Sistema proporzionale con premio di maggioranza per la lista più votata, soglia di sbarramento del 3%, candidature multiple e doppia preferenza di genere (ne abbiamo parlato qui). Questi, alcuni dei punti del disegno di legge elettorale cd Italicum, proposto dal governo e approvato dal Senato. Ecco gli elementi essenziali del disegno e quelli più problematici.
Trascorso ormai più di un anno dalla decisione della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittima la disciplina elettorale con la quale sono state elette le Camere attualmente in carica, il Senato ha approvato, con importanti modifiche rispetto alla versione originaria, il disegno di legge elettorale cd Italicum. Prima di dare conto delle principali novità e dei problemi che paiono ancora oggi sul tappeto, va segnalato che occorrerà, nelle prossime settimane, un ulteriore passaggio alla Camera per l’approvazione (forse) definitiva della riforma elettorale.
Quali sono i tratti principali della ‘nuova’ legge elettorale che si propone?
Anzitutto le regole che si introducono varranno solo per l’elezione della Camera dei deputati. Infatti, com’è noto, in questi mesi è in discussione una proposta di modifica della Costituzione che, se approvata, comporterà che i Senatori non saranno più eletti direttamente dai cittadini. Ne deriva che in futuro solo la Camera sarà eletta direttamente dai cittadini e che, quindi, solo per quest’ultima occorrerà una disciplina che consenta di trasformare i voti dei cittadini in seggi parlamentari.
Inoltre, si prevede un sistema di elezione di tipo proporzionale con l’inserimento di un premio di maggioranza a favore della lista più votata. In questo la nuova disciplina ricorda quella precedente, anche se vi sono delle significative novità per recepire – almeno nelle intenzioni del Parlamento – le censure della Corte costituzionale.
Ma vediamo meglio il sistema. Il territorio nazionale viene diviso in venti circoscrizioni (che corrispondono alle Regioni) e ciascuna di queste in un numero variabile di collegi nei quali poi i singoli deputati vengono eletti. I collegi sono in tutto cento e in ciascuno di esso ogni lista presenta i suoi candidati e fra questi un capolista. Le dimensioni dei collegi, però, sono piccole, dato che in ognuno vengono eletti da tre a nove deputati a seconda della popolazione in esso residente.
I partiti, nel presentarsi alle elezioni devono indicare un programma e il nome del Capo della forza politica che, in caso di vittoria, diventerà il candidato che naturalmente la forza politica stessa proporrà al Presidente della Repubblica quale Presidente del Consiglio. Inoltre, i partiti devono scegliere, per ciascun collegio, un loro capolista. Si tratta di un’indicazione importante perché questo sarà il primo ad essere eletto, senza dover conseguire le preferenze degli elettori. Sempre i partiti devono presentare nei collegi un eguale numero di candidati, escluso il capolista, dei due sessi (ossia metà uomini e metà donne) e devono assicurare che a livello di circoscrizione i capilista siano di ambo i generi ed in misura tale che nessuno dei due sessi abbia un numero superiore al 60% di capilista.
L’elettore, nel momento del voto, può scegliere una delle liste che si sono presentate nel suo collegio ed ha la possibilità di votare sino a due preferenze per candidati diversi dal capolista (che come si è detto non partecipa alla competizione interna al partito). Se vengono votate due preferenze l’elettore deve, a pena di annullamento della seconda, votare per un uomo e per una donna.
Detto questo, si può ora descrivere il cuore del sistema elettorale. I seggi vengono assegnati in proporzione ai voti che ciascun partito (o meglio lista) ottiene a livello nazionale, purché abbia ottenuto almeno il 3% dei voti a livello nazionale.
Tuttavia, per favorire la governabilità, rimane il premio di maggioranza. Questo viene assegnato alla lista che ottiene più voti a livello nazionale. Tuttavia, per superare le censure mosse dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014, questo viene assegnato subito solo se la lista che ottiene più voti ha raggiunto almeno il 40% dei voti totali espressi dai cittadini. Se questa soglia non viene raggiunta, la legge elettorale prevede che si debba svolgere un secondo turno di ballottaggio a cui partecipano le due liste più votate. La più votata al ballottaggio otterrà il premio. Quest’ultimo consiste nell’assegnazione di 340 seggi.
Una volta assegnato il premio (sia che ciò accada al primo o al secondo turno) i restanti seggi vengono dati alle altre liste in proporzione ai voti ottenuti. Ovviamente il numero di seggi sarà minore di quello che si avrebbe in base alla percentuale di voti conseguiti, ma ciò è imposto proprio dall’esistenza del premio.
Interessante è dire che, una volta calcolato a livello nazionale il numero di seggi che spetta a ciascuna lista, viene determinato, con una serie di calcoli che non rileva in questo momento, il numero di deputati che i partiti eleggono in ciascun collegio.
Descritto, per sommi capi il funzionamento del sistema elettorale, si può riflettere, pur se brevemente, su alcuni punti che paiono forse problematici nella nuova disciplina.
In primo luogo, la previsione di una soglia di sbarramento da raggiungere affinché possa scattare il premio va indubbiamente nella direzione dell’accoglimento delle richieste della Corte costituzionale. Qualche dubbio sul meccanismo del premio potrebbe essere ancora avanzato nella (forse improbabile) ipotesi in cui il premio venga assegnato al secondo turno con una esigua partecipazione di elettori. In questo caso, si potrebbe avere che i 340 seggi (circa il 55% dei 630 deputati) vengono assegnati ad una lista che ha, tutto sommato, un limitato numero di suffragi.
In secondo luogo, e probabilmente questo è il punto di maggiore criticità della disciplina approvata dal Senato, la piccola dimensione dei collegi comporterà che, salvo i partiti più grossi, verranno eletti quasi esclusivamente i capilista. Ne deriva che molto spesso le preferenze, reintrodotte dalla nuova legge elettorale, nei fatti non serviranno per determinare il nome dei parlamentari da eleggere (considerato che i capilista sono ‘bloccati’ e scelti dai partiti). Stando così le cose, potrebbe nutrirsi qualche dubbio sul superamento delle censure della Corte costituzionale volte a richiedere una partecipazione effettiva degli elettori alla scelta dei propri rappresentanti. Tuttavia, il problema è molto complesso e resta aperto. Quel che si vuole segnalare è soltanto che un ulteriore supplemento di analisi sul punto potrebbe non essere del tutto inutile.
In terzo luogo, non può non dirsi qualcosa sul sistema complessivo delineato per assicurare una maggiore parità di genere nell’accesso alle assemblee. La disciplina, sembra andare effettivamente nella direzione auspicata dal legislatore. Ma anche qui, il problema che potrebbe porsi è quello, in effetti mai espressamente chiarito dalla Corte costituzionale, della legittimità di meccanismi di quote nell’ambito dell’accesso alle cariche elettive. Ciò che invece non pare porre problemi, perché già promosso dalla Corte costituzionale, è il sistema della cd doppia preferenza di genere (ossia il sistema che impone all’elettore, se decide di esprimere anche una seconda preferenza, di scegliere candidati dei due sessi).