Come una rete gettata nel mare, la inter-net cattura cose buone e cattive. In un mondo virtuale, in cui si può giocare con la propria identità, i tempi possono essere dilatati o ridotti, le barriere spaziali abbattute, i filtri e le (auto)censure cadono, le mediazioni si annullano, la comunicazione si fa più «agita». La realtà fisica perde evidenza e l’altro diventa un fantasma, una proiezione. I tweet diventano evacu-azioni.
Al suo anno 2.0, la Mappa dell’intolleranza coglie quanto labile sia il confine tra la realtà politica e sociale del territorio e quella virtuale e volatile dei tweet. Quanto elementi discorsivi pre-esistenti (etnia, genere, religione, orientamento sessuale, solo per citarne alcuni) si combinino e convergano verso quei gruppi che rappresentano ciò che è considerato debole o inferiore. Il risultato è una vera e propria subcultura che, mentre perde contatto con la vitalità delle relazioni e degli incontri, si rafforza sul web.
Favorite dalla velocità e custodite dall’onnipotenza dello spazio cibernetico, le parole possono diventare pietre. Ma non per la ponderata gravità dei loro significati, come voleva Carlo Levi, bensì per pratiche, più o meno occasionali, di lapidazione. Immediate come un byte, umilianti come uno sputo, violente come un calcio, possono essere scagliate con un tweet. Identificate e geo-localizzate, vengono a formare una mappa. Più di 71.000 i tweet (e le offese) contro le donne; e poi i migranti (12.281), gli omosessuali (12.140), gli islamici (7.465), i disabili (7.230), gli ebrei (2.508). Sembrerebbe il disgusto – quell’«avversione profonda», dice la filosofa Martha Nussbaum in Disgusto e umanità, «simile a quella ispirata dagli escrementi, dagli insetti viscidi e dal cibo avariato» – una delle dimensioni fondative del tweet discriminatorio.
«Un giorno esisterà la fanciulla e la donna – ha scritto Rainer Maria Rilke – il cui nome non significherà più soltanto un contrapposto al maschile, ma qualcosa per sé, qualcosa per cui non si penserà a completamento e confine, ma solo a vita reale: l’umanità femminile. Questo progresso trasformerà l’esperienza dell’amore, che ora è piena d’errore, la muterà dal fondo, la riplasmerà in una relazione da essere umano a essere umano, non più da maschio a femmina». Era il 1904. Oggi la rete è «piena di errore». E di orrore. Ci attende il lavoro indicato da Marco l’evangelista, alle prese con ben altra «rete»: «Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la portano a riva. Poi si siedono, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via quelli cattivi».