Mentre in Italia crescono i casi di bullismo e omofobia a scuola (nel 2014 più di duemila minorenni hanno chiesto aiuto alla Gay Help Line per denunciare episodi di violenza nella propria classe), esce in Italia Bullismo Omofobico. Conoscerlo per combatterlo (Il Saggiatore, pag. 300, 24€), il libro dello psicologo inglese Ian Rivers che raccoglie le storie raccolte in oltre 40 anni di studi. VOX riprende l’articolo che Vittorio Lingiardi, professore ordinario di Psicologia Dinamica dell’Università La Sapienza di Roma, ha pubblicato su Il Venerdì di Repubblica, il 15 maggio scorso: un’approfondita riflessione sul drammatico fenomeno. Con qualche suggerimento per tentare di arginarlo. A partire dalla domanda più importante: “Perché sei omofobo?”.
Da Il Venerdì di Repubblica del 15/05/2015
“Il primo giorno di scuola ero emozionato e pieno di aspettative” racconta Davide ricordando i tempi delle superiori. “Non sapevo che sarebbe stato l’inizio di qualcosa di terribile e che presto avrei fatto di tutto pur di non andare a scuola”. La persecuzione comincia una mattina d’autunno, durante l’appello. Quando l’insegnante pronuncia il suo nome, un compagno di classe dice a voce alta: “Finocchio!”. Niente a confronto delle molestie che Davide inizia a subire quotidianamente. “Troppe per ricordarle tutte. Mi rubavano le cose, e non solo i “miei” bulli, ma anche gli altri compagni di classe”. “Mi hanno rotto un braccio, e mi hanno pure detto che ero fortunato che non fosse il destro. Mi hanno spento sigarette sul collo mentre in due o tre mi tenevano fermo”. “Un professore mi ha detto che la colpa dei miei problemi era mia: perché non dicevo ai miei compagni di essere etero?”.
I ricordi di Davide mi riportano le note di una canzone dei Bronski Beat. Erano gli anni Ottanta, e l’espressione “bullismo omofobico” non era mai stata pronunciata. Biondo e minuto, Jimmy Somerville cantava: Pushed around and kicked around, always a lonely boy… “A calci e a spintoni, eri un ragazzo sempre solo, quello di cui sparlano in paese, ti umiliavano e ti facevano più male che potevano per farti piangere, ma tu non piangevi mai per loro, tu piangevi solo per la tua anima». Ho messo le parole di questa canzone in esergo all’introduzione che ho scritto con Ian Rivers per l’edizione italiana, pubblicata da il Saggiatore, del suo libro Bullismo omofobico. Conoscerlo per combatterlo. Rivers è un collega della Brunel University di Londra che da più di vent’anni conduce ricerche su questo argomento. Sarà a Milano il 9 luglio, a Palazzo Marino, ospite dell’associazione Le cose cambiano e relatore nel ciclo di incontri Alimentare la mente, organizzati dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia in occasione di Expo 2015 e del XIV Congresso europeo di Psicologia. Il libro di Rivers raccoglie i risultati di quarant’anni di ricerche sul bullismo omofobico, li illustra con storie in prima persona (una è quella di Davide) e li affianca a strumenti che gli insegnanti possono utilizzare nel lavoro con gli studenti.
Sono anni che le principali istituzioni per l’educazione e la protezione dell’infanzia, per esempio Unicef e Unesco, esortano i governi a realizzare interventi di informazione e prevenzione nelle scuole. Contrastare il bullismo omofobico, ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, “è una sfida comune. Abbiamo tutti un ruolo in quanto genitori, familiari, insegnanti, vicini di casa, dirigenti di comunità, giornalisti, figure religiose o funzionari pubblici”. “Dobbiamo sfatare il mito che il bullismo sia semplicemente un rito di passaggio, una componente inevitabile del processo di crescita e formazione. Non è così. Abbiamo l’obbligo di garantire che le nostre scuole siano sicure per tutti i nostri figli” ha dichiarato Barack Obama in un videomessaggio alla popolazione americana. Un’intera sezione del sito dell’American Psychological Association (Apa) è dedicata alla raccolta di materiali contro la discriminazione e per la sicurezza degli studenti e delle studentesse lesbiche, gay o transgender.
