Ecco il parere di Marilisa D’Amico, avvocato costituzionalista, co fondatrice di Vox, e legale della coppia dai cui ricorsi è scaturita la sentenza della Consulta.
“Un giudice costituzionale coraggioso, che a differenza della politica afferma pienamente i diritti costituzionali e garantisce i diritti dei cittadini. Questa sentenza è chiara nell’esprimere come, dal pubblicazione della decisione, la fecondazione eterologa si potrà fare in Italia essendoci già tutte le norme necessarie. Chiediamo alle istituzioni di intervenire per far sì che fecondazione eterologa possa essere fatta nei centri pubblici, per evitare che si determini una discriminazione economica all’interno fra coppie abbienti e meno abbienti”.
La pronuncia della Corte costituzionale, n. 162 del 2014 in tema di fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo
Una sintesi per punti
La questione di legittimità costituzionale sollevata:
Con la pronuncia n. 162 del 2014, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del divieto assoluto di fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo, previsto a norma dell’art. 4, comma 3, l. n. 40 del 2004, Norme in materia di procreazione medicalmente assistita, e delle ulteriori disposizioni della normativa ad esso collegate (art. 9, commi 1 e 3, art. 12, comma 1, l. n. 40 del 2004) per contrasto con gli artt. 2, 3, 31 e 32 della Costituzione.
Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, l. n. 40 del 2004, sono state sollevate con tre distinte ordinanze di rimessione da parte dei Tribunali di Milano, Firenze e Catania, in relazione agli artt.: 3 Cost., 2, 31 e 32 Cost. (le ordinanze di rimessione dei Tribunali di Milano e di Catania), artt. 29 e 117, comma primo, Cost. (l’ordinanza di rimessione del Tribunale di Milano), con riferimento agli artt. 8 (Diritto alla vita privata e familiare) e 14 (Divieto di discriminazione) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).
Le tre questioni di legittimità costituzionale costituiscono una nuova proposizione della medesima questione di legittimità costituzionale su cui la Corte costituzionale si era pronunciata con ordinanza, n. 150 del 2012, disponendo la restituzione degli atti ai giudici remittenti, affinché procedessero ad una nuova valutazione della questione di legittimità costituzionale sollevata, alla luce del mutato orientamento giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo (caso, S.H. e altri c. Austria), che, in data 3 novembre 2011, aveva superato il proprio precedente reso il primo aprile 2010.
Il contenuto della decisione del Giudice costituzionale:
La pronuncia della Corte costituzionale, dichiarativa dell’incostituzionalità del divieto assoluto di fecondazione eterologa, come disciplinato ai sensi della legge n. 40 del 2004, può essere analizzata prendendo le mosse da alcuni profili, che emergono ad una prima lettura della decisione. In primo luogo, occorre sottolineare l’impostazione laica accolta dal Giudice costituzionale, che si pone perfettamente in linea con quanto già affermato in occasione della pronuncia n. 151 del 2009, in cui venne dichiarata la non conformità a Costituzione del limite rigido dei tre embrioni destinati all’impianto nell’ambito delle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo omologo.
In quella pronuncia, la Corte costituzionale riportava a ragionevolezza la disciplina e contribuiva a fare emergere un principio costituzionale “nuovo”, le giuste esigenze della procreazione, da bilanciare con il diritto alla vita dell’embrione, destinatario fino a quel momento di una tutela assoluta a discapito dei diritti – di pari rilevanza costituzionale – facenti capo agli altri soggetti coinvolti.
La sentenza n. 162 del 2014 si muove nel solco di quella prima importante decisione sulla legge n. 40 del 2004, come emerge dal passaggio della motivazione in cui la Corte costituzionale afferma che: “la procreazione medicalmente assistita coinvolge «plurime esigenze costituzionali» (sentenza n. 347 del 1998) e, conseguentemente, la legge n. 40 del 2004 incide su una molteplicità di interessi di tale rango. Questi, nel loro complesso, richiedono ‘un bilanciamento tra di essi che assicuri un livello minimo di tutela legislativa’ ad ognuno (sentenza n. 45 del 2005), avendo, infatti, questa Corte già affermato che la stessa ‘tutela dell’embrione non è comunque assoluta, ma limitata dalla necessità di individuare un giusto bilanciamento con la tutela delle esigenze di procreazione’ (sentenza n. 151 del 2009)”. Nello stesso senso, il Giudice costituzionale appunta l’attenzione sulle prerogative dell’organo di giustizia costituzionale, cui spetta svolgere il proprio sindacato in relazione a scelte legislative che si appalesino irragionevoli, ferma restando la primaria valutazione del legislatore nell’individuazione di “un ragionevole punto di equilibrio delle contrapposte esigenze, nel rispetto della dignità della persona umana”.
