Dai risultati della Mappa dell’Intolleranza-anno 3, come dalle precedenti edizioni, emergono numerosi spunti di riflessione utili al giurista e al costituzionalista. In particolare, la nuova edizione del progetto ci induce a ragionare su due temi diversi, ma che rappresentano le due parti di una stessa medaglia: il contrasto alla diffusione dello hate speech e la promozione dei diritti e dell’inclusione sociale, come argini dell’odio e dell’intolleranza.
Il primo tema riguarda quelle espressioni che, secondo il Consiglio di Europa “diffondono, incitano, promuovono o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo o altre forme di minaccia basate sull’intolleranza – inclusa l’intolleranza espressa dal nazionalismo aggressivo e dall’etnocentrismo –, sulla discriminazione e sull’ostilità verso i minori, i migranti e le persone di origine straniera” (Raccomandazione 97/20, Consiglio di Europa).
L’introduzione di divieti e limitazioni alla diffusione di un tale linguaggio rappresenta, da un punto di vista giuridico, un tema delicato e problematico, poiché tocca nel profondo principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale: il principio di eguaglianza e non discriminazione da un lato; la libertà di espressione dall’altro lato. L’equilibrio tra i due principi è stato individuato dalla giurisprudenza interna e sovranazionale. La Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha ribadito in diverse occasioni che “le leggi volte a contrastare il linguaggio dell’odio e a reprimere atti ispirati dal razzismo e dalla xenofobia, rappresentano – in una società democratica – una limitazione legittima della libertà di espressione in favore della tutela necessaria della reputazione degli individui e delle libertà fondamentali” ( cfr. Corte Edu Gündüz c. Turquie, 4 dicembre 2003; Feret c. Belgium, 10 dicembre 2009).
Negli ultimi anni i numeri dell’odio e dell’intolleranza su internet hanno convinto non solo gli Stati, ma anche i colossi del web – Facebook, Twitter, Instagram, Google – a dotarsi di regole volte a limitare l’impatto negativo di tale fenomeno.
Sia a livello europeo, sia a livello nazionale sono stati raggiunti risultati importanti. A livello europeo, la Commissione europea ha presentato, insieme a Facebook, Twitter, YouTube e ad altre grandi imprese di internet un codice di condotta, che prevede una serie di impegni per combattere la diffusione del linguaggio dell’odio su internet. Il Codice non sembra limitarsi ad una mera dichiarazione di intenti, ma prevede regole specifiche imponendo alle aziende di introdurre “procedure chiare ed efficaci per esaminare le segnalazioni riguardanti forme illegali di incitamento all’odio nei servizi da loro offerti, in modo da poter rimuovere tali contenuti o disabilitarne l’accesso”.
A livello nazionale, un risultato importante è stato raggiunto con l’approvazione della legge n.71 del 2017 volta a proteggere i minori vittime di cyber-bullismo e a contrastare la diffusione del fenomeno del cyberbullismo, mediante l’implementazione di azioni di carattere preventivo ed educativo.
Inoltre, un grande sforzo nella lotta alle parole e ai crimini d’odio è stato compiuto dalla Commissione Parlamentare “Jo Cox sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo, sull’odio e sulla violenza on line”, la quale – al fine di contrastare episodi di violenza su internet – ha coinvolto un team di esperti internazionali, formato da attori del web, accademici e associazioni. L’auspicio è che un tale impegno sia mantenuto e rafforzato dall’attuale legislatura.
Tuttavia, ritengo che la vera novità della terza edizione del progetto sia un’altra. I dati ci inducono a pensare che il linguaggio dell’odio non si combatte solo con divieti e sanzioni, ma anche mediante l’affermazione e il riconoscimento dei diritti fondamentali. In altri termini, là dove il legislatore ha fatto passi avanti nel riconoscimento dei diritti, l’evoluzione normativa sembra aver avuto un impatto anche sul piano culturale, diminuendo nettamente il clima di intolleranza nei confronti di soggetti storicamente discriminati.