Cosa è il bullismo omofobico? Peculiare sottotipo del bullismo (oggi anche in versione cyber), piaga scolastica su cui la ministra Giannini ha recentemente presentato nuove linee d’intervento, il bullismo omofobico consiste in azioni deliberate finalizzate a emarginare, deridere o denigrare un compagno o una compagna di scuola, in quanto omosessuali o presunti tali, magari perché lui è “troppo” effeminato o lei è “troppo” maschiaccia. Spesso ricorrendo alla violenza verbale e fisica. Colpisce dimensioni nucleari dell’individuo, come l’identità sessuale e di genere, e mette la vittima nella condizione di aver paura di chiedere aiuto: se lo fa, infatti, inevitabilmente richiama l’attenzione sulla sua sessualità, rinnovando sentimenti di ansia e di vergogna, e il timore di deludere le aspettative sociali. Poi, si sa, molti non si sentono di difendere i gay: “E se poi pensano che lo sono pure io?”.
È un modo di perpetuare il dominio di chi si crede ed è creduto forte su chi è creduto, e troppo spesso si crede, debole. Ed è il risultato di un disagio psichico e relazionale del bullo o, sempre più spesso, della bulla, un bisogno infelice di affermare la propria normalità. Cosa dice la ricerca scientifica sul bullismo omofobico? Che i suoi effetti possono essere gravi e a lungo termine, fino a comprendere disturbi post-traumatici, ansia, depressione, ideazione suicidaria. Quest’ultima è tanto più frequente quanto più è forte il rifiuto da parte della famiglia o dell’ambiente scolastico. Al contrario, sono fattori protettivi un clima familiare positivo, il senso di sicurezza a scuola, la possi bilità di contare su adulti amorevoli e rispettosi dei percorsi, più o meno travagliati, di coming out. Un passaggio evolutivo, quest’ultimo, che il più delle volte favorisce l’autenticità delle comunica zioni e la crescita delle relazioni, rinnovando la sincerità dei legami familiari e sociali.
Negli ultimi anni, sul tema del bullismo omofobico, sono fiorite molte iniziative. Per esempio, associazioni scolastiche nate per favorire l’amicizia tra ragazzi gay e etero (le cosiddette Gay-Straight Alliances), il Trevor project, il progetto It gets better. In Italia, Le cose cambiano è un’iniziativa non profit il cui scopo è raccogliere le testimonianze di chiunque voglia condividere la propria storia di scoperta di sé, conflitto, discriminazione e superamento delle difficoltà, per metterla a disposizione di chi fatica a sentirsi compreso dagli altri. Lecosecambiano@Roma è anche il nome di un progetto promosso da Roma Capitale in collaborazione con l’Università la Sapienza: lo scorso anno ha coinvolto 24 scuole romane. Risultati e attività dell’edizione di quest’anno sono stati presentati giovedì 14 maggio alla Sala Petrassi dell’Auditorium di Roma. Il bullismo omofobico rimane un fenomeno difficile da contrastare, soprattutto in Paesi come il nostro dove l’educazione alla sessualità e all’affettività non rientra nei programmi formativi e non sempre incontra il favore dei dirigenti scolastici. A volte gli insegnanti non si sentono legittimati, o semplicemente preparati, a parlare di (omo)sessualità. Spesso i problemi nascono per una parola di troppo, ma talvolta anche per una parola di meno. Un silenzio che può essere vissuto come una forma di non accettazione e finisce per rafforzare i sentimenti di vergogna e inadeguatezza. Spingendo alla conclusione che, per non essere emarginati e discriminati, tutto sommato è meglio nascondersi.
Vi sono anche iniziative che si oppongono ai progetti volti a contrastare il bullismo omofobico, e li screditano bollandoli come “ideologia del gender”. Anche per questo l’Associazione italiana di psicologia (Aip), che raccoglie tutti gli psicologi che insegnano e fanno ricerca nelle università italiane, ha recentemente dichiarato: “Favorire l’educazione sessuale nelle scuole e inserire nei progetti didattico-formativi contenuti riguardanti il genere e l’orientamento sessuale non significa promuovere un’inesistente “ideologia del gender””. Significa, piuttosto, “fare chiarezza sulle dimensioni costitutive della sessualità e dell’affettività”, “favorire una cultura delle differenze e del rispetto della persona umana”, attuare “strategie preventive capaci di contrastare fenomeni come il bullismo omofobico, la discriminazione di genere, il cyberbullismo”.
Negare l’esistenza dell’omofobia e, di conseguenza, la necessità di combatterla è una forma sottile e insidiosa di omofobia. Come professionista della salute mentale non posso che adoperarmi per offrire occasioni e strumenti che promuovano una cultura dello scambio, del rispetto delle varietà e della non violenza. A proposito: le cose cambiano significa smettere di pensare “Perché sei omosessuale?” e iniziare a pensare “Perché sono omofobo?”. Ma anche smettere di pensare “Perché sono omosessuale?” e iniziare a pensare “Perché sei omofobo?”.