Un secondo aspetto attiene alle riflessioni svolte dalla Corte costituzionale con riferimento alla regolamentazione della procreazione medicalmente assistita in Italia prima dell’entrata in vigore della legge n. 40 del 2004. Si tratta di una ricostruzione precisa, quella offerta dalla Corte costituzionale, che palesa come il divieto assoluto di fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo non costituisse affatto, al momento della sua approvazione in sede parlamentare, il frutto “di una scelta consolidata nel tempo”, in quanto introdotto, per la prima volta, proprio dalla legge n. 40 del 2004. In questo senso, – precisa il Giudice costituzionale – “[a]nteriormente, l’applicazione delle tecniche di fecondazione eterologa era, infatti, ‘lecita […] ed ammessa senza limiti né soggettivi né oggettivi’ e, nell’anno 1997, era praticata da 75 centri privati (Relazione della XII Commissione permanente della Camera dei deputati presentata il 14 luglio 1998 sulle proposte di legge n. 414, n. 616 e n. 816, presentate nel corso della XII legislatura). Tali centri operavano nel quadro delle circolari del Ministro della sanità del 1° marzo 1985 (Limiti e condizioni di legittimità dei servizi per l’inseminazione artificiale nell’ambito del Servizio sanitario nazionale), del 27 aprile 1987 (Misure di prevenzione della trasmissione del virus HIV e di altri agenti patogeni attraverso il seme umano impiegato per fecondazione artificiale) e del 10 aprile 1992 (Misure di prevenzione della trasmissione dell’HIV e di altri agenti patogeni nella donazione di liquido seminale impiegato per fecondazione assistita umana e nella donazione d’organo, di tessuto e di midollo osseo), nonché dell’ordinanza dello stesso Ministero del 5 marzo 1997, recante ‘Divieto di commercializzazione e di pubblicità di gameti ed embrioni umani’”.
Interessante pare, invero, la conclusione di questo sintetico excursus, in cui la Corte costituzionale, a dimostrazione della rilevanza assunta dal sistema di relazioni internazionali, si preoccupa di sottolineare come un tale divieto non si ponga nemmeno in conflitto con alcun documento di rilevanza internazionale. Così, il divieto di fecondazione c.d. eterologa non viola i principi sanciti dalla Convenzione di Oviedo, né quelli introdotti dal suo Protocollo addizionale in tema di divieto di clonazione di esseri umani.Venendo ai profili di illegittimità costituzionale del divieto assoluto di fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo, la Corte costituzionale ne sancisce, innanzitutto, l’incompatibilità con la scelta della coppia, destinataria della legge n. 40 del 2004 ma gravemente sterile o infertile, di diventare genitori e di formare una famiglia, in violazione degli articoli 2, 3 e 31 della Costituzione. “La determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, – afferma la Corte – concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali, e ciò anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere a questo scopo alla tecnica di PMA di tipo eterologo, perché anch’essa attiene a questa sfera”.
Assicurare le giuste esigenze della procreazione significa, allora, bilanciare il diritto della coppia, assolutamente sterile o infertile, di scegliere liberamente se avere dei figli e se avvalersi, a tali fini, delle tecniche di tipo eterologo, con gli ulteriori valori e interessi costituzionali in gioco. Il divieto assoluto di fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo, viceversa, frustra irrimediabilmente la libertà della coppia di scegliere se diventare genitori; una libertà che la Corte costituzionale ha ribadito ricevere copertura costituzionale.
Il divieto assoluto di fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo si traduce, inoltre, in una lesione del diritto fondamentale alla salute, art. 32 Cost., da intendere, così come recepito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, comprensivo tanto della salute fisica, quanto di quella psichica. Accogliendo una simile accezione di salute, non assumono alcun rilievo le differenze intercorrenti tra tecniche di fecondazione medicalmente assistita, di tipo omologo, da un lato, di tipo eterologo, dall’altro, in quanto è l’impossibilità procreativa stessa a riverberarsi negativamente sulla salute della coppia.
Sempre in relazione al diritto alla salute ed in linea con la sua giurisprudenza pregressa in materia, la Corte costituzionale ribadisce il principio secondo il quale la discrezionalità legislativa, qualora intervenga sul merito di scelte terapeutiche, non è assoluta, ossia “non può nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica del legislatore, ma deve tenere conto anche degli indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi a ciò deputati”. In tale ambito, pertanto, “la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali […]. Non si tratta di soggettivizzare la nozione di salute, né di assecondare il desiderio di autocompiacimento dei componenti di una coppia, piegando la tecnica a fini consumistici, bensì di tenere conto che la nozione di patologia, anche psichica, la sua incidenza sul diritto alla salute e l’esistenza di pratiche terapeutiche idonee a tutelarlo vanno accertate alla luce delle valutazioni riservate alla scienza medica, ferma la necessità di verificare che la relativa scelta non si ponga in contrasto con interessi di pari rango”.