Ad esempio, il brusco calo del linguaggio omofobo, che emerge dalle analisi più recenti, non può che essere collegato alla storica approvazione della legge sulle unioni civili. Ciò risulta ancora più evidente se si pensa che a fine febbraio 2016, mese in cui si accendeva il dibattito parlamentare intorno al c.d. progetto di legge Cirinnà, su internet e sui social network si moltiplicavano insulti e offese ideologiche contro l’approvazione definitiva della legge.
A distanza di due anni, i dati della Mappa dell’Intolleranza 2018 mostrano con forza come l’approvazione della legge Cirinnà sia stata una conquista storica. Non solo sul piano della garanzia dei diritti sostanziali delle coppie dello stesso sesso, ma anche sul piano culturale e sociale.
Una considerazione non dissimile può essere svolta in relazione ai diritti delle donne. I numeri della misoginia su Twitter sono ancora drammatici, ma in calo. Certo, la strada da fare per l’affermazione di una piena parità è ancora lunga, ma i risultati del 2018 evidenziano come le numerose leggi introdotte per favorire l’uguaglianza di genere in ogni campo – nel lavoro, nella famiglia e nelle istituzioni – stanno lentamente sgretolando quei classici stereotipi, che alimentano pregiudizi e discriminazioni.
Viceversa là dove la politica non è intervenuta, ha fallito o ha ostacolato la piena affermazione dei diritti non si sono registrati miglioramenti o, in taluni casi, l’odio su Twitter è aumentato. Si pensi alla legge di Regione Lombardia n. 2 del 2016, dichiarata almeno in parte incostituzionale, che ha impedito nei fatti la costruzione di moschee in Lombardia. Quelle moschee avrebbero potuto divenire emblema di integrazione e pieno rispetto della libertà religiosa di tutti; al contrario, si sono trasformate in simboli di paura del diverso, fonte di odio e intolleranza.
Ancora, il dibattito sorto intorno all’approvazione della riforma della legge sulla cittadinanza, fallita a fine dicembre 2017, si è riflesso drammaticamente sul web. Nuovamente, la paura del diverso ha ostacolato la piena affermazione dei diritti divenendo veicolo di intolleranza e discriminazione. Sono sicura che l’approvazione della legge sullo ius soli, consentendo ad oltre 800.000 bambini stranieri nati in Italia di godere pienamente dei diritti di cittadinanza, avrebbe potuto rappresentare il miglior antidoto contro il razzismo.
Infine, è importante segnalare con forza il dato più allarmante, messo in luce dalle rilevazioni del 2017 e del 2018 in relazione alla diffusione del linguaggio razzista e islamofobo. I toni disumani urlati contro gli stranieri e i rifugiati che hanno caratterizzato il dibattito sulle politiche dell’immigrazione al termine della scorsa legislatura e durante la campagna elettorale si sono inaspriti nel 2018 nei mesi di formazione del nuovo Governo. Infatti, se nel 2017 i tweet rilevati contro i migranti rappresentavano il 17,01% del totale, nel 2018 sfiorano il 18%; ancora più evidente è l’aumento dei tweet contro gli islamici passati dal 12,79% al 15,66%.
Se l’islamofobia e la xenofobia sono drammaticamente riconducibili alla paura dell’immigrazione, è possibile affermare che l’odio contro i migranti è aumentato in pochi mesi di ben 4 punti percentuale. Un dato certamente significativo e che è destinato ad aumentare sulla scia dei più recenti fatti di attualità: dagli spari contro i centri di accoglienza, sino alla chiusura dei porti italiani alle navi che soccorrono i migranti che attraversano il Mediterraneo.
In questo clima, sono fermamente convinta che sia di fondamentale importanza ribadire come la lotta all’odio non debba essere portata avanti solo con divieti e sanzioni, ma anche e soprattutto mediante una reale politica di inclusione e integrazione. La piena affermazione dei diritti umani rappresenta un solido argine contro l’intolleranza e il più potente strumento per costruire una società realmente democratica.