Di Barbara Lucini e Marco Lombardi
Negli ultimi anni in Italia e in Europa, le società sono state caratterizzate da un aumento di fenomeni violenti connessi a radici d’odio. La tematica è quanto mai importante, perché sulla sua prevenzione e gestione si basano gli equilibri della convivenza civile e delle stabilità nazionali.
Vi sono però alcune criticità da affrontare, per chi è interessato allo studio di questi eventi complessi e strategici.
Prima di tutto sul piano etico, perché si rischia di dover identificare ed etichettare le stesse persone o la comunità che promuove messaggi o azioni d’odio. Questo implica quindi l’avvio di una sorta di spirale d’odio, che rischia di fondere insieme un’unica visione estremista dalla quale potrebbe essere difficile uscire.
In secondo luogo, sul piano dei contenuti non vi è una univoca definizione né da un punto di vista giuridico né da una prospettiva sociale: le condanne possono giungere focalizzandosi su approcci di valutazione molto differenti e questa peculiarità è da considerare ogni volta vi sia interesse nello studio di questi comportamenti.
Un altro elemento da considerare è che tutti gli atteggiamenti discriminatori o violenti non sono mai avulsi dalla realtà socio – politica e relazionale circostante, anzi nascono in modo diretto dalle informazioni di contesto, che possono essere acquisite e interpretate soggettivamente dalle persone che vi vivono.
Ecco quindi che si possono ravvisare dei germi d’odio e di estremismo nei tanti e profondi cambiamenti, che si sono avvicendati in un arco temporale ristretto, rendendo difficile una nuova definizione della situazione necessaria per una sua piena comprensione e interpretazione.
Dapprima la crisi economica del 2008 che ha fatto emergere una serie di vulnerabilità, alcune latenti, della struttura economico – politica – sociale soprattutto degli Stati Europei; con essa è seguita una necessaria riconfigurazione dei rapporti economici e collettivi, che sono stati spesso recepiti come imposizioni, creando anche una frattura nei rapporti fra istituzioni e cittadini.
Per esempio, in questo contesto le ondate migratorie che hanno interessato l’Europa negli ultimi anni hanno portato alla luce, difficoltà di governo e di supporto al possibile e reale impatto che un fenomeno sociale di questo tipo poteva provocare: intolleranza diffusa, paura del diverso, incertezza verso il futuro comune.
Contemporaneamente, le manifestazioni di un alto tasso di conflitti sociali stanno raggiungendo livelli importanti di attenzione, se si pensa alla tendenza all’estremizzazione politica che accomuna gran parte dei Paesi nell’epoca attuale.
E’ questo il caso di alcune proteste politiche, che assumono sempre più le caratteristiche di una polarizzazione verso l’estremo di una posizione o dell’altra.
In questo senso, il peso della storia e delle propensioni culturali, per esempio nelle discriminazioni razziali o delle minoranze etniche è imponente.
Il rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2010 scritto e promosso con lo scopo di comprendere le possibilità di prevenzione della violenza in tutti i suoi aspetti, si concentra sulla necessità di identificare e analizzare le credenze che portano ad atteggiamenti e comportamenti d’odio, così come le norme culturali e sociali che legittimano e supportano forme di violenza estrema.
Per queste caratteristiche il tema è di difficile valutazione, soprattutto perché non si può fare a meno di notare una certa confusione, soprattutto da parte dei media nel riferire informazioni verificate e opportune per poter effettivamente definire un fenomeno d’odio come tale.
In riferimento quindi a questo eterogeneo scenario è bene ricordare, che l’odio ha molteplici sfumature e forme determinate da motivazioni differenti e supportate da fattori, che spesso all’apparenza possono non essere direttamente collegabili alla nascita di un fenomeno d’odio.
Una distinzione diventa quindi d’obbligo ovvero quella fra messaggi d’odio postati via social network, i nuovi attori della comunicazione e i comportamenti d’odio concretamente perpetrati.
In entrambe le manifestazioni di violenza, comunicativa o fisica, alcuni elementi chiave possono essere all’origine di messaggi o comportamenti d’odio quali l’avversione verso un credo religioso; una condizione fisica; una convinzione politica; l’espressione di idee che appartengono ad una minoranza sociale.
Accanto quindi ai comportamenti d’odio commessi, si stanno aprendo profonde possibilità di diffusione e disseminazione di messaggi intolleranti o d’odio grazie all’utilizzo pervasivo dei social network. In particolare stiamo assistendo ad una nuova contestualizzazione dei conflitti, che ora avvengono su terreni diversi come quello virtuale. È certo che i social network oltre a permettere una maggiore visibilità creando un senso di appartenenza ad una comunità di followers, che proprio perché gruppo comune sostengono le visioni prodotte, permettono una reale amplificazione degli atteggiamenti di intolleranza, spesso imitativi, che possono essere alla base di futuri comportamenti d’odio.
Il bisogno attuale è quello quindi di meglio comprendere le dinamiche presenti via social network, per elaborare efficaci narrative oppositive, che permettano una ridefinizione civile delle relazioni sociali sia reali sia virtuali.