Esiste una “questione femminile” nel mondo islamico? Di certo, i segnali non mancano. E mentre i Paesi islamici hanno espresso riserve nei confronti della Convenzione ONU sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, all’indomani dei gravi fatti di Colonia si impone una riflessione sul rispetto dei diritti delle donne, base fondante dell’assetto sociale occidentale. Intanto, qualche timidissima apertura nel regno dell’ortodossia, l’Arabia Saudita, apre a nuovi scenari. Come spiega Michela Fontana, scrittrice e autrice del bel libro- reportage Nonostante il velo, un viaggio esclusivo nell’universo femminile saudita.
Nel difficile e drammatico momento che il Medio Oriente sta attraversando, con l’avanzata dell’Isis-Daesh e la crisi degli immigrati che si riversano in Europa, portandosi appresso le loro culture e i loro costumi, è indispensabile affrontare il tema dei diritti delle donne nell’Islam. Il ruolo della donna, infatti, riflette il grado di apertura alla modernità di ogni società. Ed è uno dei terreni di frizione e scontro più accesi tra concezioni diverse della vita sociale. Al riguardo va ricordato che tutti i Paesi islamici hanno espresso riserve all’adozione del CEDAW (La Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne), per gli articoli che sono in contrasto con la legge islamica, la Sharia. Di fatto vanificando l’efficacia della convenzione.
E’ quindi importante e utile seguire con attenzione come la situazione femminile si stia evolvendo in uno dei Paesi islamici più conservatori, l’Arabia Saudita, dove si pratica il wahhabismo, una delle forme del salafismo, l’interpretazione conservatrice dell’Islam che ha ispirato i movimenti più integralisti, da Al Qaeda al Daesh. Nonostante il controllo ferreo esercitato dalla classe religiosa, a cui gli Al Saud hanno sempre delegato la gestione della società, le donne in Arabia Saudita sono oggi più visibili e desiderano poter prendere parte alla vita sociale e al mondo del lavoro. Superando limitazioni ancora oggi in vigore come il divieto di guidare veicoli e la dipendenza a vita da un guardiano di sesso maschile che le rende eterne minorenni. Grazie alle timide riforme portate avanti dal precedente re Abdullah, a cui nel gennaio 2015 è succeduto il fratello Salman, le donne, nel 2013, sono entrate a far parte del Consiglio del re, lo Shura (30 donne su 150 membri). Lo scorso dicembre hanno partecipato per la prima volta alle elezioni municipali eleggendo tredici donne tra le 900 che si erano presentate (su un totale di 6440 candidati) e ottenendo l’1 per cento dei seggi. Un risultato minimo, ma dal grande valore simbolico. Le studentesse possono oggi seguire corsi nelle università private anche in settori che tradizionalmente venivano loro preclusi, come ingegneria, e possono accedere alle borse di studio governative per frequentare università all’estero. Avanzamenti minimi ai nostri occhi, in una società che rimane fortemente patriarcale e tribale, ma che hanno tuttavia effetti sui costumi. Oggi un numero crescente di giovani donne chiede ai genitori di poter proseguire gli studi, e poi lavorare, rimandando il matrimonio, e la conseguente scelta di avere figli, a un’età più matura. Le donne saudite, soprattutto le giovani, sembrano quindi essere in prima linea nel difficile compito di spingere il Paese verso la modernità. Con il risultato che i giovani maschi sauditi, per la prima volta, si trovano nella situazione di dover accettare una seppure minima condivisione del potere. Ciò che avverrà in Arabia Saudita (dove sorgono le città sacre di Mecca e Medina) non potrà non riverberarsi sul resto del mondo islamico.