In un Paese dove spesso il concetto di giustizia viene sempre più associato all’applicazione di sanzioni, ci sono realtà italiane che cercano di andare oltre. È il caso del Progetto Sicomoro, l’iniziativa promossa dalla Prison Fellowship Italia Onlus, che dal 2009 intende supportare migliaia di detenuti di alcune carceri italiane per favorirne il reinserimento sociale. Chiara Chisari, laureata in Giurisprudenza all’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha intervistato Marcella Reni, presidente dell’associazione, per capire meglio di che cosa si tratta. Ecco il suo contributo.
Di Chiara Chisari
Giustizia riparativa: un cambio di prospettiva
Parlare di giustizia riparativa significa riferirsi a un paradigma giuridico che sceglie di affrontare le controversie coinvolgendo maggiormente la vittima, il reo e la comunità civile, con l’obiettivo principale di avvicinare questi soggetti, ripristinando il dialogo interrotto dall’avvenuto fatto illecito. Emerge così una diversa modalità di approccio al reato, non più inteso come oltraggio ai danni dello Stato, ma come condotta offensiva, come violazione commessa da una persona ai danni di un’altra. La conseguenza è ovvia: il cuore della giustizia cessa di essere “chi merita di essere punito e con quali sanzioni”, per diventare “cosa può essere fatto per riparare il danno”, entrando così nel merito del problema antropologico e sociale del conflitto.
Progetto Sicomoro: un esempio virtuoso
Le esperienze di giustizia riparativa sono varie e variamente strutturate in relazione a forma, contenuti e destinatari. Tra le tante, una è quella tra le più rivoluzionarie mai intraprese nel nostro Paese, non solo perché fortemente in antitesi con la generale tendenza retributiva del sistema punitivo italiano, ma anche per l’evidenza dei risultati positivi che essa è riuscita a raggiungere: si tratta del Progetto Sicomoro. Ne abbiamo parlato con una delle promotrici, Marcella Reni, Presidente dell’Associazione Prison Fellowship Italia che dal 2009 è dedita a una vera e propria missione di supporto ai detenuti in varie carceri italiane, nell’ottica, chiaramente, di favorirne il reinserimento sociale.
Concetti chiave per una completa descrizione del Progetto sono quelli di avvicinamento e di comprensione reciproca. In concreto, esso si è sostanziato in otto incontri settimanali tra condannati definitivi e vittime non dirette. In ogni occasione è stato promosso l’approfondimento di tematiche quali quella del perdono, del pentimento, della responsabilità, della riparazione e della riconciliazione, che si sono ritenute utili a favorire un sincero confronto tra le parti coinvolte. Ed effettivamente questo è esattamente ciò che è successo: le sessioni hanno consentito a vittime e rei di raccontarsi, di mostrarsi nell’intimità delle loro ferite e delle loro debolezze, e dunque di conoscersi e di riconoscersi l’uno nell’altro. Di capirsi, in parole povere.
Marcella Reni testimonia di un vero e proprio cambiamento di mentalità da parte dei detenuti, che sarebbe maturato a fronte dell’acquisita consapevolezza rispetto alla portata emotiva e valoriale del danno provocato. È infatti intuibile come solo il racconto della sofferenza causata dal crimine darà al criminale una completa visione del significato del suo gesto. Nella prospettiva delle vittime, la possibilità di poter condividere il loro vissuto traumatico e di ottenere in conseguenza comprensione e rispetto, ha fatto in modo che riuscissero a curare le ferite emotive e psicologiche causate dal danno subito.
Da precisare è un ulteriore aspetto del Progetto Sicomoro: non garantisce alcun vantaggio processuale né alcuno sconto di pena, con la conseguenza che chi decide di parteciparvi lo fa solo in relazione alla piena convinzione dell’utilità personale di tale percorso.
In sintesi, ciò che emerge con forza da quest’incredibile esperienza è che l’offesa di cui parla la tradizione penalistica è un elemento tangibile, empirico, il cui manifestarsi deve implicare un intervento che punti al rispetto non tanto e non solo della regola giuridica, quanto, specialmente, dell’oggetto valoriale della medesima. Giustizia è, insomma, non dimenticare che dietro qualsiasi fatto di reato si nascondono esperienze, sentimenti e specialmente persone, che meritano attenzione e comprensione per riuscire, finalmente, a riconciliarsi.