Con queste parole Valeria Solesin, unica vittima italiana degli attentati dei giorni scorsi a Parigi, firmava questo articolo. L’aveva scritto due anni fa ed è stato pubblicato nell’ottobre 2013 dal sito Neodemos con il titolo “Allez les filles, au travail!”. Si tratta di uno studio sulle politiche sociali che parla di disoccupazione femminile e di lavoro. Vogliamo ricordarla così, per raccontare il suo impegno e onorarne la memoria.
In Europa, l’attività femminile è stata promossa fin dagli anni ’90 attraverso la Strategia Europea per l’occupazione (SEO). Obiettivo delle Istituzioni Comunitarie è favorire l’occupazione femminile in tutte le fasi del ciclo di vita, ed in particolare nei momenti considerati “rischiosi”, che coincidono con l’arrivo dei figli. Benché la partecipazione delle donne al mercato del lavoro sia fortemente aumentata nell’Unione Europea, importanti differenze tra paesi continuano a persistere. Gli Stati dell’Europa del Nord sono caratterizzati infatti da alti tassi di occupazione femminile e da una fecondità che si mantiene elevata. Al contrario, negli Stati dell’Europa del Sud, bassi tassi di attività professionale femminile, si coniugano a bassi livelli di fecondità (OCDE, 2011).
Una tale opposizione si riscontra ugualmente tra Francia e Italia. Nel 2011, il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni è infatti del 65% in Francia, contro 50% in Italia. Sempre nel 2011, l’indicatore congiunturale di fecondità è di 2 figli per donna in Francia, mentre in Italia è di appena 1,4 (ISTAT, 2012).
Eppure questi due paesi sono relativamente simili in termini demografici: entrambi con una popolazione di circa 60 milioni di abitanti (considerando la sola Francia Metropolitana), e con una speranza di vita alla nascita comparabile. Condividono inoltre aspetti culturali, quali la religione cattolica, e geografici, essendo uniti da 515 km di frontiera. Anche l’organizzazione del mercato del lavoro sembra rispondere a una logica simile: relativamente rigido in entrambi i paesi, tuttavia in Italia protegge maggiormente i lavoratori che appartengono alle categorie “tipiche” (come l’industria).
Alla luce di tali informazioni sembra logico domandarsi come mai due paesi vicini possano distinguersi così profondamente in termini di fecondità e di partecipazione femminile al mercato del lavoro. Una possibile spiegazione è che in Italia, più che in Francia, persista una visione tradizionale dei ruoli assegnati all’uomo e alla donna.
Il lavoro, per chi? Le opinioni di italiani e francesi
I dati dell’indagine European Value Study del 2008 descrivono dei forti contrasti nelle opinioni di francesi ed italiani riguardo la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Alla domanda “E’ probabile che un bambino in età prescolare soffra se sua madre lavora fuori casa”, il 76 % degli italiani e delle italiane dichiara di essere “molto d’accordo” o “abbastanza d’accordo”. Si tratta di solo il 41 % nel caso delle francesi e dei francesi. Anche alla domanda “Una madre che lavora fuori casa può stabilire un rapporto caldo e sicuro con i figli quanto una madre che non lavora” gli italiani mostrano un atteggiamento più tradizionale dei vicini oltralpe. Tra gli italiani e le italiane solo il 19% si dichiara “molto d’accordo” con l’affermazione, mentre tale percentuale raggiunge il 61% nel caso dei francesi e delle francesi.
In Italia esiste dunque un’opinione negativa rispetto al lavoro femminile in presenza di figli in età prescolare. In Francia, invece, il lavoro femminile è incoraggiato in tutte le fasi del ciclo di vita, anche in presenza di figli piccoli. Per tale ragione sembra ragionevole pensare che in Italia, più che in Francia, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro possa essere influenzata dall’età e dal numero di figli.
Chi sono le donne che lavorano in Francia ed in Italia?
Stando ai dati dell’Indagine Labour Force Survey del 2011, in entrambi i paesi, il tasso di occupazione delle donne senza figli è sistematicamente superiore di quello delle donne con figli. In Italia però, la situazione sembra più drammatica poiché, nella fascia di età compresa tra i 25 e i 49 anni, lavorano il 76% delle donne senza figli, contro 55% delle donne con figli. In Francia, invece, tali percentuali raggiungono l’81% nel primo caso e il 74% nel secondo.
Inoltre, in Italia, il tasso di occupazione femminile risulta influenzato dalla grandezza della famiglia: esso decresce all’aumentare del numero di figli. In Francia, invece, l’occupazione femminile varia solo marginalmente in presenza di uno o due figli nel nucleo. Tuttavia, in entrambi i paesi, vivere in un nucleo famigliare composto da tre figli o più, mette in serio pericolo l’attività professionale delle donne. In Italia, infatti, nella fascia di età 25-49 anni, solo il 42% delle donne con tre figli sono attive occupate, tale percentuale aumenta a 60% in Francia.
Benché in Italia esista un’opinione negativa rispetto al lavoro femminile in presenza di figli piccoli, il tasso di occupazione delle donne con figli in età prescolare è inferiore di soli 6 punti percentuali rispetto a quello delle donne senza figlia di età inferiore ai sei anni (61% contro 55%). In Francia, invece, a fronte di un’opinione positiva sul lavoro femminile durante tutte le fasi del ciclo di vita, il tasso di occupazione diminuisce profondamente in presenza di figli piccoli (80% delle donne senza figli di meno di sei anni sono attive occupate, contro 66% delle madri con figli di meno di sei anni). In questo paese, infatti, esistono delle misure per la conciliazione famiglia-lavoro che permettono a donne (e uomini) di cessare – momentaneamente – la loro attività professionale.
Per concludere
In un contesto europeo in cui si promuove l’occupazione femminile non si possono ignorare le conseguenze dell’arrivo dei figli sull’attività professionale delle donne. Se da un lato, infatti, l’Italia fatica a raggiungere l’obiettivo, sancito dal trattato di Lisbona, di un’occupazione femminile al 60%, si nota che anche in Francia, paese assai più performante, l’occupazione delle donne sia ancora sensibile all’età e al numero di figli presenti nel nucleo famigliare. E’ per questo motivo che appare auspicabile una maggiore condivisione delle responsabilità familiari e professionali tra le donne e gli uomini in entrambi i paesi.
Riferimenti bibliografici
ISTAT, 2012, Noi Italia, 100 statistiche per capire il paese in cui viviamo, www.istat.it
OECD, 2011, Doing better for families. Paris: OECD Publishing.