Si è tenuto lo scorso 24 marzo alla Camera dei Deputati a Roma il convegno “L’industria della maternità surrogata. Nuove forme di schiavitù”, che ha visto la partecipazione della co-fondatrice di Vox Marilisa D’Amico e dell’avvocato Benedetta Liberali. Al centro del dibattito la legge 40: quali problemi comporta questo tipo di tecnica procreativa? Quali diritti riconoscere alle coppie di genitori e al nascituro? Vox ha raccolto l’intervento di Benedetta Liberali e di Marilisa D’Amico, che, in attesa di un pronunciamento da parte della Corte Europea, invitano a tutelare in primo luogo l’interesse e la tutela del minore.
Per affrontare le problematiche sottese alla maternità surrogata occorre preliminarmente chiarire che cosa si intenda con questa espressione. In particolare, si fa riferimento a un contratto con cui una parte – la donna surrogata – si impegna a portare avanti una gravidanza in cambio – nella maggior parte dei casi – di un compenso economico, impegnandosi a cedere il bambino al momento della nascita alla coppia committente. Possono individuarsi diverse forme di surrogazione: la coppia committente può fornire entrambi i gameti per la formazione dell’embrione oppure uno solo di essi; in questo ultimo caso si potrà alternativamente ricorrere al gamete maschile di un terzo e/o al gamete femminile della stessa donna gestante o di una terza donna. Si potranno pertanto configurare fino a tre ‘madri': la madre sociale, madre biologica e madre genetica (così come potranno essere individuati sia un padre sociale sia un padre genetico/biologico se non coincidenti).
La legge n 40 del 2004 ha previsto un divieto assoluto penalmente sanzionato all’art. 12 comma sesto, laddove ha stabilito che viene punito chiunque in qualsiasi forma realizza, organizza o pubblicizza la maternità surrogata. Prima del 2004 il divieto era previsto nel Codice deontologico medico, mentre la giurisprudenza alternativamente aveva considerato lecito o meno il contratto di surrogazione a seconda che vi fosse o meno un corrispettivo economico o un intento esclusivamente solidaristico.
Quali sono i problemi posti da questo tipo di tecnica procreativa?
Innanzitutto occorre individuare le posizioni giuridiche soggettive suscettibili di venire in rilievo: quella del nascituro (e del nato), che può vedere compromessa la sua dignità e il suo diritto a conoscere le proprie origini genetiche (artt. 2, 3, 13, 32 Costituzione); la donna surrogata, la cui dignità e salute sia fisica sia psichica possono essere violate (artt. 2, 3, 13, 32 Cost.); infine la coppia committente che rivendica in definitiva una sorta di diritto ad avere un figlio ‘a qualunque costo’ (anche in caso di impossibilità di portare avanti una gravidanza) e anche la garanzia del proprio diritto alla salute nella sua accezione psichica (art. 2, 3, 13, 29, 31, 32 Costituzione).
Questi diritti e queste pretese pongono notevoli profili problematici rispetto alla concreta applicazione della tecnica surrogata, soprattutto se si considerano alcune decisioni della Corte costituzionale pure rese con riguardo a questioni diverse.
In relazione al nascituro/nato la Corte ha in modo significativo stabilito che il diritto a conoscere le proprie origini genetiche è un elemento essenziale della personalità e incide nell’intimo atteggiamento nonché nella vita di relazione del soggetto. Nonostante ciò tale diritto non può dirsi assoluto se contrapposto al diritto di restare anonima al momento del parto della donna. Questa possibilità in definitiva consente di tutelare proprio il diritto alla vita e dunque non può recedere in favore del diritto del figlio. È invece possibile per la Corte che il soggetto possa richiedere al giudice di contattare la madre biologica e chiederle se intende disvelare la propria identità non potendosi però obbligare la donna in tale direzione (sentenza 238 del 2013 e anche decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso Godelli contro Italia, 2012).
In una seconda occasione la Corte ha stabilito che anche con il ricorso alla fecondazione eterologa la tutela del nascituro/nato non è compromessa perché l’ordinamento già prevede una disciplina che regola precisamente i rapporti giuridici tra lui e la coppia nonché i donatori di gameti (sentenza 162 del 2014).
