È giusto cercare di mettere un freno alle fake news con delle leggi, per prevenire la violenza che da queste “bufale” può derivare? Le proposte di legge di Germania e Italia (il cosiddetto “ddl Gambaro”) sono valide? Secondo Massimo Clara, co- fondatore di Vox, le due proposte di legge presentano aspetti positivi, come il riconoscimento della responsabilità dei gestori, con sanzioni pecuniarie anche alte, e il coinvolgimento degli utenti. Ma il punto di partenza restano progetti di formazione ed educativi, gli unici in grado di garantire la riuscita di buone pratiche.
di Massimo Clara
Le parole fanno male, serve una legge? La risposta è sì, senza dubbio. La diffusione dei social media, la facilità di accesso alla comunicazione mediatica, la possibilità di agire in quasi anonimato hanno creato terreni nuovi, non affrontabili con l’antiquata normativa sulla stampa, la diffamazione, l’istigazione a delinquere.
Anzitutto è indispensabile lo strumento culturale. La parola violenta si presenta sempre più spesso non solo come offesa, ma come notizia apparente, come affermazione di un fatto, come cronaca e non come opinione. Ma quel fatto è falso, deliberatamente riferito e rilanciato per denigrare, senza alcun rapporto con la realtà.
Intendiamoci, nulla di nuovo: per secoli l’antisemitismo si è nutrito del “fatto” che gli ebrei rapivano i bambini cristiani per usarne il sangue nei loro rituali. Oggi, però, la possibilità di invenzione e falsificazione si è moltiplicata: si deve riconoscere che il falso è utilizzato per legittimare, sostenere e diffondere un messaggio di offesa e di violenza, che come tale deve essere trattato. Non si tratta quindi, in molti casi, di “bufale”, ripetute per gusto della stravaganza o della sorpresa, ma di coscienti operazioni di diffamazione e di aggressione.
Lo strumento culturale/interpretativo libererà anche dal timore di diventare censori, nemici della libertà di opinione. Già abbiamo un faro nella Costituzione, che vieta la ricostruzione del partito fascista: vieta dunque la costituzione di un’associazione in base alla sua ideologia, non al comportamento dei suoi associati.
Non tutte le opinioni sono legittime, in democrazia: che donne/negri/ebrei/omosessuali (l’elenco può continuare …..) siano esseri inferiori, pertanto da guidare legittimamente con la forza, discriminare, asservire, eventualmente eliminare, sono opinioni, non necessariamente concretizzate nell’immediato. Ma sono opinioni che creano violenza ingiusta e, per questo, da reprimere. Del resto, il demoniaco “terrorismo” tanto condannato da tutti, non nasce da un’ideologia di superiorità, di odio e di disprezzo per l’altro, dunque da un’opinione, più esattamente da un’opinione criminale?
Sgombrato il campo del fantasma della censura, possiamo considerare con equilibrio le iniziative da assumere; lasciando tranquillamente ai giudici il compito di interpretare – è la loro funzione, nell’applicare la legge – quando si varchi il confine dell’illecito.
Va ripetuto che l’aspetto culturale e formativo è essenziale e prioritario: su questo terreno Vox Diritti è da sempre impegnata, la pubblicazione e la diffusione della Mappa dell’ Intolleranza ne è un importante esempio.
Sotto il profilo normativo, si hanno segni di impegno legislativo. Al nostro Senato è stato depositato il disegno di legge Gambaro, in Germania è in discussione una proposta di legge di iniziativa governativa assai severa nelle sanzioni economiche previste.
Senza entrare in tecnicismi giuridici, vanno sottolineati positivamente due elementi. Il primo è che la responsabilità dei gestori è decisiva. E’ previsto un obbligo di monitoraggio, di verifica, di cancellazione. Si abbandona l’idea che i social media siano un contenitore gigantesco ma neutro rispetto ai contenuti diffusi, cosa che comporterebbe la responsabilità esclusiva degli autori dei messaggi d’odio e delle fake news. I social media sono, anche sotto il profilo economico, strutture imprenditoriali di grande rilevanza, e appare dunque corretto l’attribuire loro il dovere di predisporre meccanismi di controllo, di verifica, di intervento che impediscano la comunicazione e la diffusione della propaganda dell’odio. La proposta di legge tedesca, in particolare, è molto rigorosa: per le violazioni la sanzione può arrivare a cinque milioni di euro. Somma evidentemente alta, ma non si deve dimenticare che una sanzione economica, per essere efficace, deve essere commisurata al livello economico del sanzionato: una modesta multa, nelle nostre circostanze, sarebbe assolutamente irrilevante. Il secondo elemento positivo è che viene sottolineato il ruolo degli utenti, i cui reclami e segnalazioni assumono una funzione decisiva nell’attivazione delle procedure di controllo da parte dei gestori dei social media. In Gran Bretagna e negli USA si dice che in questi casi è all’opera il whistleblower, il “soffiatore nel fischietto”, che contesta e segnala l’illecito.
Con questa impostazione si crea un circuito virtuoso che riconosce l’impegno di chi individua e segnala le fake news; e si fonda la responsabilità del gestore, che dovrà attivarsi e rispondere per propria responsabilità.
Sarà molto, non sarà tutto, è certo. Ma coltivare l’illusione della perfezione, ed essere disposti ad impegnarsi solo di fronte alla certezza del risultato totale e definitivo, è da sempre l’alibi dell’ ignavia.
Le nostre parole, le nostre, fanno molto bene.