In Italia lavora circa il 16% delle persone con disabilità fra i 15 e i 74 anni, contro il 49,9% del totale della popolazione. Questi dati, raccolti dalla Federazione italiana superamento handicap, sono drammatici.
Esistono tuttavia regole che garantiscono un adeguato inserimento professionale per le persone portatrici di handicap. A ricordarlo, con una dura condanna, è la Corte di giustizia dell’Unione Europea: l’Italia non ha adottato misure “parziali e insufficienti” per garantire un lavoro alle persone disabili.
Un momento importante, per tutti coloro che da tempo si battono per i diritti dei lavoratori disabili. Ma come siamo arrivati fin qui? Isabella Menichini, direttore centrale servizi alla persona e alla famiglia presso il Comune di Parma, ripercorre per VOX la lunga marcia che ha portato alla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità e ne spiega valore e opportunità.
Il 13 dicembre 2006 l’Assemblea della Nazioni Unite adotta la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità: si tratta di un evento epocale per il riconoscimento dei diritti e delle libertà delle persone disabili. Una tappa storica verso la costruzione di una “società a misura di tutti”.
Nel sito delle Nazioni Unite si ricorda che “le persone con disabilità sono spesso “invisibili” nella società, segregate o semplicemente ignorate e considerate solo come destinatari di gesti di carità. Spesso gli è negato il diritto di essere inclusi nel sistema educativo ordinario, di lavorare, di vivere in maniera indipendente nella comunità, di muoversi liberamente, di votare, di accedere alle informazioni, alle tecnologie, ai servizi, ai beni, di avere una propria famiglia”.
Per ricostruire il cammino che ha portato alla sua approvazione occorre risalire agli anni ’70, quando per la prima volta la disabilità viene avvicinata ai Diritti Umani: è un ribaltamento importante perché le persone disabili sono considerate non più persone malate bensì titolari di diritti al pari di tutti gli esseri umani. Nel 1975, infatti, viene approvata dalle Nazioni Unite la Dichiarazione dei diritti delle persone disabili che riconosce alle persone con disabilità il godimento di tutti i diritti umani alla pari con gli altri esseri umani e senza esclusione, distinzione o discriminazione. Hanno diritto al rispetto della propria dignità umana, alla sicurezza economica e sociale, all’occupazione, a vivere con la propria famiglia, a partecipare alla vita sociale e ricreativa, ad essere protetti contro ogni forma di sfruttamento, abuso, o comportamenti degradanti, ed a disporre di supporto legale.
Si tratta certamente un inizio promettente, ma l’impatto sulla vita delle persone disabili nel mondo è ancora irrilevante. Tuttavia, l’impegno delle Nazioni Unite verso la condizione delle persone con disabilità si intensifica nella consapevolezza che in tante parti del mondo esse non hanno accesso neanche ai beni primari, e che è necessario uno sforzo straordinario, innanzitutto culturale, per sollecitare cambiamenti significativi. Il 1981 è dichiarato Anno internazionale delle persone disabili e il 3 dicembre 1982 per assicurare un seguito all’iniziativa viene adottato il Programma Mondiale d’Azione concernente le persone con disabilità. Il 3 dicembre diventerà la giornata internazionale dedicata alle persone con disabilità. L’obiettivo generale del Programma Mondiale consiste nel promuovere il rinnovamento delle politiche e definire misure effettive per la prevenzione della disabilità, la riabilitazione e la realizzazione degli obiettivi di piena partecipazione alla vita sociale, attraverso il riconoscimento del principio di eguaglianza. Seguono 10 anni di impegno della comunità internazionale e richiami agli Stati sulla necessità di interventi decisivi per mutare le condizioni spesso gravissime di vita delle persone disabili. L’esito più rilevante è rappresentato dalle Standard Rules on the Equalization of Opportunities for Persons with Disabilities, approvate nel 1993 e concernenti tutti gli ambiti della vita della persona con disabilità. Hanno rappresentato un forte impegno morale e politico per la comunità internazionale. Ed un punto di riferimento per policy-makers e per la società civile nella definizione dei programmi nazionali di intervento in favore delle persone disabili, fondati sulla prospettiva dei diritti umani, sul rispetto della dignità della persona, sulla promozione delle pari opportunità e della non discriminazione, sul riconoscimento delle libertà di cui ogni persona disabile deve godere. Introducono, seppur non vincolanti, un sistema di monitoraggio per garantirne l’applicazione, sulla base di rapporti regolari trasmessi alla figura dello ‘Special Rapporteur’.
Parallelamente alla crescita culturale ed alla consapevolezza politica sull’importanza di collocare definitivamente i temi della disabilità nell’alveo dei diritti umani, l’Organizzazione Mondiale della Sanità mette a punto strumenti di misurazione della disabilità che progressivamente recepiscono i medesimi valori. Nel 2001, con l’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF, Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute) approvata all’Assemblea Mondiale della Salute la disabilità viene definita come “la conseguenza o il risultato dell’interazione tra la condizione di salute di un individuo, i fattori personali e i fattori ambientali. “ Ogni persona, in qualunque momento della vita, può vivere una condizione di salute che in un contesto sfavorevole diventa disabilità”. Siamo di fronte ad un altro passaggio epocale per la vita delle persone che vivono una condizione di disabilità: l’handicap passa da condizione della persona a condizione dell’ambiente in cui essa vive. Tanto più l’ambiente sarà accessibile e privo di barriere fisiche, mentali, culturali, tanto meno si manifesteranno condizioni di disabilità. L’ICF, fondata su un modello biopsicosociale, attraverso una complessa check-list è in grado di misurare il funzionamento della persona, in rapporto ad una serie di fattori sociali, ambientali, oltre che sanitari, individuando fattori “facilitatori” e fattori “barriere”.
Ma nonostante questi progressi, la comunità internazionale è oramai consapevole dell’esigenza di una convenzione internazionale, cioè di uno strumento vincolante per gli Stati. Il processo per il riconoscimento ed il godimento dei diritti da parte delle persone con disabilità si è rilevato lento ed incerto anche se si è sviluppato in molti sistemi economici e sociali. Numerosi Stati hanno nel tempo adottato legislazioni in materia di non discriminazione e pari opportunità nel contesto della disabilità, ma molte legislazioni e politiche nazionali sono basate sull’assunto che le persone disabili non sono in grado di esercitare gli stessi diritti delle persone non disabili. Persistono nel mondo barriere di ogni tipo – culturale, economico, sociale, alla partecipazione delle persone con disabilità alla vita del proprio paese.
Soltanto un trattato internazionale interamente dedicato alla disabilità – queste le valutazioni maturate dalla comunità internazionale – può stimolare in maniera decisiva l’avanzamento del sistema dei diritti e rafforzare notevolmente la capacità degli strumenti già esistenti di dispiegare pienamente i propri effetti.