Da ultimo è interessante richiamare le decisioni con cui il Giudice delle Leggi fa riferimento alla ‘dignità dell’embrione’ (sentenza 229 del 2015 e decisione di cui al momento si conosce solo il comunicato stampa relativa alla ricerca scientifica sugli embrioni). Se è individuabile la dignità dell’embrione, è quantomeno revocabile in dubbio che la pratica surrogatoria che rende lo stesso embrione oggetto di una vera e propria compravendita non leda tale dignità.
Con riguardo alla posizione della coppia, la Corte costituzionale ha in un primo momento individuato le cd. esigenze della procreazione (che devono bilanciare la tutela dell’embrione che non può considerarsi assoluta: sentenza 151 del 2009); poi ha enucleato il diritto a decidere di formare una famiglia anche con figli e il diritto alla salute nella sua accezione psichica (sentenza 162 del 2014). Da ultimo la Corte ha riconosciuto il diritto delle coppie né sterili né infertili ma portatrici di gravi malattie genetiche di accedere alla diagnosi genetica preimpianto per garantire il diritto alla salute della donna che in tal modo può avere prima una informazione che potrebbe indurla poi a interrompere la gravidanza (sentenza 96 del 2015).
Il rilievo che il nostro ordinamento assegna alla procreazione peraltro emerge anche se si considera che la legge n 194 del 1978 benché regoli la procedura interruttiva della gravidanza riconosce l’esigenza di assicurare una procreazione cosciente e responsabile, mentre la legge n 40 regolamenta le procedure di procreazione medicalmente assistita.
A questo punto occorre chiedersi se anche la tecnica di surrogazione di maternità possa essere considerata un trattamento sanitario idoneo a tutelare la salute anche psichica della coppia. A tale proposito non si può ignorare che la Corte costituzionale con la sentenza 162 del 2014 ha tenuto a chiarire che la surrogazione è tecnica del tutto diversa e che ammettere la fecondazione eterologa (quale vero e proprio trattamento sanitario al pari delle tecniche omologhe) non legittima alcuna considerazione tesa al riconoscimento della liceità della surrogazione.
Da ultimo occorre soffermarsi sulle conseguenze che si dispiegano sui nati a seguito di ricorso alla maternità surrogata.
Una volta che questi bambini ci sono come occorre regolamentarne l’esistenza e l’identità?
Si deve procedere con la messa in stato di adattabilità (quando non vi sia alcun legame biologico o genetico con la coppia) oppure si può pensare di trascrivere gli atti di nascita pure legittimamente formati all’estero?
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito in più occasioni (due volte nei confronti della Francia e una nei confronti dell’Italia) che la mancata o inadeguata tutela dei nati pur a fronte di un legittimo divieto della pratica lede il loro diritto alla vita privata e familiare.
Con particolare riguardo al caso italiano, il nostro ordinamento è stato condannato dalla Corte Europea (caso Paradiso e Campanelli, 2015) proprio in ragione della sottrazione del minore alla coppia senza tenere conto della sua identità familiare ormai acquisita nei soli sei mesi di convivenza e recidendo la sua identità personale. La condanna nei confronti dell’Italia non implica però, dice la Corte Europea, un obbligo di riconsegnare il nato alla coppia poiché nel frattempo il minore ha ricostruito la propria identità nell’ambito di un’altra famiglia.
Le considerazioni dei giudici dissenzienti potranno forse avere un ruolo decisivo in occasione della prossima decisione della Corte Europea chiamata a rivalutare il caso in sede di secondo giudizio (una sorta di giudizio di appello davanti alla Grande Camera della Corte). I giudici dissenzienti hanno sottolineato la contraddittorietà del ragionamento che ha condotto a ritenere pure legittimo il divieto di surrogazione, ma al contempo a riconoscerne gli effetti. Non si può ad avviso di questi giudici sanare una situazione familiare che si fonda su una violazione di legge.
In attesa di questa seconda e definitiva decisione siamo convinte che in tale materia del tutto peculiare e complessa il faro che deve illuminare l’azione politica e legislativa sia il superiore interesse del minore che potrà condurre anche a porre in dubbio l’idoneità a crescerlo da parte di una coppia che ricorre ai contratti di maternità surrogata.
Avv. Prof. Marilisa D’Amico – Ordinario di Diritto costituzionale – UNIMI
Avv. Benedetta Liberali – Assegnista di ricerca in Diritto costituzionale – UNIMI; Professore a contratto di Istituzioni di Diritto pubblico – UNIVR