3,502 migranti sono morti nel Mediterraneo solo dall’inizio del 2016. Un numero agghiacciante che si somma alle migliaia di vittime che, nello stesso mare, hanno perso la vita negli anni precedenti senza essere riconosciute e sepolte con dignità (e identità). In occasione della presentazione del libro “I diritti annegati, i morti senza nome del Mediterraneo” di Marilisa D’Amico avvenuta ieri a Roma, Cecilia Siccardi, voce di Vox, ha riflettuto sui diritti annegati di vittime e famigliari.
“Ieri alla presentazione del libro I” Diritti annegati, i morti senza nome del Mediterraneo” è intervenuto anche Tadese Fisaha, testimone del drammatico naufragio di Lampedusa del 2013. Al termine della presentazione mi ha regalato questa foto per ricordare le vittime del naufragio. E’ stato un momento molto toccante e lo ringrazio. Come Vox vorremmo impegnarci a raccogliere e a dar voce alle drammatiche storie dei migranti che ogni giorno tentano di attraversare i confini europei” (Marilisa D’Amico)
Il 3 ottobre di tre anni fa (2013) un’imbarcazione, con circa cinquecento migranti a bordo, è naufragata al largo dell’isola di Lampedusa, provocando la morte di 366 persone. Nonostante la grande attenzione dei media e delle istituzioni scatenata dal naufragio di Lampedusa, il problema non sembra essere stato risolto e i migranti continuano a morire per raggiungere le coste europee. Basta leggere i dati dell’Organizzazione Mondiale delle Migrazioni per comprendere che il nostro mare si è trasformato in un vero e proprio cimitero: 3,502 migranti sono morti nel Mediterraneo solo dall’inizio del 2016.
Vi è un altro drammatico aspetto delle morti nel Mediterraneo, ancora poco conosciuto: la maggioranza dei corpi dei migranti non vengono recuperati e giacciono “senza nome” in fondo al mare. Anche nel caso in cui i corpi siano recuperati, questi non vengono identificati e sono quindi sepolti in tombe anonime nei cimiteri siciliani. Ciò significa che le famiglie degli scomparsi non potranno mai avere notizie riguardo alla sorte dei loro cari partiti per l’Europa. Non potranno mai seppellirli, né onorarli. Una tragedia umana immensa che non solo lede la dignità dei morti dispersi in mare, ma nega diritti fondamentalissimi delle famiglie dei migranti scomparsi, come il diritto alla salute fisica e psichica e il diritto all’identità personale.
Di fronte a violazioni di diritti umani così evidenti non si può rimanere inermi. Eppure sembra che nessuno voglia occuparsene. Le organizzazioni internazionali, come la Croce Rossa Internazionale e l’Organizzazione Mondiale delle Migrazioni denunciano ormai da anni il problema, promuovendo progetti, di sensibilizzazione e di sostegno alle famiglie nella ricerca dei loro cari (cfr. http://missingmigrants.iom.int/ e https://familylinks.icrc.org/en/Pages/home.aspx ).
A livello europeo poco o nulla è stato fatto, lasciando così pesare il problema sui paesi di confine. L’Italia dal canto suo ha promosso progetti fondamentali, che dovrebbero essere presi a modello e divenire protocolli generalizzati. Dopo il naufragio di Lampedusa del 2013, infatti, il Governo in collaborazione con il Dipartimento di Medicina legale dell’Università degli Studi di Milano, guidato dalla prof.ssa Cristina Cattaneo e con il Commissario Straordinario del Governo per le Persone Scomparse ha dato avvio al recupero dei corpi e all’identificazione delle vittime.
La stessa procedura è stata messa in atto, tra giugno e luglio 2016, consentendo il recupero di circa ottocento migranti morti in uno dei più gravi naufragi degli ultimi tempi, avvenuto nell’aprile del 2015, al largo delle acque libiche. In quest’ultimo caso, è stata messa in moto un’operazione complessa della Marina militare e dei Vigili del fuoco, i quali hanno recuperato l’imbarcazione adagiata sul fondo del mare a circa 700 metri di profondità.
Si tratta di operazioni costosissime e che necessitano delle più avanzate tecniche di medicina legale. Oltre al problema dei costi, vi è la concreta difficoltà di identificare i corpi, a causa della mancanza di dati (c.d. ante mortem), difficilmente reperibili nel caso dei migranti, provenienti da paesi lontani, attraversati da guerre e conflitti. Per tale ragione è di fondamentale importanza l’istituzione di banche dati a carattere transnazionale, che consentano di raccogliere i dati necessari all’identificazione, mettendo in condizione le famiglie di conoscere il destino dei loro cari.
Approfondiscono questi problemi Marilisa D’Amico e Cristina Cattaneo, nel libro I Diritti annegati. I morti senza nome del Mediterraneo (Franco-Angeli, 2016), che mette in luce – grazie al lavoro multi-disciplinare di due team di ricerca dell’Università degli Studi di Milano – proposte concrete rivolte alle istituzioni, ed in particolare a quelle europee, per evitare che i diritti fondamentali continuino ad “annegare” nel Mediterraneo.