminile.