Entrata in vigore nel 2004, la legge 40 ha da subito mostrato falle e incongruenze. Dal divieto alle coppie non fertili di accedere alla fecondazione eterologa, all’impossibilità della donna di cambiare idea dopo la fecondazione dell’ovulo (irrevocabilità del consenso prestato dalla donna successivamente alla fecondazione dell’ovulo), questa legge è stata sottoposta a 32 sentenze tra Corte Costituzionale, Tar e tribunali ordinari. In attesa del verdetto della Consulta, previsto per l’8 aprile, Marilisa d’Amico, Professore di Diritto Costituzionale e co-fondatrice di Vox, ricostruisce il drammatico cammino della legge.
10 anni fa la legge 40 entrava in vigore e sono 10 anni che il suo contenuto e le sue vicende politiche e giuridiche stanno scrivendo un capitolo della storia del nostro Stato: un capitolo molto complesso, che è difficile esaminare da un solo punto di vista.
Il volume di Carlo Flamigni e Maurizio Mori ha il pregio di ricostruire il complesso e drammatico “cammino” della legge, a partire dalla sua approvazione, fino ad oggi, con il duplice sguardo del medico e del filosofo, offrendo una chiave di lettura affascinante.
Molto ricca e documentata è la ricostruzione dell’iter legis e anche delle proposte di cambiamento all’indomani dell’entrata in vigore della legge, nonché in generale la lettura delle vicende successive , a partire dalle richieste referendarie e dall’esito del referendum del 2005, fino alle numerose pronunce giurisprudenziali che hanno toccato i punti più disparati della legge stessa.
Profonde sono le riflessioni e la consapevolezza delle implicazioni della fecondazione assistita sui rapporti familiari, da un lato, e sul ruolo della scienza, dall’altro.
Sferzanti sono le critiche alle numerose posizioni della politica, per la maggior parte del tutto inadeguata rispetto al proprio ruolo, e delle gerarchie ecclesiastiche, che sono lasciate pressoché libere di invadere uno spazio non proprio, in uno Stato laico.
Alla fine gli autori concludono con una proposta alla “politica” e anche alla società: riscrivere la legge 40, con una impostazione diversa, come normazione “leggera”, che si affidi ai medici e alla scienza, anziché ai dettami rigidi e dirigistici delle norme.
Questa proposta nascerebbe anche dalla consapevolezza di un contesto diverso, politico e religioso (la “sparizione” di Berlusconi dalla scena pubblica e l’apparizione di papa Francesco), che consentirebbero un humus favorevole e anche dalla sottovalutazione di un eventuale esito positivo delle questioni pendenti davanti alla Corte costituzionale, ritenute “irrilevante rispetto al nostro discorso perché riteniamo che non possa essere una sentenza specifica a mutare un indirizzo storico” (p. 164).
Vorrei allora, riguardo non tanto al volume, ma al tema, portare un punto di vista ulteriore, che conduce a considerazioni critiche sulla soluzione proposta dagli autori: il punto di vista non è solo quello del giurista, ma soprattutto quello del costituzionalista.
La lunga e complessa vicenda legata alla legge 40 parte da un tradimento da parte del legislatore del principio costituzionale, non scritto, ma supremo di “laicità”, che vorrebbe leggi nei quali si bilancino principi e si mettano sullo stesso piano le posizioni coinvolte, evitando di imporre con la forza un punto di vista, o peggio un “valore” su tutti gli altri.
Nella scelta legislativa, invece, come si evince in modo chiaro dall’art. 1 e dagli atti parlamentari, il legislatore concentra la sua protezione nei confronti dell’embrione, ritenuto il soggetto più debole, introducendo così una serie di regole rigide e di divieti, che si riflettono negativamente sulla posizione delle coppie e sulla stessa ratio della legge, che diventa un mezzo inutile a raggiungere la sua finalità, quella di risolvere problemi riproduttivi, nonché sulla salute della donna, sottoposta a sacrifici eccessivi e disumani, in nome della “salvezza degli embrioni”.
La legge 40, quindi, fin dal suo esordio appare lesiva di principi costituzionali, fra cui soprattutto quelli di eguaglianza e di ragionevolezza e della salute.
Le vicende legate alla legge 40, però, testimoniano da un lato l’incapacità del mondo politico, senza eccezioni di affrontare temi legati ai diritti costituzionali e al ruolo della scienza, derubricati come questioni “eticamente sensibili” e quindi non meritevoli di attenzione o complicate da esaminare. Dall’altra, però, anche la debolezza del mondo scientifico, incapace, a differenza di quello ecclesiale, di parlare con voce autorevole e unica alla politica.
Così l’iter che parte dal fallimento delle proposte referendarie, fino alle complesse trasformazioni della legge per via giurisprudenziale si presenta tormentato e pieno di luci ed ombre.
Un punto però mi pare molto positivo e significativo: il referendum prima e le pronunce giurisprudenziali, di peso diverso come vedremo poi, mostrano in modo evidente come in uno Stato costituzionale esistano strumenti precisi e utili per reagire alle ingiustizie del legislatore.
Si tratta di una reazione, tra l’altro che coinvolge i cittadini, prima con le proposte referendarie, e poi con il prendersi carico in prima persona, spesso con il sostegno delle associazioni, dei giudizi nei quali viene invocata una diversa interpretazione della legge o promossa una questione di costituzionalità.
A mio avviso, nella lettura costituzionale della vicenda rimane centrale la decisione n. 151 del 2009 della Corte costituzionale, che non può essere messa sullo stesso piano delle pronunce degli altri giudici o anche di quelle della Corte di giustizia.
Solo la Corte costituzionale può, come ha fatto e come potrebbe fare se accogliesse le questioni sulla fecondazione eterologa, modificare la disciplina con effetti generali: ricordiamo che a seguito della decisione n. 151 del 2009, i commi 2 e 3 dell’art. 14 vengono trasformati completamente: dall’imposizione di un numero rigido di embrioni (3), l’obbligo di un contemporaneo impianto e il divieto generale di crioconservazione, si passa ad una norma che consente al medico di decidere il numero di embrioni necessari e consente allo stesso di crioconservarli. La normativa che esce dalla penna della Consulta, che in uno stato costituzionale, ha la funzione di legislatore “negativo” e che nel nostro ordinamento, attraverso la tecnica delle decisioni manipolative, si assume il compito di correggere e rimediare agli errori anche manifesti del legislatore, è una normativa “leggera”, forse in linea con quella che gli autori tratteggiano per un futuro, ipotetico, legislatore.
Ma, soprattutto, con la decisione n. 151 del 2009, la Corte, utilizzando appieno il suo ruolo, corregge la ratio stessa della legge, quando afferma, in apertura, che la legge 40 non può e non deve tutelare soltanto l’embrione, ma che “la tutela dell’embrione non è assoluta, ma bilanciata con le giuste esigenze della procreazione”.
Questo principio costituzionale, a cui la Corte dà voce, alla luce di un’interpretazione evolutiva dell’art. 31 Cost., costituisce d’ora in poi un ulteriore elemento nel bilanciamento e nell’interpretazione della legge, elemento su cui si poggiano anche le questioni pendenti e che difenderemo l’8 aprile aventi ad oggetto il divieto assoluto della fecondazione eterologa.
Alla luce della pronuncia della consulta, quindi, la legge 40 cambia la propria ratio e alla luce di questa decisione appaiono in modo ancora più evidenti le incostituzionalità del divieto assoluto della fecondazione eterologa e della libertà della ricerca scientifica.
Sotto questo profilo, la portata della decisione costituzionale non può essere messa sullo stesso piano della pronuncia di un giudice su un caso singolo: pronuncia che rimane limitata a quel caso e che può essere contraddetta da pronuncia di altro giudice. E sotto questo profilo, nonostante l’indubbia risonanza dei principi, effetti diversi e più limitati hanno anche le pronunce della Corte europea, che infatti abbisognano poi di esser concretizzati all’interno del nostro ordinamento: prova ne è la vicenda, anche questa emblematica, della richiesta della diagnosi preimpianto per le coppie fertili, ma portatrici di malattie genetiche. Una vicenda che vede una pronuncia del Tribunale di Salerno, una pronuncia della Corte europea (la famosa Costa/Pavan) , che viene applicata dal Tribunale di Roma, nel quale altro giudice si rivolge però, alla fine alla Corte costituzionale affinché dichiari in via definitiva, con decisione manipolativa ad effetti generali, il diritto di accesso per queste coppie.
Qualche considerazione alla luce delle riflessioni degli autori che svalutano gli effetti di una eventuale pronuncia di accoglimento della Corte sulla fecondazione eterologa. Io ritengo intanto che la Corte costituzionale, alla luce dei principi di eguaglianza fra coppie, ragionevolezza, diritto alla salute e giuste esigenze della procreazione dovrebbe accogliere la questione. Ma ritengo anche che paradossalmente il rinvio per la sopravvenuta decisione della Grande camera, alla luce delle considerazioni svolte nella bella ordinanza del Tribunale di Milano, sia molto positivo per l’accoglimento della questione: se la Corte, come pare, si ritenesse vincolata ai principi europei in materia, non vi è chi non veda come le considerazioni critiche della Corte Edu nel caso Costa/Pavan, siano di grande aiuto per un accoglimento della questione.
Ma dirò di più, se la Corte entrasse nel merito e accogliesse questa questione: una questione circoscritta, alle stesse coppie che hanno accesso ai sensi dell’art. 5, comma 1, e alla luce dei vincoli esistenti dal punto di vista normativo (sent. n. 273 del 2013 sull’anonimato), una questione che metterebbe fine però all’esilio procreativo e alle ingiuste speculazioni, purtroppo anche dei centri medici italiani, sul cd. turismo procreativo. Se la Corte quindi accogliesse la questione sarebbe un passo avanti decisivo nella riconduzione a ragionevolezza della legge, in linea con il ruolo “alto” del giudice costituzionale in uno stato fondato sul primato della “costituzione”.
Nella realtà attuale io, come costituzionalista impegnata in prima persona nella riconduzione a ragionevolezza della legge 40, vedo come possibile e attuabile questo pezzetto di strada: una strada certo non in contraddizione con l’aspirazione degli autori di una riconduzione a ragionevolezza della politica e della società, e della scelta politica di una normazione leggera. Una scelta che, però, mi appare incerta e lontana, distante dagli sguardi di quelle coppie che attendono una risposta precisa e tempestiva sui loro concreti diritti.