Altro profilo centrale della decisione attiene alle riflessioni dedicate dal Giudice costituzionale al tema del presunto vuoto normativo, che, ad avviso della difesa, si sarebbe prodotto quale conseguenza della declaratoria di incostituzionalità del divieto assoluto di fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo. Sul punto, la presa di posizione della Corte costituzionale è chiarissima. La cancellazione del divieto assoluto di fecondazione c.d. “eterologa” non produce alcun vuoto normativo, in quanto sono “identificabili più norme che già disciplinano molti dei profili di più pregnante rilievo”. Tra queste, possono qui richiamarsi: la norma che disciplina i requisiti soggettivi di accesso alle tecniche di procreazione artificiale (art. 5), la disposizione in tema di consenso informato (art. 6), le norma che dettano la regolamentazione dello status giuridico del nato da fecondazione di tipo eterologo (artt. 8 e 9), la regola dell’anonimato del donatore.
In definitiva, “le norme di divieto e sanzione non censurate (le quali conservano validità ed efficacia), preordinate a garantire l’osservanza delle disposizioni in materia di requisiti soggettivi, modalità di espressione del consenso e documentazione medica necessaria ai fini della diagnosi della patologia e della praticabilità della tecnica, nonché a garantire il rispetto delle prescrizioni concernenti le modalità di svolgimento della PMA ed a vietare la commercializzazione di gameti ed embrioni e la surrogazione di maternità (art. 12, commi da 2 a 10, della legge n. 40 del 2004) sono applicabili direttamente (e non in via d’interpretazione estensiva) a quella di tipo eterologo, così come lo sono le ulteriori norme, nelle parti non incise da pronunce di questa Corte”.
Ma vi è di più. La Corte costituzionale prosegue, precisando come, anche con riferimento ad alcuni aspetti peculiari e propri delle sole tecniche c.d. eterologhe, la regolamentazione applicabile esiste già ed è desumibile dalla normativa vigente in tema di donazione di tessuti e cellule staminali, “in quanto espressiva di principi generali pur nelle diversità delle fattispecie (in ordine, esemplificativamente, alla gratuità e volontarietà della donazione, alle modalità del consenso, all’anonimato del donatore, alle esigenze di tutela sotto il profilo sanitario […]”. Analogamente, vale per quanto attiene alla controversa questione del numero di donazioni.
La Corte costituzionale accerta, poi, la violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’irragionevolezza del divieto, precisando che “alla luce del dichiarato scopo della legge n. 40 del 2004 ‘di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana’ (art. 1, comma 1), la preclusione assoluta di accesso alla PMA di tipo eterologo introduce un evidente elemento di irrazionalità, poiché la negazione assoluta del diritto a realizzare la genitorialità, alla formazione della famiglia con figli, con incidenza sul diritto alla salute”.
Un ultimo profilo attiene, infine, alla c.d. discriminazione, lesiva dell’art. 3 Cost., fondata sulle capacità o possibilità economiche delle coppie. La Corte costituzionale richiama il fenomeno, tristemente noto come “turismo” o “esilio” procreativo, che ha visto, negli anni di vigenza del divieto assoluto di fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo, innumerevoli coppie italiane recarsi all’estero allo scopo di sottoporsi ai trattamenti di procreazione artificiale vietati in Italia.
Da questo punto di vista, il Giudice costituzionale ravvisa un ulteriore elemento di irrazionalità della disciplina nella scelta del legislatore del 2004 di dettare una regolamentazione puntuale degli effetti conseguenti alla procreazione artificiale di tipo eterologo praticata all’estero. “Questa – rileva il Giudice costituzionale – realizza, infatti, un ingiustificato, diverso trattamento delle coppie affette dalla più grave patologia, in base alla capacità economica delle stesse, che assurge intollerabilmente a requisito dell’esercizio di un diritto fondamentale, negato solo a quelle prive delle risorse finanziarie necessarie per potere fare ricorso a tale tecnica recandosi in altri Paesi. Ed è questo non un mero inconveniente di fatto, bensì il diretto effetto delle disposizioni in esame, conseguente ad un bilanciamento degli interessi manifestamente irragionevole”.
Il divieto assoluto di fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo manca, quindi, di un adeguato fondamento costituzionale e va annullato, in quanto lesivo “della libertà fondamentale della coppia destinataria della legge n. 40 del 2004 di formare una famiglia con dei figli, senza che la sua assolutezza sia giustificata dalle esigenze di tutela del nato, le quali, […] in ordine ad alcuni dei più importanti profili della situazione giuridica dello stesso, già desumibile dalle norme vigenti, devono ritenersi congruamente garantite”.